CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 24471 depositata il 12 settembre 2024

Lavoro – Apposizione del termine al contratto – Nullità – Riassunzione – Instaurazione rapporto a tempo indeterminato – Retribuzioni maturate dalla scadenza del termine

Rilevato che

1. Con atto di precetto, notificato il 26.1.2017 unitamente alla sentenza della Corte di appello di Genova del 19.6.2012 munita di formula esecutiva (che a seguito di vari giudizi quale giudice del rinvio aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra P.I. spa ed E.D.P., dichiarando che tra le parti si era instaurato un rapporto a tempo indeterminato con condanna della società a corrispondere alla lavoratrice le retribuzioni maturate dalla scadenza del termine (3.7.2003) alla riassunzione), E.D.P. intimava a P.I. spa il pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal 3.7.2003 sino alla data di notifica del precetto per complessivi euro 284.333.34, oltre accessori.

2. A seguito dell’opposizione della società il Tribunale di Genova, dopo avere con ordinanza sospeso l’esecuzione limitatamente agli importi indicati in precetto maturati dopo il 19.6.2013, con sentenza n. 713/18 dichiarava non dovuta la somma di euro 85.757,57, con diritto della D.P. di procedere ad esecuzione per il pagamento della residua somma di euro 246.483,32.

3. Sul gravame proposto da entrambe le parti la Corte di appello di Genova, con pronuncia n. 260/2019, confermava la decisione impugnata.

4. I giudici di seconde cure, per quello che interessa in questa sede, in sintesi rilevavano che:

a) non era ravvisabile alcuna ipotesi di acquiescenza della società alla pronuncia del Tribunale di primo grado;

b) la sentenza della Corte di appello di Genova del 19.6.2012 non conteneva alcun riferimento all’aliunde perceptum nel periodo temporale fino al 19.6.2013, né tale statuizione era stata oggetto di ricorso per cassazione;

c) infondata era anche la domanda di indebito arricchimento, per gli anni 2004-05, in quanto la pretesa della D.P. si fondava sul dictum di una sentenza definitiva;

d) correttamente la decorrenza stabilità dal giudice di primo grado sulla decorrenza dell’aliunde perceptum era stata individuata solo dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di secondo grado (19.6.2013) e non dalla sua pubblicazione (19.6.2012).

5. Avverso la sentenza di secondo grado proponeva ricorso per cassazione P.I. spa affidato a due motivi cui resisteva con controricorso E.D.P.

6. Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.

Considerato che

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 cc e 615 cpc, per avere errato la Corte territoriale nella interpretazione del titolo esecutivo (sentenza della Corte di appello di Genova n. 703 del 19.6.2012) relativamente alla esclusione della questione dell’aliunde perceptum dal thema decidendum esaminato.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 438, 431 cpc, in relazione all’art. 1223 cc, per avere errato la Corte territoriale nel ritenere rilevante la deduzione dell’aliunde perceptum solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza costituente il titolo esecutivo e non dalla data della sua pubblicazione.

4. Il primo motivo è infondato.

5. Nell’opposizione all’esecuzione promossa in base a titolo giudiziale, non è consentita un’integrazione, tanto meno extratestuale, del titolo esecutivo quando è univoca e certa la struttura del suo comando e quando gli ulteriori elementi potevano essere sottoposti, nel giudizio in cui quel titolo si è formato, al giudice della relativa cognizione e, se del caso, con l’idoneo gravame avverso il medesimo (Cass. n. 14234/2023).

6. Nella fattispecie, la Corte distrettuale, attraverso un esame completo ed esaustivo di tutti gli atti processuali, è giunta alle condivisibili conclusioni che, dal fondamentale passaggio motivazionale della sentenza n. 703 della Corte ligure del 2012 (ovesi specificava che nulla era stato eccepito dalla società in ordine alla determinazione del risarcimento dovuto alla D.P. per la illegittimità del termine per cui erano dovute tutte le retribuzioni maturate dalla scadenza del termine alla riassunzione), si doveva conseguentemente dedurre che, il non avere menzionato nel dispositivo della predetta sentenza l’aliunde perceptum, non era stata una omissione casuale e che si doveva prendere atto che avverso sempre tale pronuncia del 2012 non erano state svolte censure, con il ricorso in cassazione, in relazione proprio ad una asserita mancata pronuncia sull’aliunde perceptum.

7. Questo Collegio, pertanto, attraverso l’esame degli atti processuali (cfr. Cass. Sez. Un. n. 5633/2022), ritiene corretta la interpretazione della Corte di merito, la quale ha ritenuto che, sulla questione dell’aliunde perceptum, si era formato, a seguito dei vari gradi di giudizio, un giudicato e che tale problematica sarebbe potuta venire in rilievo solo quale fatto modificativo o estintivo del rapporto sostanziale nel procedimento di opposizione all’esecuzione, con decorrenza, però, unicamente dal passaggio in giudicato del titolo.

8. La censura della ricorrente, del resto, non è allineata ai criteri di specificità che devono connotare il motivo del ricorso per cassazione in quanto invoca una violazione di alcuni aspetti fondamentali ai fini ermeneutici del titolo limitandosi, però, a prospettare unicamente una opzione ermeneutica contrappositiva rispetto a quella operata dai giudici di seconde cure, e riscontrata esatta in questa sede, e denunciando altresì la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 cod. civ. e 615 cpc, non pertinenti all’impianto decisorio della gravata pronuncia, in relazione al quale, invece, avrebbe dovuto eccepirsi la violazione dell’art. 2909 cod. civ.

9. Il secondo motivo è infondato.

10. La statuizione della Corte territoriale, che conformemente al Tribunale ha affermato che la possibilità della deduzione dell’aliunde perceptum -quale fatto modificativo o estintivo del rapporto sostanziale che, sebbene già operante al tempo della formazione del titolo ma consacrato nel giudicato, poteva però essere preso in considerazione in sede di opposizione all’esecuzione- andava ammessa dalla formazione del giudicato stesso e non dalla pubblicazione della sentenza, è in linea con i precedenti di legittimità  (Cass. n. 12664/2000 e Cass. n. 2160/2013) dai quali questo Collegio non ritiene di doversi discostare in assenza di valide ragioni che ne impongano una rivisitazione.

11. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

12. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

13. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

 Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.