CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 25753 depositata il 26 settembre 2024
Contratto di lavoro a progetto – Sospensione del rapporto di lavoro – Risoluzione del contratto per l’intervenuta cessazione dei finanziamenti – Risarcimento del danno pari al compenso perduto – Doppia conforme – Rigetto
Rilevato che
1.- In data 28/07/2014 F.T. aveva stipulato un contratto di lavoro a progetto con A. di Cosenza (ente pubblico non economico) con durata fino alla conclusione del progetto ivi indicato e comunque non oltre il 30/06/2017.
In data 10/08/2015 A. aveva comunicato la sospensione del rapporto di lavoro a causa dell’intervenuta riduzione, da parte della regione Calabria, della provvista finanziaria necessaria per la realizzazione del progetto.
In data 29/09/2016 la neocostituita A. della regione Calabria (che aveva accorpato la precedente A. di Cosenza) aveva deliberato la risoluzione del contratto per l’intervenuta cessazione dei finanziamenti, come da delibera della Giunta della regione Calabria n. 319 del 09/08/2016.
La risoluzione del rapporto di lavoro veniva comunicata alla T. con nota del 06/10/2016 e con effetto da luglio 2015.
La T. aveva impugnato il recesso datoriale ed aveva chiesto al Tribunale di Cosenza la condanna dell’ente al pagamento delle retribuzioni relative alle prestazioni eseguite nel mese di luglio 2015 e nei primi dieci giorni di agosto 2015, nonché al risarcimento del danno pari al compenso perduto che le sarebbe spettato, se avesse lavorato, dal 10 agosto 2015 al 30/06/2017.
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale accoglieva integralmente la domanda, ritenendo che gli artt. 9 e 12 del contratto individuale di lavoro non consentissero alla datrice di lavoro di sospendere l’esecuzione del contratto in ragione della riduzione della provvista finanziaria e che la risoluzione del contratto, comunicata con nota del 06/10/2016, non potesse avere effetto retroattivo, non trovando applicazione l’art. 1458 c.c. relativo alla risoluzione per inadempimento della controparte, nella specie insussistente.
3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva in parte il gravame interposto da A. e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava l’ente a pagare il compenso per il lavoro svolto nel mese di luglio 2015 e nei primi nove giorni di agosto 2015, nonché a risarcire il danno pari al compenso che la T. avrebbe percepito se avesse lavorato nel periodo dal 10/08/2015 al 09/08/2016.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) come ritenuto dal Tribunale, l’art. 9 del contratto individuale di lavoro subordina all’erogazione delle somme necessaria da parte della regione non già l’esecuzione della prestazione lavorativa, bensì il pagamento del compenso;
b) tale previsione è illegittima, poiché l’art. 63 d.lgs. n. 276/2003 assicura al collaboratore a progetto un compenso proporzionato e rapportato ai minimi salariali previsti per dipendenti addetti a mansioni equiparabili;
c) l’art. 63 cit., con il richiamo ai principi di proporzionalità e qualità del lavoro, deve essere considerata norma inderogabile;
d) l’art. 12 del contratto individuale prevede quale valido motivo di risoluzione del contratto la sospensione o la cessazione del finanziamento; la “riduzione” del finanziamento regionale non è dunque ipotesi contemplata tra le sopravvenienze capaci di incidere sulla prosecuzione del rapporto lavorativo;
e) inoltre la “sospensione” o la “cessazione” del finanziamento non sono previste come cause legittimanti la sospensione del rapporto, che invece l’azienda ha comunicato con nota del 10/08/2015;
f) quindi la sospensione unilaterale del rapporto non esonerava la datrice di lavoro dal corrispondere il compenso pattuito;
g) l’eccezione di pagamento sollevata dall’A. non è fondata perché priva di prova, in quanto le buste paga prodotte non coprono il mese di luglio 2015 e quella di agosto 2015 non è quietanzata;
h) il rapporto di lavoro a progetto deve ritenersi risolto alla data del 09/08/2016, in virtù della delibera regionale di revoca del finanziamento e della clausola contrattuale che prevedeva tale evenienza come causa risolutiva del rapporto, ma fino a tale data la T. ha diritto al risarcimento del danno derivato dall’illegittima sospensione del rapporto di lavoro a progetto.
