Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 23858 depositata il 5 settembre 2024
Nullo il licenziamento della lavoratrice in malattia che va al bingo e a fare shopping purché l’attività svolta non pregiudichi o ritardi la guarigione
Fatto
1. La Corte d’Appello di Napoli, in accoglimento per quanto di ragione del reclamo proposto da A.A. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede, dichiarava l’illegittimità del licenziamento comunicato da C. Srl il 20.6.2019; ordinava la reintegrazione nel posto di lavoro; condannava la società al pagamento di indennità risarcitoria commisurata a dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale percepita (Euro 799,16 lordi mensili), oltre accessori, e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione;
2. per quanto qui ancora rileva, la Corte d’Appello valutava che la condotta contestata disciplinarmente alla lavoratrice (dipendente di C. dal 2013, con contratto di lavoro subordinato a tempo parziale al 50%, quale addetta alla mensa di ospedale in N, con inquadramento livello 6s CCNL Terziario/Commercio), posta a base del recesso, consistita nell’accertamento (sulla base di relazione investigativa a seguito di pedinamento) dell’avvenuto svolgimento nei giorni 5 e 6.4.2019, durante assenza per malattia (ma non durante le ore di reperibilità), di attività ludica (presso una sala di gioco Bingo) e di spesa presso un centro commerciale, non fosse rivelatrice di una malattia simulata, come ritenuto dalla società;
3. la società ricorre per la cassazione della sentenza di appello con cinque motivi; resiste con controricorso la lavoratrice; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
Diritto
1. la società ricorrente deduce, con il primo motivo (art. 360, n. 3 c.p.c.) erronea applicazione dell’art. 115 c.p.c. e violazione dell’art. 1415, co. 2, c.c., per l’esistenza di presunzioni oggettive da cui dedurre la simulazione di malattia, non valutate dalla Corte di merito;
2. con il secondo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), deduce erronea applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e violazione dell’art. 2729 c.c., per l’inesistenza di presunzioni semplici circa il decorso della malattia, che invece sarebbero state erroneamente ed illegittimamente valutate dalla Corte di merito;
3. con il terzo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), deduce erronea applicazione dell’art. 2729 c.c. in combinato disposto con l’art. 2110 c.c., ed errata applicazione dell’art. 5 legge n. 604/1966 e dell’art. 116 c.p.c.; sostiene che erroneamente la Corte di merito non ha posto in capo alla lavoratrice l’onere della prova circa la compatibilità della malattia con le attività ludiche che le sono state contestate;
4. con il quarto motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), deduce violazione di norma di diritto in ordine alla mancata ammissione della CTU medica richiesta dalla società sulla compatibilità con la malattia delle attività svolte fuori dal domicilio dalla lavoratrice;
5. con il quinto motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 18 della legge n. 300/1970 sotto il profilo della proporzionalità, con eventuale applicazione della disciplina di cui al comma 5 dell’art. 18 cit., in luogo della disciplina di cui al comma 4 applicata dalla Corte d’Appello nel caso in esame;
6. i primi quattro motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché tutti concernenti l’onere della prova, l’utilizzo di presunzioni o di fatti notori nel merito, la selezione e valutazione delle prove, sono inammissibili;
7. osserva preliminarmente il Collegio che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, può configurare la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio (Cass. n. 10416/2017, n. 26496/2018);
8. la nozione di malattia rilevante a fini di sospensione della prestazione lavorativa ricomprende le situazioni nelle quali l’infermità determini, per intrinseca gravità o per incidenza sulle mansioni normalmente svolte dal dipendente, una concreta ed attuale, sebbene transitoria, incapacità al lavoro del medesimo (cfr. Cass. n. 14065/1999, n. 12152/2024), per cui, anche ove la malattia comprometta la possibilità di svolgere quella determinata attività oggetto del rapporto di lavoro, può comunque accadere che le residue capacità psico-fisiche possano consentire al lavoratore altre e diverse attività;
9. in materia di licenziamento disciplinare per svolgimento di altra attività durante l’assenza per malattia, grava sul datore di lavoro la prova che la malattia sia simulata ovvero che l’attività svolta nei giorni di assenza sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio (cfr. Cass. n. 6047/2018, la quale osserva che il lavoratore assente per malattia non per questo deve astenersi da ogni altra attività, quale in ipotesi un’attività ludica o di intrattenimento, anche espressione dei diritti della persona, purché compatibile con lo stato di malattia e in conformità all’obbligo di correttezza e buona fede, gravante sul lavoratore, di adottare le idonee cautele perché cessi lo stato di malattia);
