Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 26071 depositata il 4 ottobre 2024
TFR anche ai soci lavoratori di cooperative
Fatti di causa
La Corte d’appello di Milano, con la sentenza in atti, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Como, ha condannato la C. cooperativa a pagare all’appellante C.E. la somma di euro 53.604,26 a titolo di somme trattenute in via integrale per contributi dovuti sul rapporto di lavoro, già poste ad esclusivo carico del lavoratore; ed ha condannato C. cooperativa e D. S.p.A (quest’ultima quale committente di lavori dati in appalto/subappalto) a pagare in solido a C.E. la somma di euro 36.631,75 a titolo di TFR, oltre accessori. Ha condannato, inoltre, C. cooperativa a rimborsare a D. S.p.A. le somme che questa era chiamata versare all’appellante a titolo di TFR in base alla sentenza.
A fondamento della sentenza la Corte d’appello ha affermato, preliminarmente, che fossero rimaste ferme le statuizioni del primo giudice relative alla esistenza di un rapporto di socio lavoratore della cooperativa, oltre che di lavoratore subordinato; nonché il fatto che il lavoratore avesse percepito una retribuzione rispettosa dell’importo che sarebbe spettato in applicazione del CCNL del terziario, comprensivo di tutte le voci, così come specificato dal ricorrente nella sua medesima domanda.
Andavano accolti invece i motivi di appello sulle trattenute previdenziali di cui la sentenza di primo grado aveva escluso il diritto alla restituzione. Ed inoltre, per quanto ancora interessa in questa sede, il motivo d’appello con cui il lavoratore aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto assorbibile il TFR nell’importo totale delle retribuzioni versate allo stesso lavoratore, anche se maggiori rispetto a quelle calcolate sulla base del CCNL terziario.
Sul punto la Corte ha affermato che il TFR del lavoratore non è mai assorbibile in ragione delle maggiori somme globalmente corrisposte a titolo retributivo al lavoratore, in eccedenza rispetto alle previsioni del CCNL applicabile.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione D. S.p.A. con tre motivi ai quali resistito C.E. con controricorso illustrato da memoria. Il controricorrente ha depositato memoria. C. cooperativa è rimasta intimata e non ha svolto attività difensiva. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso D. S.p.A. deduce la violazione degli articoli 437 e 345 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza e/o del procedimento, ex articolo 360 numero 4 c.p.c., in quanto il ricorrente nel ricorso di primo grado aveva dedotto che il rapporto associativo di socio lavoratore era da considerare meramente fittizio e nullo, essendo finalizzato a dissimulare il rapporto di lavoro subordinato e nell’economia del ricorso di primo grado le domande di condanna, compresa quella relativa al TFR, erano state strutturate come diretta conseguenza e sviluppo della domanda volta ad accertare l’inesistenza e/o la nullità del rapporto associativo e volta a far dichiarare altresì la sussistenza del solo rapporto di lavoro subordinato. L’accertamento della coesistenza del rapporti di lavoro subordinato non è stato impugnato in appello dal C.E. che non ha riproposto le domande di accertamento del rapporto di lavoro subordinato, dando per presupposto e riconosciuto che egli era un socio lavoratore.
Con il motivo d’appello il C.E. aveva quindi operato una mutatio libelli mutando la causa petendi, il titolo giuridico sulla scorta del quale era stata ritenuta fondata in appello la domanda di condanna e la Corte d’appello aveva errato a non rilevare il diverso titolo giuridico della pretesa dinanzi al giudice di secondo grado che era stata impostata su presupposti di fatto e situazioni giuridiche non prospettate in primo grado e che avevano comportato il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato.
1.1. Il motivo è privo di fondamento perché, come correttamente rilevato dalla Corte d’appello, la richiesta di condanna al pagamento del TFR a titolo di socio lavoratore non ha comportato alcuna mutatio libelli rispetto ai presupposti di fatto e diritto allegati nell’atto introduttivo del giudizio.
Va ricordato che l’art. 2120 c.c. statuisce che in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto; e la circostanza che il rapporto di lavoro sia stato instaurato con un socio di cooperativa non determina alcun mutamento nei fatti costitutivi della richiesta di pagamento del TFR (pur sempre avvenuta in relazione all’ “ulteriore rapporto di lavoro”, collegato a quello associativo, come recita l’art. 1, comma 3 l. 142/2001, ).