4.- Avverso tale sentenza A. Calabria ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
5.- T.F. è rimasta intimata.
6.- La ricorrente ha depositato memoria.
7.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
Considerato che
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1362, 1363, 1341, 1256, 1218, 1375, 1176, 1358 c.c., nonché 63 e 69 d.lgs. n. 276/2003 per avere la Corte territoriale:
a) erroneamente interpretato gli artt. 9 e 12 del contratto individuale di lavoro, riconoscendo legittima soltanto la risoluzione e non pure la sospensione del rapporto;
b) omesso di considerare l’impossibilità temporanea della prestazione poi divenuta definitiva;
c) violato le norme di contabilità pubblica, considerato il venir meno dell’erogazione delle risorse regionali e in assenza di impegno di spesa di A.;
d) omesso di considerare come improntato a buona fede il comportamento di A. in pendenza della condizione a seguito della sospensione del finanziamento regionale.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la nullità della sentenza perché contraddittoria e con motivazione solo apparente, per aver differentemente valutato la sospensione (considerata illegittima) rispetto alla risoluzione del rapporto, considerata legittima.
I due motivi – da esaminare congiuntamente per la loro connessione –sono infondati.
Come osservato da questa Corte in identica controversia (Cass. ord. n. 32408/2023), con riguardo “ai lamentati vizi di interpretazione del contratto di lavoro a progetto, … la Corte di merito ha dato atto del contenuto dello stesso ed ha valutato, in fatto, che la sospensione del rapporto non era sorretta da alcuna precedente determinazione di sospensione dei finanziamenti, mentre la cessazione dei finanziamenti era stata attestata solo con la delibera della Giunta regionale del 2016.
Ha, pertanto, ritenuto il periodo di sospensione non coperto, per così dire, da alcuna valida giustificazione, se non espressa a posteriori, e dunque che non potesse farsi valere retroattivamente la delibera del 2016, produttiva di effetti solo dal momento della sua emanazione.
A tale interpretazione del contratto e dei suoi effetti giuridici, congruamente e logicamente motivata nella sentenza impugnata, parte ricorrente contrappone la propria differente interpretazione delle previsioni del contratto in materia di risoluzione del rapporto per revoca del finanziamento regionale, includendovi anche il periodo in cui essa non era stata formalmente disposta; ciò in contrasto con il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità (tra le molte, Cass. n. 3964/2019), secondo cui, in tema di interpretazione del contratto, quella data dal giudice non deve invero essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra” (nello stesso senso Cass. ord. n. 419/2024).
Inoltre, posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in un’indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. n. 9461/2021; Cass. n. 4460/2020).
Infine infondate sono altresì le censure di motivazione omessa o apparente (che ricorre allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento: Cass. n. 9105/2017; Cass. n. 20921/2019), avendo la Corte di merito chiaramente illustrato i motivi del diverso rilievo, ai fini risarcitori, assegnato alla sospensione del rapporto, con riferimento sia alla mancata prova della coeva cessazione del finanziamento regionale, sia al fatto che la sospensione del contratto non era prevista, rispetto alla sua risoluzione di un anno successiva, dimostrata dalla delibera della Giunta regionale, con conseguente avveramento della condizione risolutiva del contratto a progetto come espressamente in esso prevista.
2.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti.
In particolare addebita alla Corte territoriale di non aver considerato il venir meno delle risorse regionali quale factum principis, giustificativo della mancata esecuzione del rapporto.
Il motivo è inammissibile perché precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 360, penult. co., c.p.c.).
3.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 112 e 113 c.p.c., nonché 2697 c.c.
Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ossia l’avvenuto pagamento con bonifico relativo al mese di luglio 2015 e il mancato pagamento per i primi dieci giorni di agosto 2015 perché non lavorati.
I due motivi – da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione – sono inammissibili: il quinto perché precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 360, penult. co., c.p.c.), il quarto perché tende a sollecitare a questa Corte una rivalutazione di circostanze di fatto, interdetta in sede di legittimità.
4.- Nulla va disposto sulle spese, atteso che l’intimata è rimasta tale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.