CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 25840 depositata il 27 settembre 2024
Lavoro – Pagamento differenze relative al periodo delle ferie godute – Indennità perequativa – Indennità compensativa – Ticket mensa – Mancata produzione testi integrali CCNL e accordi collettivi – Personale navigante dipendente di compagnia aere – Trattato FUE – Piena efficacia del diritto dell’Unione – Rigetto
Fatti di causa
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello proposto dall’(…) (in sigla E.) s.r.l. contro la sentenza del Tribunale di Benevento n. 1351/2021 che, in accoglimento della domanda di G.S., aveva condannato detta società al pagamento in favore del lavoratore delle differenze relative al periodo delle ferie godute dallo stesso negli anni 2016/2021 per il complessivo importo indicato, oltre accessori dalla maturazione al soddisfo, tanto sull’assunto dell’istante che, in relazione ai periodi di fruizione delle ferie annuali, egli non aveva percepito una retribuzione equiparabile alla retribuzione corrisposta nei periodi di servizio, in quanto non aveva ricompreso l’indennità perequativa, l’indennità compensativa e il ticket-mensa.
2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale richiamava anzitutto i principi espressi da questa Corte nella sent. n. 13425/2019 (e poi in Cass. n. 22401/2020), circa la questione della retribuzione durante il periodo feriale; e, considerati gli accordi collettivi applicabili, riteneva che l’interpretazione di tali norme collettive induceva a ritenere che tutte le indennità precedentemente riconosciute ed assorbite nelle indennità perequativa e compensativa erano attribuite per compensare specifici disagi legati alle mansioni svolte, nell’ottica di una omogeneizzazione del costo del lavoro con abolizione delle precedenti indennità e riconoscimento ai lavoratori dell’indennità perequativa e dell’indennità compensativa.
2.1. Quindi, considerava che l’indennità perequativa era stata attribuita sulla base della figura professionale rivestita e calcolata prendendo quale riferimento il valore più basso tra quelli riconosciuti dalle precedenti aziende, mentre l’indennità compensativa è stata calcolata sulla base della differenza economica tra il valore dell’indennità perequativa e quanto già percepito sulla base della previgente contrattazione aziendale.
2.2. Secondo la Corte, allora, appariva anche chiara ed evidente l’intenzione di correlare il riconoscimento delle due indennità agli obblighi connessi alla natura dei compiti, delle funzioni e delle prestazioni svolte, prevedendo – nel caso di variazione di figura professionale nel corso del rapporto di lavoro – la variazione anche dei valori riconosciuti a titolo di indennità perequativa e compensativa.
2.3. Infine, per la Corte, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, la sentenza di primo grado non introduceva affatto un principio di omnicomprensitivà della retribuzione feriale.
3. Avverso tale decisione, l’E.A.V. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
4. L’intimato ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di contratto collettivo in relazione all’interpretazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, tenuto conto dei fatti di causa e in relazione all’effettiva natura dell’indennità c.d. perequativa e compensativa ed ai c.d. ticket mensa, riconosciuti ai lavoratori dell’E.A.V. s.r.l., ex art. 360 c.p.c. n. 3”.
Secondo la stessa, la Corte di Appello di Napoli, seguendo l’impostazione argomentativa e l’interpretazione già fornita in precedenza dal Tribunale di Benevento, ha dato un’applicazione meccanica e senza alcun dubbio completamente acritica della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, senza effettuare alcuno specifico adattamento alla fattispecie concreta posta alla propria attenzione; e, diversamente da quanto argomentato dalla Corte territoriale nella propria decisione, con riferimento alla richiesta di erogazione delle indennità per cui parte ricorrente ha agito, tali indennità sono state espressamente poste in correlazione con la presenza fisica ed effettiva del lavoratore in servizio (per ogni giornata di effettiva prestazione lavorativa).
2. Con un secondo motivo denuncia “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto per la mancata valutazione da parte del Tribunale dell’inesistenza nel nostro ordinamento di un principio generale di onnicomprensività della retribuzione”.
3. I due motivi, esaminabili congiuntamente per connessione, sono in complesso infondati, presentando rilevanti profili d’inammissibilità.
3.1. In particolare, pur fondandosi entrambi i motivi di ricorso (come risulta dal loro svolgimento), su una serie di norme di CCNL e di svariati accordi collettivi, la ricorrenti: non ha prodotto in questa sede i testi integrali di CCNL e dei cennati accordi collettivi, né ne specifica la localizzazione all’interno dell’incarto processuale; neppure ha precisato quali siano le norme di diritto o di contratti o accordi collettivi nazionali, di cui si lamenta la violazione, e, per gli accordi collettivi di rango non nazionale, neanche ha dedotto la violazione dei canoni ermeneutici legali di cui agli artt. 1362 e ss. c.c..