La Corte d’appello – implicitamente rigettando qualsiasi eccezione di mutamento della domanda – ha quindi correttamente riconosciuto che la causa petendi relativa all’obbligo del datore di pagare il TFR non comporti un totale mutamento della domanda, sia nell’ipotesi in cui il rapporto di lavoro costituisca un unico rapporto, sia nell’ipotesi in cui esso si affianchi al rapporto associativo di socio di cooperativa.
In entrambi i casi la spettanza del TFR discende invero dal titolo costituito dal rapporto di lavoro e non implica – di per sé – il mutamento della domanda richiederlo a mero di titolo di lavoratore subordinato o di lavoratore subordinato associato in cooperativa.
Il bene della vita richiesto con la domanda azionata nella causa è rimasto infatti il medesimo (il tfr ex art. 2120 c.c.) ed identici sono i fatti costitutivi allegati a fondamento della stessa domanda (il contratto di lavoro subordinato).
In ogni caso, va ricordato che l’identificazione della domanda azionata in un giudizio – la quale non è condizionata dalla formula adottata dalla parte medesima, ma deve essere operata in base alla lettura complessiva dell’atto, considerata la natura della vicenda descritta, la finalità che la parte intende perseguire, il contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate in corso di causa (cfr., ad es., Cass. n. 19435/2018; n. 27285/2006, n. 17250/2004) – rientra nei poteri del giudice di merito, che nel caso di specie ha negato la mutatio e valutato come dovuta la corresponsione del TFR al socio lavoratore di cooperativa, alla stessa stregua dell’ipotesi in cui il rapporto fosse stato di mero lavoro subordinato.
Per contro, la parte ricorrente non ha neppure specificato in che termini la domanda di pagamento del TFR fosse stata strutturata come diretta conseguenza e sviluppo esclusivo della domanda volta ad accertare l’inesistenza e/o la nullità del rapporto associativo; ed in che termini e perché invece essa non potesse parimenti discendere dal rapporto di lavoro subordinato collegato a quello di socio di cooperativa.
2.- Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 2120 c.c., della legge numero 142/ 2001, ex articolo 360 numero 3 c.p.c., nonché omessa e/o insufficiente motivazione su fatti decisivi per il giudizio ex articolo 360 numero 5 c.p.c. per avere la Corte d’appello riconosciuto il diritto al TFR sulla scorta dell’articolo 2120 c.c. ritenendo irrilevante la circostanza che nel caso di specie fosse sussistente anche un rapporto di socio lavoratore di cooperativa avendo quindi in definitiva affermato che l’obbligo del pagamento del TFR sarebbe previsto in via normativa pur in presenza di un rapporto associativo mutualistico; mentre, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione n.14076/2010 e n. 862/2017), in assenza di previsione normativa, il diritto alla erogazione del TFR al socio lavoratore è subordinato alla esistenza di una previsione stabilita in via negoziale tra cooperativa ed il socio o all’esistenza di un comportamento concludente.
2.1.- Il motivo di ricorso demanda a questo Collegio di risolvere la questione del titolo giuridico (se sia la legge o il contratto) in forza del quale dovrebbe spettare il trattamento di fine rapporto al socio lavoratore di cooperativa.
Esso ignora però l’essenza della svolta con cui la legge di riforma n. 142/2001 ha delineato nel nostro ordinamento la nuova disciplina di tutela dei soci che lavorano in una cooperativa.
2.2. Com’è noto, attraverso l’adesione alla c.d. teoria dualistica dei due rapporti giuridici collegati, la legge n. 142/2001 si è proposta di rimuovere le incertezze che da sempre hanno caratterizzato sul piano della disciplina giuridica la posizione di socio lavoratore di cooperativa in merito alla fruizione di almeno talune garanzie giuslavoristiche, via via riconosciute dalla giurisprudenza e dallo stesso ordinamento, ma senza un corrispondente fondamento sistematico. Posto che si era fin lì ritenuto, secondo la c.d. teoria monista, che la prestazione di lavoro (pur necessaria ai fini della fattispecie) trovasse titolo nel contratto di società, nella cui causa giuridica veniva quindi ricondotta anche la prestazione di lavoro.
