CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 26196 depositata il 7 ottobre 2024

Risarcimento danno derivante da abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato – Operatore agricolo – Ente pubblico non economico – Elenco attività stagionali da considerarsi tassativo – Accoglimento parziale

Svolgimento del processo

C.C. ha adito il Tribunale di Agrigento per chiedere la condanna dell’(…) – ESA (da ora, in motivazione, solo ESA) a risarcire il danno derivante dall’abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato.

Egli ha allegato che aveva lavorato come operatore agricolo a tempo determinato alle dipendenze del Centro di Macchinazione Agricola di Trapani presso l’ESA a partire dal 1999 sulla base di una serie di contratti a termine che erano stati reiterati più volte.

Il Tribunale di Agrigento, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1042/2020, ha accolto il ricorso.

L’ESA ha proposto appello che la Corte d’appello di Palermo, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 434/2023, ha accolto.

C.C. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.

L’ESA si è difeso con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è affidato a cinque motivi, così, testualmente, rubricati:

“1) – Violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 111 Cost., degli artt. 415, 421, 156 e 291 C.P.C., nonché incongruità ed illogicità della motivazione.

2) – Art. 360 n. 3 e n. 5 – Error in iudicando – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, comma 4 ter, dell’art. 10, comma 2, del D.Lgs 368/2001 ratione temporis applicabile e degli artt. 19 e 21, comma 2 – e art. 29 comma 1, D. L.vo n. 81/2015 (art. 360 n.3 C.P.C.), con riferimento all’art. 5, comma 4 bis del D.Lgs n. 368/2001 e direttiva 1999/70/CE, all’art. 19 D. Lg.vo e alla CCNL per gli operai agricoli e florovivaisti – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. 

3) – Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del C.C.N.L. per gli operai agricoli e florovivaisti e della contrattazione provinciale, con riferimento al DPD 1525/1963, all’art. 2135 C.C. ed agli artt. 1 e 21 C.C.N.L. per gli operai florovivaisti, laddove è stato ritenuto che le mansioni del ricorrente siano riconducibili a quelle di operaio agricolo – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (pag. 11 a 18);

4) – Art. 360 n.ri 3 e 5 C.P.C. – error in judicando – Violazione e/o falsa applicazione della legislazione speciale dettata dalla Regione Sicilia per i lavoratori agricoli (L.R. 4/2006) della disciplina collettiva del C.C.N.L. e della contrattazione provinciale per gli operai agricoli e floravivaisti, con riferimento all’art. 5- comma 4/bis del D.Lgs 368/2001 e Direttiva 1999/70/CE e art. 19 D.Lgs n° 81/2015 – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (da pag. 18 e 22).

5)- Violazione e falsa applicazione degli artt. 91-92 e 96 C.P.C. per eccessiva onerosità nella liquidazione delle spese di lite – Mitigazione del principio della soccombenza”.

2. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Il ricorrente sostiene che l’appello sarebbe stato improcedibile in quanto il ricorso e il correlato decreto di fissazione dell’udienza sarebbero stati notificati per il tramite di posta elettronica.

La censura non può essere accolta, dovendosi rilevare che, a seguito dell’istituzione del c.d. domicilio digitale, di cui all’art. 16 sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv., con modif., dalla legge n. 221 del 2012, come modificato dal d.l. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014, le notificazioni e comunicazioni degli atti giudiziari, in materia civile, sono ritualmente eseguite – in base a quanto previsto dall’art. 16 ter, comma 1, del d.l. n. 179 del 2012, modificato dall’art. 45 bis, comma 2, lettera a), numero 1), del d.l. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014, e successivamente sostituito dall’art. 66, comma 5, del d.lgs. n. 217 del 2017, con decorrenza dal 15 dicembre 2013 – presso un indirizzo di posta elettronica certificata estratto da uno dei registri indicati dagli artt. 6 bis, 6 quater e 62 del d.lgs. n. 82 del 2005, nonché dall’art. 16, comma 12, dello stesso decreto, dall’art. 16, comma 6, del d.l. n. 185 del 2008, conv., con modif., dalla legge n. 2 del 2009, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia e, quindi, indistintamente, dal registro denominato Ini-PEC e da quello denominato Re.G.Ind.E (Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 2460 del 3/02/2021).

In particolare, la S.C. ha chiarito che, in materia di notificazioni al difensore, in seguito all’introduzione del “domicilio digitale”, previsto dall’art. 16 sexies D.L. n. 179/2012 (conv. con modif. con Legge n. 221/2012), come modificato dal D.L. n. 90/2014 (conv. con modif. con Legge n. 114/2014), è valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art. 6 bis D. Lgs. n. 82/2005, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGindE, di cui al D.M. n. 44/2011, gestito dal Ministero della Giustizia (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23620 del 28/09/2018 e le successive Cass. Sez. 1 -Sentenza n. 2460 del 03/02/2021; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 3685 del 12/02/2021; Cass. Sez. L – Sentenza n. 33806 del 12/11/2021).