Peraltro, entrambi i motivi di ricorso, non solo sono meramente riproduttivi dei primi due motivi d’appello (cfr. terza facciata dell’impugnata sentenza), ma non si confrontano assolutamente con la motivazione della Corte territoriale, la quale, ad es., aveva spiegato perché la sentenza di primo grado non introduceva un principio di onnicomprensività della retribuzione feriale (cfr. penultima facciata della sentenza di secondo grado); il che induce difetto dei requisiti di specificità/autosufficienza del ricorso per cassazione previsti dagli artt. 366, comma primo, nn. 4) e 6) e 369, comma secondo, n. 4, c.p.c.
4. Le censure in ogni caso risultano prive di fondamento giudico.
5. Occorre, difatti, ricordare che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie è fortemente influenzata dalla interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale, sin dalla sentenza R.S. del 2006, ha precisato che con l’espressione <<ferie annuali retribuite>> contenuta nell’art. 7, nr. 1, della direttiva nr. 88 del 2003 si vuole fare riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, <<deve essere mantenuta>> la retribuzione con ciò intendendosi che il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria (nello stesso senso CGUE 20 gennaio 2009 in C.350/06 e C-520/06, S.H. e altri).
Ciò che si è inteso assicurare è una situazione equiparabile a quella ordinaria del lavoratore in atto nei periodi di lavoro sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione (cfr. C.G.U.E. W. e altri, C-155/10 del 13 dicembre 2018 ed anche la causa To.He. del 13/12/2018, C-385/17).
Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente C.G.U.E. del 13/01/2022 nella causa C-514/20).
5.1. Di tali principi si è fatta interprete questa Corte di legittimità che in più occasioni ha ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE (con la quale sono state codificate, per motivi di chiarezza, le prescrizioni minime concernenti anche le ferie contenute nella direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, cfr. considerando 1 della direttiva 2003/88/CE, e recepita anch’essa con il d.lgs. n. 66 del 2003), per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. 17/05/2019 n. 13425, richiamata dalla Corte territoriale).
5.2. Anche con riguardo al compenso da erogare in ragione del mancato godimento delle ferie, pur nella diversa prospettiva cui l’indennità sostitutiva assolve, si è ritenuto che la retribuzione da utilizzare come parametro debba comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass, 30/11/2021 n. 37589).
5.3. Proprio in applicazione della nozione c.d. “europea” di retribuzione, nell’ambito del personale navigante dipendente di compagnia aerea, poi, si è chiarito che nel calcolo del compenso dovuto al lavoratore nel periodo minimo di ferie annuali di quattro settimane si deve tenere conto degli importi erogati a titolo di indennità di volo integrativa e a tal fine si è ritenuta la nullità della disposizione collettiva (l’art. 10 del c.c.n.l. Trasporto Aereo – sezione personale navigante tecnico) nella parte in cui la esclude per tale periodo minimo di ferie evidenziandosi il contrasto con l’art. 4 del d.lgs. n. 185 del 2005 (decreto di attuazione della direttiva 2000/79/CE relativa all’Accordo europeo sull’organizzazione dell’orario di lavoro del personale di volo dell’aviazione civile) interpretando tale disposizione proprio alla luce del diritto europeo che impone di riconoscere al lavoratore navigante in ferie una retribuzione corrispondente alla nozione europea di remunerazione delle ferie, in misura tale da garantire al lavoratore medesimo condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l’attività lavorativa (cfr. Cass. 23/06/2022 n. 20216).
5.4. E’ opportuno poi rammentare, come già ritenuto nella sentenza da ultimo citata, “che le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno, infatti, efficacia vincolante, diretta e prevalente, sull’ordinamento nazionale” sicché non può prescindersi dall’interpretazione data dalla Corte Europa che, quale interprete qualificata del diritto dell’unione, indica il significato ed i limiti di applicazione delle norme.
Le sue sentenze, pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, hanno perciò “valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità” (cfr. Cass. n. 13425 del 2019 ed ivi la richiamata Cass. n. 22577 del 2012).
5.5. Nell’applicare il diritto interno il giudice nazionale è tenuto ad una interpretazione per quanto possibile conforme alle finalità perseguite dal diritto dell’Unione nell’intento di conseguire il risultato prefissato dalla disciplina Euro unitaria conformandosi all’art. 288, comma 3, TFUE.
L’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale attiene infatti al sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell’ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell’Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (cfr. CGUE 13/11/1990 causa C-106/89 M. p. 8, CGUE 14/07/1994 causa C-91/92 F.D. p. 26, CGUE 10/04/1984 causa C-14/83 V.C. 26, CGUE 28/06/2012 causa C-7/11 C. p. 51, tutte citate da Cass. n. 22577 del 2012 alla cui più estesa motivazione si rinvia), obbligo che viene meno solo quando la norma interna appaia assolutamente incompatibile con quella Eurounitaria, ma non è questo il caso.
6. A questi principi si è attenuta la Corte di merito che, come ricordato, ha proceduto, correttamente, ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita.
6.1. Ritiene allora il Collegio che l’interpretazione delle norme collettive aziendali che regolano gli istituti di cui era stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale oltre ad essere del tutto plausibile è in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte di Lussemburgo ed in sintonia con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, che è innanzi tutto quella di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale.
7. La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del difensore del controricorrente, dichiaratosi anticipatario, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge, e distrae in favore del difensore del controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.