CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 25724 depositata il 26 settembre 2024

Licenziamento – Guida del mezzo aziendale consapevole di essere privo di abilitazione – Violazioni dolose di leggi o regolamenti o dei doveri di ufficio – Condanna del lavoratore alla restituzione della indennità risarcitoria percepita – Mancata specifica del dolo – Difesa inadeguata sui parametri dell’addebito – Accertamento in concreto sulla gravità del comportamento e sulla proporzionalità della sanzione espulsiva – Inammissibilità – nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi -imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369, comma 2, n. 4, c. p. c. – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.; né, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti.

Rilevato che

1. Con sentenza n. 951 del 2021 la Corte d’Appello di Milano, in riforma  sentenza di primo grado, ha dichiarato legittimo il licenziamento di M.L., addetto al servizio di recapito postale con ciclomotore, poiché circolava privo di patente in corso di validità e con il casco non allacciato, e condannato il lavoratore alla restituzione della indennità risarcitoria percepita in forza della sentenza riformata.

2. La corte di Appello, in particolare, sul rilievo che i fatti fossero incontestati ha ritenuto, correggendo il giudizio del primo giudice, che, l’avere il ricorrente guidato il mezzo aziendale consapevole di essere privo di abilitazione (poiché la patente di guida gli era stata sospesa da mesi), senza comunicare la circostanza al datore di lavoro, né chiedere di essere adibito a diverso servizio, è condotta consapevole sussumibile nella norma di cui all’art. 54 comma VI lett. c) del CCNL, che sanziona con il licenziamento senza preavviso la condotta di chi incorra in “violazioni dolose di leggi o regolamenti o dei doveri di ufficio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla Società o a terzi” e non, come ritenuto dal primo giudice, quella di cui al comma V della medesima norma, l’art. 54, co V lett. c), CCNL, che sanziona invece con il licenziamento con preavviso la condotta di minor gravità (colposa) di “irregolarità, trascuratezza o negligenza, ovvero per inosservanza di leggi o di regolamenti o degli obblighi di servizio dalle quali sia derivato pregiudizio alla sicurezza ed alla regolarità del servizio con gravi danni alla Società o a terzi, o anche con gravi danni alle persone”, come pure l’art. 54, co IV lett. f), CCNL (“si applica la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni: lett. f) “per mancanze che abbiano arrecato pregiudizio alla sicurezza del servizio, con danno alle cose sia della Società che di terzi, oppure con danno non grave alle persone”), pure richiamato dal primo giudice per sottolineare la sproporzione del licenziamento, che opera con riferimento a condotte non caratterizzate dalla “violazione dolosa di leggi o regolamenti o dei doveri di ufficio”.

Ha precisato poi la corte che nella condotta del lavoratore era rinvenibile anche l’ulteriore requisito ai fini dell’operatività dell’art. 54, co VI lett c), CCNL, il “forte pregiudizio” alla società o a terzi, che può essere anche potenziale, poiché “il fermo amministrativo per tre mesi del ciclomotore e l’impossibilità di adibire il lavoratore al servizio di consegna con l’uso di ciclomotore” (misure adottate nei confronti del L. dalla polizia stradale) sono circostanze dalle quali oggettivamente potrebbe derivare un pregiudizio alla regolarità del servizio, potendosi verificare un’indisponibilità, anche temporanea, di mezzi e personale nell’ambito della zona cui era adibito il reclamato.

3. Avverso la decisione di secondo grado M.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi cui ha resistito con controricorso, P.I.

4. P.I. ha depositato memorie.

5. Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.

Considerato che

6. I motivi del ricorso possono essere così sintetizzati.

6.1 Con il primo motivo il L. deduce, ai sensi dell’art. 360, I co., n. 4 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 n. 1 e 434 c.p.c.

La Corte avrebbe travalicato i limiti dei motivi del reclamo affermando che il reclamato avrebbe preferito mantenere la società all’oscuro della sospensione della patente per evitare una sanzione disciplinare, senza che tale elemento doloso fosse stato chiaramente individuato nel reclamo di P.I. (che aveva ravvisato il dolo nell’aver taciuto consapevolmente la circostanza della sospensione della patente per scongiurare il collocamento in aspettativa);

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, I° co., n. 5 c.p.c. il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza, e la sua nullità n relazione all’art. 360 I° co. c.p.c., n. 4 nonché agli artt. 132 c.p.c. e 115, co. 1 c.p.c.

La Corte avrebbe errato nel ravvisare il dolo, affermando che il lavoratore avesse nascosto la sospensione della patente per non essere pregiudicato, poiché poteva essere adibito a mansioni che non richiedessero la patente (consegna con l’uso della bicicletta, come avvenuto dopo la reintegra).

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 2106 cod. civ., 12 l. n. 604 del 1966; art. 54, VI co, lett. c. e 80 lett. e) del CCNL Poste Italiane vigente; 2729 cod. civ.; avrebbe errato la corte nel ritenere il comportamento contestato violazione dolosa di legge o dei doveri di ufficio”.

Ed infatti il dolo richiederebbe una volontà intenzionale di recare danno, mentre il comportamento del ricorrente sarebbe stato colposo e non intenzionale, spiegabile in relazione al periodo personale di particolare tensione familiare che il ricorrente stava attraversando.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 7 l. 300/70 in relazione all’art. 360 co. I, n. 3 c.p.c., poiché la corte, nel formulare il giudizio, avrebbe interpretato le disposizioni statutarie in contrasto con il diritto di difesa dell’incolpato, contraddicendo la giurisprudenza di legittimità, poichè la contestazione disciplinare inviata al ricorrente, non aveva specificato chiaramente il dolo, impedendo una difesa adeguata sui parametri dell’addebito.

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 n. 1 e 434 c.p.c (in relazione all’art. 360, I° co., n. 4 c.p.c.) nonché il vizio di motivazione in relazione all’art. 360 co. I, n. 5 c. p.c. e la nullità della sentenza per vizio di motivazione, per avere la Corte affermato un pregiudizio ipotetico senza spiegare e provare la sua gravità.

La deduzione del pregiudizio grave non sarebbe stata basata su fatti concreti relativi al ricorrente, ma su ipotesi non dimostrate, portando a una motivazione apparente o inesistente (in particolare il lavoratore aveva evidenziato come il fermo amministrativo di un veicolo rispetto ad una flotta di 27.000 mezzi non poteva di per sé integrare pregiudizio ravvisato)

6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 53 e 54 CCNL Poste 30.11.2017; artt. 1362 e ss. c.c.; 2119 c.c. in relazione all’art. 360, primo co., n. 3 c.p.c., poiché la Corte avrebbe mancato di effettuare un accertamento in concreto sulla gravità del comportamento e sulla proporzionalità tra questo e la sanzione espulsiva.

La valutazione astratta non avrebbe considerato i parametri della giusta causa, come l’assenza di precedenti disciplinari e la durata ultraventennale del rapporto di lavoro, portando a una decisione sproporzionata rispetto alla condotta del ricorrente.

7. I motivi del ricorso sono inammissibili, sotto diversi profili

7.1. il primo motivo, con il quale il ricorrente assume la nullità della sentenza poiché la corte avrebbe violato gli artt. 112, 115 c.p.c., prima comma, andando oltre i motivi di reclamo, nell’individuare motivi o ragioni che avrebbero ispirato la condotta del lavoratore ulteriori rispetto a quelli allegati dal reclamante, è inammissibile.

Ciò che correttamente la sentenza ha accertato è il dolo nel comportamento del lavoratore cioè il silenzio serbato consapevolmente per evitare uno svantaggio.
Irrilevanti sono i motivi sottostanti tale consapevolezza, ossia se il suo silenzio fosse finalizzato ad evitare una conseguenza a lui sfavorevole (“indebito vantaggio”), una sanzione disciplinare o il collocamento in aspettativa.

7.2. Anche il secondo motivo, volto a far valere il vizio di motivazione e la nullità della sentenza, poiché la Corte avrebbe errato nel ravvisare il dolo, affermando che il lavoratore avesse nascosto la sospensione della patente per non essere pregiudicato, poiché poteva essere adibito a mansioni che non richiedessero la patente (consegna con l’uso della bicicletta, come avvenuto dopo la reintegra) è inammissibile.

Il motivo è formulato in maniera generica, e non corrisponde al parametro normativo dell’art. 360 comma 1 n. 5, quale l’omesso esame di un fatto decisivo che non è neppure dedotto.

In realtà, il motivo, sotto l’apparente deduzione del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degrada “verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione”, così travalicando “dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti” (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020).

7.3. Il terzo motivo, con cui si evidenzia l’errore commesso dalla corte che avrebbe considerato il comportamento contestato come una violazione dolosa della legge o dei doveri di ufficio, e non come una semplice condotta colposa, non intenzionale, e giustificabile per il particolare momento di difficoltà familiari e personali vissuto dal ricorrente, è inammissibile.

In primo luogo, come pure eccepito dalla controricorrente, in relazione al motivo in esame, Il motivo, formulato come violazione o falsa applicazione, tra l’altro, del CCNL di riferimento, non risulta prodotto il contratto collettivo.

Questa corte ha chiarito in più occasioni (cfr. ex multis, Sez. L – , Ordinanza n. 6255 del 04/03/2019) che, nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi -imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369, comma 2, n. 4, c. p. c. – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.; né, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti.

Inoltre, anche con questo motivo il ricorrente sollecita una diversa valutazione dei fatti da parte della Corte.

La corte di Appello, con motivazione adeguata e coerente che si è confrontata con la giurisprudenza di legittimità nella interpretazione della medesima norma contrattuale (si veda Cass. 24367/2015) ha ritenuto che i fatti dovessero essere sussunti nella stessa, poiché l’aver continuato a guidare il motoveicolo dal novembre 2019 all’aprile 2020 senza la patente in corso di validità, costituiva una condotta intenzionale, e foriera di pregiudizio per la società.