Prendendo posizione sul vivace e risalente dibattito che ha preceduto la sua emanazione, la legge n. 142 ha invece chiarito espressamente che lo scambio mutualistico avente ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio avviene sulla base di un “distinto ed ulteriore” contratto (solo “ulteriore” dopo la legge n. 30/2003) da quello di società; sicché il lavoro cooperativo è divenuto il “luogo di convergenza di più cause contrattuali” (di cui parlano pure le Sez. unite di questa Corte nella sentenza n.27436/2017).
Secondo l’art. 1.3 prima parte della legge n. 142/2001 il contratto di lavoro (avente ad oggetto la prestazione di attività lavorative), capace di dischiudere, questa volta senza incertezze interpretative (ma nei termini e nei limiti previsti dalla stessa disciplina di legge), l’accesso all’agognato mondo del diritto di lavoro, potrà essere, a seconda dei casi, un contratto di lavoro subordinato, autonomo o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui il socio contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali.
Anche la Corte Costituzionale nella sentenza n. 51/2015 ha riconosciuto che “con detta legge il legislatore ha portato a compimento e sviluppato precedenti indirizzi, espressi a livello sia normativo sia giurisprudenziale volti ad estendere la tutela propria del lavoro subordinato ai soci lavoratori delle cooperative”.
Ed invero, attraverso il riferimento all’ulteriore rapporto di lavoro, la legge n. 142/2001 ha consentito di riconoscere – senza più indugi – al socio di cooperativa le specifiche tutele lavoristiche regolate nella medesima legge ed inoltre tutte le diverse garanzie previste nell’ordinamento nelle altre normative di tutela del lavoro in generale, fatta salva una verifica di compatibilità rimessa all’interprete.
Il 3° comma dell’art.1 della legge 142 prosegue infatti affermando che “dall’instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici rispettivamente previsti dalla presente legge, nonché, in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore, da altre leggi o da qualsiasi altra fonte”.
Dunque ai soci lavoratori si applicano anzitutto le speciali regole previste dalla stessa legge n. 142/2001 (artt. 2, 3, 4, 5 e 6); ed in secondo luogo le regole comuni previste dalle altre leggi di disciplina del lavoro, in quanto compatibili con la posizione di socio lavoratore come delineata dalla legge medesima. Ciò, appunto, attraverso la verifica di compatibilità rimessa all’interprete, il quale dovrà effettuarla con riferimento al rispetto della inscindibilità dei due rapporti ed alla funzionalizzazione di essi al raggiungimento degli scopi sociali. Ed invero non tutte le regole lavoristiche sono comunque applicabili al socio di lavoro. Alcune di esse sono escluse dalla stessa legge 142/2001 (ad es. secondo l’art.2 della l.142 non si applica l’art.18 dello Statuto ogni qualvolta venga a cessare col rapporto di lavoro quello associativo; ed inoltre secondo l’art. 5 della legge con l’esclusione del rapporto associativo si estingue ex lege quello di lavoro, senza quindi la necessità di intimare alcun licenziamento). Mentre, come già detto, altre previsioni lavoristiche possono essere escluse sulla base della verifica di compatibilità che la legge rimette all’interprete.
2.3.- Per quanto riguarda l’attribuzione del diritto al TFR regolato dall’art.2120 c.c. non si rinviene nella legge 142/2001 alcuna speciale previsione; né è possibile affermare che il suo riconoscimento sia incompatibile con la posizione di socio lavoratore di cooperativa.
Sicché deve concludersi che nella vigente legislazione non esistono motivi ostativi di alcuna natura per negare l’applicazione della disciplina relativa al trattamento di fine rapporto ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato.
2.4. È vero che prima dell’approvazione della legge 142/2001 si affermava che le disposizioni di legge sul TFR non operassero con riferimento ai soci lavoratori di cooperativa, indistintamente considerati quanto alla tipologia del rapporto, salvo che il diritto al TFR fosse stabilito in virtù di previsione pattizia o di obbligazione volontariamente assunta dalla società, dimostrata dal comportamento concludente consistente nell’effettuazione degli accantonamenti annuali e nella relativa comunicazione all’istituto previdenziale.
Ma con l’entrata in vigore della legge n.142 tale tesi riferita ad altro differente regime normativa non è più sostenibile, posto che – alla luce della menzionata normativa di riforma – non residuano più dubbi sull’applicabilità ai soci lavoratori di cooperativa con contratto di lavoro subordinato della disciplina del TFR; e ciò con le stesse modalità previste per la generalità dei lavoratori subordinati e senza perciò alcun condizionamento rispetto alla concreta acquisizione delle necessarie risorse economiche da parte della cooperativa: non diversamente da quanto accade per tutti gli altri istituti di tutela legale del lavoro (ferie, orario di lavoro, part time, 13ma, ecc.), con esclusione di quelle oggetto di deroghe espresse e di quelle discendenti dal riscontro di incompatibilità ad opera dell’interprete.
Lo stesso Ministero del lavoro con risposta ad interpello del 19 agosto 2008, n.34/2008 ( prot. 25/I/0011430), ha affermato che “per i soci lavoratori con rapporto di lavoro di tipo subordinato sussiste l’obbligo di applicazione di istituti normativi che la legge disciplina per la generalità dei lavoratori, tra i quali trattamento di fine rapporto”.
Inoltre, va ancora ricordato che una valutazione esplicita di compatibilità dell’attribuzione del TFR al socio discende pure dall’art.24 della legge n.196 del 1997 che, anche prima della riforma dettata dalla legge n. 142, aveva previsto espressamente che si applicasse il Fondo di garanzia per il pagamento del TFR (L. n. 297 del 1982, art. 2) anche ai soci lavoratori (in quanto tali, anche a prescindere dalla esistenza della stessa subordinazione; Cass. n. 9479/2016).
Il che conferma ulteriormente, e per espressa via normativa, che non ci fosse già prima della legge 142 alcuna incompatibilità; e che ovviamente la stessa incompatibilità non può esistere ora che il titolo del lavoro del socio riposa su un contratto di lavoro subordinato mentre lo stesso legislatore ha previsto che si applichino tutte le corrispondenti norme di tutela dei lavoratori subordinati, salvo quelle incompatibili.
Infine, alcun rilievo contrario può attribuirsi ai precedenti giurisprudenziali citati in ricorso (Cassazione n.14076/2010 e n. 862/2017) i quali si riferiscono a fatti precedenti alla legge n. 142/2001 o comunque non si confrontano con i contenuti della legge n. 142/2001 nei termini sopra richiamati.
3.- Con il terzo motivo si sostiene l’omessa motivazione su fatti decisivi per il giudizio, ex articolo 360 numero 5 c.p.c., perché nel corso del giudizio di primo grado era stata disposta c.t.u. volta a quantificare l’eventuale somma spettante al ricorrente C.E. e con riguardo alla quantificazione delle somme spettanti a titolo di TFR il consulente tecnico aveva quantificato in € 12.273,04 lordi l’importo a tale titolo eventualmente dovuto.
3.1. La censura è inammissibile per difetto di specificità e novità delle questioni sollevate, posto che per un verso si limita a richiamare solo una parte della c.t.u., ma non allega e non riproduce il ricorso in appello, né la ctu, il ricorso ed il conteggio del ricorrente sul TFR, né documenta le proprie critiche.
Inoltre le questioni poste dallo stesso motivo di ricorso, implicanti accertamenti di fatto, non risultano affrontate dalla sentenza impugnata; costituiva pertanto onere della ricorrente, onde impedire una valutazione di novità della questione, allegare l’avvenuta deduzione di esse innanzi al giudice di merito ed appunto, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, documentare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. 20694/2018, 15430/2018, 23675/2013), come, viceversa, non è avvenuto.
4.- Sulla scorta di tali considerazioni il ricorso in oggetto deve essere rigettato, con l’enunciazione del seguente principio di diritto: “Ai soci lavoratori di cooperativa si applicano in primo luogo le regole speciali previste dalla legge n. 142/2001 ed in secondo luogo le comuni regole previste dalle altre leggi di disciplina del lavoro in quanto compatibili con la posizione di socio lavoratore per come delineata dalla legge medesima. Nessuna incompatibilità sussiste ai fini del riconoscimento al socio lavoratore di cooperativa con contratto di lavoro subordinato del diritto al trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 c.c.”.
5.- Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. in favore di C.E.. Nulla per le spese in favore di C. rimasta intimata.
6. – Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore di C.E. in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie oltre accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.