CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 26149 depositata il 7 ottobre 2024
Lavoro – Nullità del termine apposto ai contratti – Instaurazione rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Riammissione in servizio – Pagamento indennità risarcitoria – Rigetto
Rilevato che
1. La Corte di Appello di Catanzaro ha accolto l’appello di V. e S.C. e, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullità del termine apposto ai contratti stipulati dal Consorzio di Bonifica Ionio Crotonese il 25.3.2023 con V.C. e il 19.1.2024 con S.C., e l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti, a decorrere dalle rispettive date; ha quindi condannato il Consorzio a riammettere in servizio i lavoratori e al pagamento in favore degli stessi dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 32, comma 5, legge. n. 183 del 2010, liquidata in misura pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione di fatto.
2. La Corte territoriale ha escluso che le lettere inviate dal Consorzio ai lavoratori il 4 marzo 2009 potessero qualificarsi come intimazione di licenziamento rispetto a rapporti di lavoro a tempo indeterminato derivanti dalla conversione di pregressi rapporti a termine; ha considerato pacifico che i signori C. avessero intrattenuto rapporti a termine con il Consorzio, a partire rispettivamente dal 25 marzo 2003 e dal 19 gennaio 2004, in assenza di contratti stipulati in forma scritta; ha ritenuto applicabile ratione temporis la disciplina di cui al decreto legislativo n. 368 del 2001, escludendo la natura agricola dell’attività imprenditoriale svolta dal Consorzio, rilevante ai fini dell’art. 10 del decreto legislativo citato, ed ha giudicato illegittima l’apposizione dei termini in difetto di qualsiasi causale giustificativa.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Consorzio con cinque motivi. V. e S.C. hanno resistito con controricorso.
È stata depositata memoria nell’interesse del Consorzio.
4. Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che
5. Preliminarmente, deve respingersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di ius postulandi, sollevata nel controricorso sul rilievo della “formulazione vaga e generica della procura alle liti”.
Contrariamente all’assunto dei controricorrenti, la procura non è “conferita esclusivamente per proporre controricorso e ricorso incidentale” bensì “per rappresentare e difendere (il Consorzio) nel presente giudizio promosso avanti la Suprema Corte di Cassazione avverso la sentenza n. 43/2020 resa dalla Corte di appello civile di Catanzaro”, con conferimento al difensore “di ogni più ampio potere di legge nessuno escluso, ivi compreso quello di proporre controricorso con ricorso incidentale, transigere, conciliare e rinunciare agli atti”, in tal modo rispondendo ai requisiti di specificità normativamente richiesti.
6. Con il primo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per avere la Corte d’appello escluso che le missive inviate dal Consorzio ai lavoratori nel marzo 2009 potessero considerarsi atto di recesso dal rapporto di lavoro convertito, omettendo completamente di considerare il tenore letterale delle stesse e l’espressa conferma da parte dei lavoratori, sia negli scritti difensivi e sia in udienza per il tramite del difensore, sul fatto che alla data di invio delle missive non vi era in essere tra le parti alcun rapporto di lavoro a tempo determinato.
7. Il motivo è inammissibile per più profili.
Anzitutto, perché denuncia il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. prospettando non l’omesso esame di un fatto storico avente valenza decisiva (sul punto v. Cass., S.U. n. 8053 e n. 8054 del 2014), bensì l’errata interpretazione delle missive del marzo 2009 ad opera dei giudici di merito nella parte in cui è scritto “Si comunica che ogni eventuale rapporto di lavoro dovesse intercorrere alla data odierna tra lei e questo consorzio deve intendersi immediatamente cessato”.
Ove anche si riqualificasse la censura in esame in termini di violazione di legge, ed esattamente dei canoni di ermeneutica contrattuale, la stessa risulterebbe comunque inammissibile poiché il Consorzio ricorrente si limita a propugnare una interpretazione diversa da quella adottata nella sentenza d’appello, senza evidenziare specifici errori nella lettura data (v. Cass. 4178 del 2007; n. 10554 del 2010; n. 7467 del 2018 in motivazione).
8. Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che il Consorzio non avesse contestato l’esistenza dei rapporti di lavoro a tempo determinato con i controricorrenti nel periodo anteriore al marzo 2009 e per avere accertato le relativa sussistenza con le decorrenze indicate dai lavoratori, in assenza di contratti scritti.
9. Il motivo è inammissibile atteso che denuncia nella sostanza non l’omesso esame di un fatto storico decisivo, bensì un error in procedendo, vale a dire l’errata applicazione del principio di non contestazione, con riferimento agli artt. 115 e 416 c.p.c.
10. Pure riqualificata in tal senso, la critica risulta ugualmente inammissibile atteso che dai brani della memoria costitutiva in primo grado (trascritti a p. 23 del ricorso) non emerge una “specifica” negazione del fatto storico dello svolgimento dei pregressi rapporti a tempo determinato, ma anzi la formulazione, sul presupposto di esistenza degli stessi, dell’eccezione di tardiva impugnativa dei contratti medesimi (“…si ribadisce che i signori C. V. e S. hanno atteso molti anni prima di procedere all’impugnativa dei contratti asseritamente intercorsi tra le parti”, ricorso p. 23, penultimo cpv.).
11. L’onere di contestazione non può dirsi assolto attraverso l’insinuazione del dubbio di esistenza del fatto storico, occorrendo, ai fini del requisito di specificità prescritto dagli artt. 416 e 115 c.p.c., la chiara negazione del fatto storico e non essendo sufficiente nemmeno la generica deduzione di assenza di prova (v. Cass. n. 17889 del 2020).
12. Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi in ordine all’eccezione sollevata dal Consorzio di avvenuta risoluzione per mutuo consenso, ai sensi dell’art. 1372 c.c., dei rapporti di lavoro convertiti con entrambi i controricorrenti.
13. Il motivo è infondato poiché il Consorzio non ha allegato e documentato di avere riproposto nel giudizio di appello l’eccezione di risoluzione per mutuo consenso formulata nella memoria difensiva di primo grado, la sola richiamata e trascritta, per estratto, alle 25-27 del ricorso per cassazione.
14. Con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2070, comma 1, 2195, 2135 c.c., dell’art. 10, comma 2, d.lgs. n. 368 del 2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello escluso la natura agricola dell’attività svolta dal Consorzio senza alcun accertamento in concreto sulla stessa, ma ricorrendo a criteri generali e astratti, e così ritenendo erroneamente applicabile alla fattispecie le disposizioni di cui al decreto legislativo 368 del 2001.
15. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità in quanto, nel criticare la sentenza d’appello per avere escluso la natura agricola dell’attività imprenditoriale, ai fini dell’art. 10 del d.lgs. 368 del 2001, non reca alcuna indicazione e trascrizione degli elementi che il Consorzio avrebbe dovuto allegare e comprovare a sostegno della tesi avanzata in ordine alla natura agricola della propria attività.
La censura, inoltre, non specifica quali affermazioni in diritto contenute nella sentenza d’appello sarebbero in contrasto con la disciplina normativa.
Contrariamente all’assunto del Consorzio, i giudici di appello hanno escluso la natura agricola dell’attività dallo stesso svolta applicando i principi di diritto enunciati da questa Corte (v. Cass. S.U. n. 265 del 1997) rispetto alla fattispecie concreta, ricostruita attraverso il riferimento all’attività svolta dai due lavoratori, in nessun modo riconducibile alla “coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame”, all’acquacoltura oppure a “lavorazioni connesse, complementari e accessorie” rispetto ad esse.
16. Con il quinto motivo si deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per avere la Corte d’appello determinato l’indennità risarcitoria, di cui all’art. 2 della legge n. 183 del 2010, nella misura massima di dodici mensilità per entrambi i controricorrenti.
17. Il motivo è inammissibile poiché afferisce ad una valutazione che compete ai giudici di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria (vedi ex aliis, Cass. 17/03/2014 n.6122), ipotesi questa, non verificatasi nella specie poiché i giudici d’appello hanno richiamato i criteri indicati dall’art. 32 cit. che rinvia, a sua volta, all’art. 8 della legge 604/66.
18. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
19. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
20. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il Consorzio ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.