7.4. Anche il quarto motivo, che appare ripetitivo dei precedenti, formulato in relazione all’art. 7 l. 300/70 in relazione all’art. 360 co. I, n. 3 c.p.c., e assume che la corte, nel valutare la condotta come dolosa, avrebbe violato il diritto di difesa del ricorrente, in quanto nella contestazione disciplinare che gli era stata inviata il dolo non era specificato, è infondato.

Ed infatti, la sentenza impugnata, nell’esaminare i fatti ha ritenuto che gli stessi fossero sussumibili nella norma contrattuale di riferimento, conformemente alla interpretazione che, della stessa, in più occasioni, ha fornito questa corte, che ha chiarito come rileva nella norma il concetto di “dolo più generale (dolo diretto), coincidente con la rappresentazione e, volizione del fatto costituente l’addebito disciplinare, nel senso che l’evento è preveduto e voluto quale conseguenza della propria azione.” (in termini Cass. 24367/2017, est. E.).

7.5. Il quinto motivo, con il quale il ricorrente deduce l’ error in procedendo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c, e il vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., denunciando la nullità della sentenza per aver la Corte affermato l’esistenza di un pregiudizio ipotetico senza spiegare né provare adeguatamente la gravità di tale pregiudizio, è inammissibile, poiché pur formulandolo il ricorrente ai sensi del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., ossia per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” tuttavia neppure procede ad individuare e circostanziare tale fatto, sfuggendo dunque all’onere di specificazione del motivo di ricorso (come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 ).

Anche con riguardo al pregiudizio, la Corte di appello ha fatto buon governo dei principi che ha affermato questa corte, che ha osservato, proprio con riferimento alla norma contrattuale che viene in evidenza, come, analogamente, per quanto attiene alla nozione di pregiudizio di cui alla disposizione della contrattazione collettiva, occorre rimarcare che quest’ultimo, secondo i criteri civilistici generali in tema di danno, non deve necessariamente coincidere con una diminuzione economicamente valutabile, poiché “il carattere patrimoniale del danno riguarda non solo l’accertamento di un saldo negativo nello stato patrimoniale del danneggiato ma anche l’incidenza in concreto di una diminuzione dei valori e delle utilità (suscettibili secondo una valutazione tipica, che si riflette sul quantum risarcitorio, di commisurazione in denaro) di cui il medesimo può disporre, costituendo il patrimonio, ai fini in considerazione, quell’insieme di beni, valori e utilità tra loro collegati sotto il profilo e mediante un criterio funzionale.

 Ne consegue che il carattere della patrimonialità, che attiene al danno e non al bene leso dal fatto dannoso, non implica sempre e necessariamente un esborso monetario ne’ una perdita di reddito o prezzo, potendo configurarsi anche come diminuzione dei valori o delle utilità economiche del danneggiato” (in tal senso Cass. Sez. 2, sentenza n. 9740 del 05/07/2002, Rv. 555533, i cui rilievi, sia pure resi in tema di responsabilità extracontrattuale, sono pertinenti al caso in disamina).

Nel caso di specie la corte ha evidenziato, per illuminare il pregiudizio, come “il fermo amministrativo per tre mesi del ciclomotore e l’impossibilità di adibire il reclamato al servizio di consegna con l’uso di ciclomotore sono circostanze dalle quali oggettivamente potrebbe derivare un pregiudizio alla regolarità del servizio, potendosi verificare un’indisponibilità, anche temporanea, di mezzi e personale nell’ambito della zona cui era adibito il reclamato” e che “Lo stesso uso di ciclomotori da parte del dipendente avrebbe potuto esporre la società a responsabilità civili nell’ipotesi di un incidente stradale a mezzo del ciclomotore di proprietà di Poste”.

7.6. Anche il sesto motivo, con il quale il ricorrente lamenta che la Corte avrebbe violato o falsamente applicato norme e disposizioni contrattuali (artt. 53 e 54 del CCNL Poste, artt. 1362 e ss. c.c., e art. 2119 c.c.) non effettuando un accertamento concreto sulla gravità del comportamento contestato e sulla proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta del lavoratore, senza tenere conto dei parametri della giusta causa, come l’assenza di precedenti disciplinari e la lunga durata del rapporto di lavoro (oltre vent’anni), portando a una decisione ritenuta sproporzionata, è inammissibile. 

Con esso, in sostanza, si contesta il giudizio sulla proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto ai fatti sotto il parametro della violazione di legge, chiedendo una diversa valutazione dei fatti rispetto a quella fornita dalla corte con adeguata motivazione.

In presenza di una adeguata motivazione svolta dalla Corte di appello, in ordine alla gravità delle condotte e alla proporzionalità della sanzione, non resta spazio per doglianze in questa sede; ed infatti la giurisprudenza di legittimità ha affermato da tempo come “In materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia. (Sez. L – , sentenza n. 107 del 03/01/2024, Rv. 669701 – 01)

8. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere dichiarati inammissibile.

Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per comensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.