3. I motivi di ricorso dal secondo al quarto devono essere esaminati congiuntamente, stante la reciproca connessione, e sono fondati.

Le questioni sollevate con i tre motivi, infatti, sono state già esaminate recentemente da questa Corte con una nutrita serie di precedenti (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 34561 del 11/12/2023; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 34768 del 2023; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 34741 del 2023; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 34660 del 2023; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 34635 del 2023; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 34630 del 2023), le cui motivazioni vengono qui richiamate ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.

Con tali decisioni questa Corte è venuta ad enunciare direttamente (cfr. Cass. Sez. L – Ordinanza n. 34561 del 11/12/2023) i seguenti principi:

“L’(…) – ESA è un ente pubblico non economico il quale non può essere considerato imprenditore agricolo ai sensi dell’art. 2135 c.c., con la conseguenza che ai contratti di lavoro a tempo determinato conclusi da tale ente non è applicabile la disciplina di cui agli artt. 10, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 2001 e 29, comma 1, lett. B), del d.lgs. n. 81 del 2015”.

La deroga prevista dagli artt. 5, comma 4 ter, del d.lgs. n. 368 del 2001 e 21, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015 al divieto di superamento del limite massimo di trentasei mesi di durata dei contratti di lavoro a tempo determinato è applicabile, anche nel settore dell’agricoltura, solamente quando tali contratti riguardino attività stagionali ai sensi degli articoli citati”.

In tema di contratti di lavoro a tempo determinato, non è, di per sé, qualificabile come attività agricola stagionale, ai sensi degli artt. 5, comma 4 ter, del d.lgs. n. 368 del 2001 e 21, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015, quella, idonea a perpetuarsi nel tempo, che non dipenda dall’ordinaria scansione temporale delle comuni incombenze attinenti alla detta attività agricola; infatti, nell’ambito di attività imprenditoriali di carattere stagionale, esistono necessità operative, sia pure di dimensioni limitate, che proseguono per tutto il corso dell’anno, come quelle di custodia, riparazione e manutenzione degli impianti e dei macchinari e, in genere, di preparazione alla nuova stagione piena, con la conseguenza che i lavoratori addetti stabilmente (ed oltre i tempi indicati nella normativa nazionale in tema di contratti a tempo determinato) a simili attività devono essere dipendenti a tempo indeterminato e non lavoratori stagionali, anche quando l’attività produttiva come tale, considerata nel suo complesso, abbia carattere stagionale”.

In tema di rapporti di lavoro a tempo determinato che riguardino attività stagionali ai sensi degli artt. 5, comma 4 ter, del d.lgs. n. 368 del 2001 e 21, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015, le prestazioni da eseguire e il carattere stagionale delle stesse devono risultare dalla causale dei relativi contratti e, in caso di contestazioni sollevate dal lavoratore in ordine alle mansioni in concreto svolte e alla loro stagionalità, il giudice è tenuto ad accertare queste circostanze in concreto; l’onere di provare che il lavoratore fosse addetto esclusivamente a tali attività stagionali o ad altre ad esse strettamente complementari o accessorie grava sul datore di lavoro”. 

A tali principi questa Corte intende dare continuità, potendosi osservare – in sintesi – che:

– deve ritenersi – peraltro sia sulla scorta di numerose decisioni di questa Corte relative alla natura degli enti di sviluppo agricolo (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6634 del 30/03/2005; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13481 del 16/09/2002, proprio in tema degli enti di sviluppo agricolo previsti dalla L.R. Sicilia n. 21/1965, Cass. Sez. U, Sentenza n. 1416 del 27/01/2004; Cass. Sez. U, Sentenza n. 9970 del 14/11/1996) sia in virtù degli scopi e compiti delineati dagli artt. 2 e 3, della L.R. Sicilia n. 21/1965, istitutiva dell’Ente nonché delle ulteriori competenze stabilite dalla successiva L.R. Sicilia n. 73/1977 – che l’ESA sia un ente non economico dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, come tale non qualificabile come imprenditore agricolo, secondo la definizione di cui all’art. 2135 c.c., ed invece assoggettato alla disciplina di cui al D. Lgs. n. 165/2001;