10. l’accertamento in ordine alla sussistenza o meno dell’inadempienza idonea a legittimare il licenziamento, sia essa la fraudolenta simulazione della malattia ovvero l’idoneità della diversa attività contestata a pregiudicare il recupero delle normali energie psico-fisiche, si risolve in un giudizio di fatto, che dovrà tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, come tale riservato al giudice del merito, con i conseguenti limiti di sindacato in sede di legittimità (v. Cass. n. 24812/2016, n. 21667/2017; cfr. anche Cass. n. 107/2024);
11. infatti, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 331/2020; cfr. altresì Cass. n. 11892/2016);
12. né in sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. al di fuori del c.d. vizio di sussunzione, che ricorre quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass. n. 3541/2020; v. anche Cass. n. 18611/2021);
13. la sentenza gravata ha compiuto l’accertamento di fatto demandatole e valutato le prove relative all’interno dei sopraindicati principi di diritto; ha ritenuto non provata dal datore di lavoro (sul quale incombe il relativo onere) la giusta causa di recesso, valutando le accertate attività della lavoratrice in malattia al di fuori del domicilio in fatto (per la loro marginalità) inidonee a provare la simulazione di malattia; ha richiamato la giurisprudenza propria e di legittimità in materia, secondo cui lo svolgimento di altra attività da parte del dipendente durante lo stato di malattia configura la violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede se sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia ovvero qualora in relazione alla natura delle patologie delle mansioni svolte possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio; ha valutato, secondo il criterio di riparto dell’onere della prova della giusta causa di licenziamento e di incompatibilità del comportamento tenuto dal lavoratore durante il periodo di malattia, che, non essendo stata svolta una visita di verifica durante gli orari di reperibilità, sulla base del solo pedinamento la prova dell’incompatibilità tra la malattia dichiarata e l’attività ludica in due occasioni al di fuori della fascia di reperibilità fosse carente; ha, cioè, ritenuto non dimostrato che la lavoratrice si fosse assentata dal lavoro in malafede, simulando la malattia certificata;
14. tale ragionamento, logico, conseguente, e congruamente motivato, non si pone in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione normativa, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli; è, invece, inammissibile la diversa doglianza che il giudice di merito, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.; le censure in esame si risolvono, quindi, in una contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, riservata al giudice di merito e pertanto, qualora congruamente argomentata, insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017, n. 1229/2019, S.U. n. 34476/2019, S.U. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023);
15. il quinto motivo non è fondato;
16. è stato chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte che, in tema di licenziamento individuale per giusta causa, l’insussistenza del fatto contestato, che rende applicabile la tutela reintegratoria ai sensi dell’art. 18, comma 4, St. Lav., come modificato dall’art. 1, comma 42, lett. b), della legge n. 92 del 2012, comprende anche l’ipotesi del fatto sussistente, ma privo del carattere di illiceità (anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo); ed è stato precisato che la tutela reintegratoria ex art. 18, comma 4, St. Lav. novellato, applicabile ove sia ravvisata l'”insussistenza del fatto contestato”, comprende l’ipotesi di assenza ontologica del fatto e quella di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità (cfr. Cass. n.3655/2019, n. 3076/2020, n. 4316/2023); il dictum oggetto di critica, si colloca, dunque, nel solco del consolidato orientamento espresso, nel senso che il fatto contestato insussistente comprende anche l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, senza che rilevi la diversa questione della proporzionalità tra sanzione espulsiva e fatto di modesta illiceità (Cass. n. 3655/2019 in fattispecie analoga; v. anche Cass. n. 29062/2017, n. 9647/2021);
17. risultando, come visto, corretto l’accertamento della sostanziale non illiceità dei fatti addebitati, il ricorso deve in definitiva rigettarsi, con spese di lite che seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore dei difensori di parte controricorrente, dichiaratisi antistatari;
18. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000 per compensi, Euro 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi di parte ricorrente a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03.
Così d