– dall’esame della disciplina dettata in tema di contratti a termine – artt. 5 e 10, D. Lgs. n. 368/2001; 19, 21 e 29, D. Lgs. n. 81/2015 – emerge che, nonostante le modifiche via via apportate alla disciplina dei contratti a tempo determinato, il concetto di attività stagionale deve essere inteso in senso rigoroso e quindi comprensivo delle sole “situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto, ossia ad attività preordinate ed organizzate per un espletamento temporaneo (limitato ad una stagione)” (così Cass. Sez. L -Ordinanza n. 34561 del 11/12/2023), le quali sono aggiuntive rispetto a quelle normalmente svolte dall’impresa, da ciò derivando che non solo grava sul datore di lavoro l’onere di dar prova del fatto che l’attività in concreto svolta dal lavoratore costituisca attività aggiuntiva rispetto a quella normalmente svolta e caratterizzata, appunto, dalla stagionalità, ma anche è inibita al datore la possibilità di adibire il lavoratore assunto a termine a mansioni che esorbitino dall’ambito della lavorazione stagionale;

– ne deriva che l’elenco delle attività stagionali di cui al d.P.R. n. 1525/1963 è da considerarsi tassativo e non suscettibile di interpretazione analogica, vincolo, questo, che si riflette anche sulla contrattazione collettiva di cui all’art. 5, comma 4-ter, D. Lgs. 368/2001, la quale deve, a propria volta, elencare in modo specifico le attività caratterizzate da stagionalità;

– la disciplina di cui all’art. 21, comma 8, lett. c), CCNL Operai agricoli e florovivaisti ben vale ad evidenziare come vi possano essere lavoratori a tempo determinato che non rientrano nella deroga alla durata massima dei contratti a termine;

– le previsioni della L.R. Sicilia n. 4/2006 non risultano in grado di operare una deroga alla disciplina nazionale dei contratti a termine di cui al D. Lgs. n. 368/2001 ed al D. Lgs. n. 81/2015.

Dai principi sin qui sintetizzati la decisione della Corte d’appello di Palermo risulta essersi ampiamente discostata, facendo inadeguato governo delle previsioni in tema di contratti a termine.

Non corretto, in primo luogo, risulta il richiamo – contenuto nella decisione impugnata – all’art. 10, comma 2, D. Lgs. n. 368/2001, in quanto disciplina dettata per i datori di lavoro dell’agricoltura, qualità che – come visto – non può riconoscersi all’ESA.

Parimenti non condivisibili sono le argomentazioni della corte territoriale, nel momento in cui quest’ultima viene a escludere che la stagionalità della lavorazione fosse requisito necessario al fine di affermare la legittimità dei contratti a termine e giunge alla conclusione per cui, nel settore dell’agricoltura, sarebbero state giustificate deroghe, fondate su ragioni di natura oggettiva, al sistema delle tutele del lavoro a termine e dei rimedi apprestati in caso di abusiva successione contrattuale.

Tali conclusioni non possono trovare conforto neppure nell’affermazione per cui la naturale ciclicità temporale dell’attività agricola renderebbe il rapporto agricolo peculiare e giustificherebbe la possibilità di proroghe e/o rinnovi oltre il termine del triennio, dal momento che neppure la ciclicità dell’attività agricola consente eccezioni alla disciplina dei contratti a termine, dovendosi invece ritenere che i lavoratori adibiti stabilmente a mansioni che rispondono ad esigenze permanenti dell’attività stagionale debbano essere dipendenti a tempo indeterminato.

Sarebbe stato allora compito della corte territoriale, in virtù delle contestazioni sollevate dal ricorrente in ordine all’effettiva individuazione delle mansioni da lui esercitate e alla loro natura agricola e stagionale, procedere all’accertamento in concreto delle mansioni effettivamente espletate, tenendo peraltro conto degli oneri probatori gravanti sul datore di lavoro ESA, concernenti sia la presenza, nel contratto concluso con il ricorrente, di un chiaro riferimento alla stagionalità dell’attività da svolgere, sia il carattere delle prestazioni effettivamente svolte dal ricorrente e la riconducibilità delle medesime all’elenco individuato dal d.P.R. n. 1525/1963 o alla contrattazione collettiva prevista dall’art. 5, comma 4 ter, D. Lgs. n. 368/2001.

La fondatezza dei motivi di ricorso, nei profili sin qui esaminati, conduce al loro accoglimento, risultando assorbite le ulteriori censure con essi formulate.

4. Da ciò deriva, ulteriormente, l’assorbimento del quinto motivo di ricorso.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono, la decisione impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, la quale, nel conformarsi ai principi qui richiamati, provvederà a decidere la causa nel merito e a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

 Accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbito il quinto;

– cassa l’impugnata sentenza e rinvia, per la decisione nel merito e per la regolazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione.