CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 26891 depositata il 16 ottobre 2024
Lavoro – Informatore medico-scientifico – Illegittimità licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Pagamento indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale – Collaborazione coordinata continuativa – Obbligo di repéchage – Rigetto
Rilevato che
1. con sentenza 10 gennaio 2023, la Corte d’appello di Palermo ha dichiarato illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato da D.F. s.p.a. a G.A. con lettera di recesso del 29 ottobre 2018, risolto il rapporto di lavoro tra le parti e condannato la società al pagamento, in favore del lavoratore a un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale pari ad otto mensilità spettanti alla figura equipollente ad impiegato appartenente alla categoria B1 della funzione Commerciale/Marketing Vendite del CCNL Chimico Farmaceutico: così riformando la sentenza di primo grado, in esito a rito Fornero, di annullamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (per manifesta insussistenza del fatto a suo fondamento) e di condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura di dodici mensilità pari alla retribuzione globale di fatto (per sommatoria delle provvigioni maturate nel corso dell’ultimo anno e suddivisione per dodici mesi), oltre accessori di legge;
2. essa ha disatteso le eccezioni preliminarmente dedotte dalla società reclamante, di incompetenza territoriale dell’adito Tribunale di Agrigento (nella cui circoscrizione era ubicata la dipendenza aziendale di adibizione del lavoratore al momento di cessazione del rapporto di lavoro: art. 413, secondo comma c.p.c.) in favore di quella del Tribunale di Milano (nella cui circoscrizione era stato stipulato il contratto tra le parti, per effetto dell’introduzione del giudizio oltre sei mesi dopo la cessazione del rapporto di lavoro: art. 413, terzo comma c.p.c.) e di abuso del diritto (per la mera dilatazione dei tempi di introduzione del giudizio in virtù del ricorso strumentale del lavoratore al tentativo obbligatorio di conciliazione);
3. nel merito, la Corte territoriale ha condiviso quanto ritenuto dal Tribunale in ordine alla non rispondenza della qualificazione formale del rapporto tra le parti come di agenzia (per la comprovata attività di informatore scientifico del lavoratore medesimo: palesemente differente dalla prima), bensì riconducibile, alla luce delle scrutinate risultanze istruttorie, ad una collaborazione coordinata continuativa.
Dato peraltro atto della mancata impugnazione della ritenuta inesistenza di alcun rilievo preclusivo dei verbali di conciliazione sottoscritti tra le parti in sede sindacale il 9 gennaio 2015 e il 15 dicembre 2017, siccome aventi ad oggetto periodi anteriori a tali date, all’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato tra le stesse dal momento di loro sottoscrizione alla cessazione del rapporto (affermata nell’ordinanza e ribadita nella sentenza del Tribunale), essa ha applicato ratione temporis la disciplina, non già di conversione automatica del rapporto in uno subordinato a tempo indeterminato, a norma degli artt. 61, primo comma e 69, primo comma d.lgs. 276/2003, ma quella prevista dall’art. 2 d.lgs. 81/2015; con la conseguente applicazione – per l’accertata inesistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento per inottemperanza datoriale all’obbligo di repéchage – della tutela prevista dall’art. 3 d.lgs. 23/2015, liquidata nella misura suindicata, tenuto conto, oltre che dell’anzianità di servizio, del pregiudizio subito dal lavoratore, in ragione della genesi della controversia e delle ricadute dell’interruzione del rapporto sulla sua sfera professionale;
4. con atto notificato il 9 marzo 2023, la società ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, cui ha il lavoratore resistito con controricorso;
5. con successivo atto notificato il 13 marzo 2023, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui la società ha resistito con controricorso.
Questo secondo ricorso deve essere qualificato incidentale, per il principio di unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza, comportante che, avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbano essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; sicché, ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale, purché rispettoso del termine di ammissibilità di quaranta giorni, a norma del combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c. (Cass. 20 marzo 2015, n. 5695; Cass. 23 novembre 2021, n. 36057);
6. entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.;
7. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1. la ricorrente principale ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 413 c.p.c., per erronea individuazione del tribunale territorialmente competente, per essere decorsi sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e della conseguente cessazione del domicilio del lavoratore – dipendenza aziendale (primo motivo);
2. esso è infondato;
3. in tema di competenza per territorio nel rito del lavoro, ai fini dell’individuazione del foro della dipendenza ove era addetto il lavoratore alla cessazione del rapporto, ai sensi dell’art. 413, secondo comma c.p.c., non opera il limite temporale previsto dal successivo terzo comma, che si riferisce esclusivamente alla cessazione della dipendenza e non anche al venir meno della destinazione del lavoratore a prestarvi la sua opera (Cass. 3 dicembre 2020, n. 27684, in motivaz.: “la giurisprudenza di questa Corte ritiene, infatti, che, per quel che riguarda l’individuazione del foro della dipendenza ove era addetto il dipendente alla cessazione del rapporto, non risulta operante il limite temporale previsto dal comma 3 dell’art. 413 cod.proc.civ., che si riferisce esclusivamente alla cessazione della dipendenza e non anche al venir meno della destinazione ad essa del lavoratore (principio risalente, v. Cass. nr. 6192 del 1990, ma fermo nella giurisprudenza della Corte: v., in motiv. Cass. nr. 13444 del 2009; Cass. nr. 8522 del 2014; Cass. nr. 6932 del 2019)”; Cass. 22 novembre 2023, n. 32501, in motivaz. sub p.ti 2 e 3): secondo l’accezione di “dipendenza aziendale” non coincidente con quella di unità produttiva contenuto in altre norme di legge, ma intesa in senso lato, in armonia con la mens legis, al fine di garantire che il foro speciale del lavoro sia il più possibile prossimo alla prestazione lavorativa (Cass. n. 23110/2010; Cass. n. 3154/2018; Cass. n. 23053/2020; Cass. n. 1285/2022), tuttavia occorrendo pur sempre la sussistenza di un collegamento oggettivo o soggettivo del luogo ove il lavoratore presta la sua opera con l’organizzazione aziendale (Cass. 5 luglio 2023, n. 19023, che nella fattispecie in esame ha escluso la sussistenza di una dipendenza aziendale, per essersi l’attività di smart working atteggiata unicamente quale luogo di svolgimento della prestazione, che poteva peraltro essere fungibilmente espletata presso altre abitazioni, in assenza di alcun altro elemento, o collegamento oggettivo o soggettivo, caratterizzante in qualche modo l’abitazione quale dipendenza aziendale, nel senso detto);
3.1. nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato la coincidenza del domicilio personale del lavoratore con la dipendenza aziendale (al quarto capoverso di pg. 7 della sentenza), integrante l’ipotesi di sua adibizione ad essa al momento di cessazione del rapporto: e pertanto radicante la competenza territoriale del Tribunale di Agrigento, a norma dell’art. 413, secondo comma c.p.c.;
4. la ricorrente ha quindi dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 1742 e 1748 c.c., per la riconducibilità dell’attività di informazione scientifica del farmaco al contratto di agenzia, come quest’ultima avente natura spiccatamente commerciale di promozione indiretta della vendita, attraverso una propaganda ben compatibile con il rapporto di agenzia, non prevedendo affatto le due norme denunciate che la conclusione del contratto debba essere il risultato diretto dell’attività di promozione dell’agente e neppure che la provvigione gli spetti esclusivamente qualora l’operazione di vendita sia effetto del suo intervento diretto (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. (in relazione agli artt. 1742 c.c. e 3 Direttiva 86/653/CEE) e 1362 c.c., per la ritenuta sussistenza di un obbligo di prova della conclusione di contratti per la ricorrenza di un genuino contratto di agenzia nell’ipotesi di uno a causa mista, come quello in oggetto, di promozione di vendita diretta di medical devices (all. A1) e di informazione scientifica presso i medici dei prodotti indicati nell’all. A2, in assenza di un accertamento dello svolgimento, da parte del lavoratore, dell’attività di vendita diretta di medical devices, indipendentemente dalla conclusione effettiva di un determinato numero di vendite e quindi dalla generazione di un volume di affari, alla cui mancata documentazione si è limitata la Corte territoriale (terzo motivo);
5. anch’essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;
6. occorre preliminarmente ribadire che l’attività del propagandista di medicinali (definito anche propagandista scientifico o informatore medico-scientifico), che può svolgersi sia nell’ambito del rapporto di lavoro autonomo che in quello del rapporto di lavoro subordinato, consiste nel persuadere la potenziale clientela dell’opportunità dell’acquisto, informandola del prodotto e delle sue caratteristiche, ma senza promuovere (se non in via del tutto marginale) la conclusione di contratti.
Dall’anzidetta attività differisce quella dell’agente, il quale, nell’ambito di un’obbligazione non di mezzi ma di risultato, deve altresì pervenire alla promozione della conclusione dei contratti, essendo a questi direttamente connesso e commisurato il proprio compenso (Cass. 19 agosto 1992, n. 9676; Cass. 16 aprile 2021, n. 10158);
6.1. nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato la ricorrenza di un rapporto di informazione medica scientifica, diversa da quella di agente, neppure in forma a questa commista, per la rilevata mancata documentazione di vendita di dispositivi medicali, a fronte dell’accertata prevalenza dell’informazione scientifica, svolta in maniera sistematica presso gli operatori sanitari (dal primo al penultimo capoverso di pg. 9 della sentenza), sulla base delle risultanze istruttorie acquisite e valutate dal Tribunale (richiamate al secondo capoverso di pg. 3 della sentenza);
7. il ricorrente incidentale ha, a propria volta, dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la mancata impugnazione di una scrittura di conciliazione, anche in sede protetta, precluda l’indagine sulla natura (autonoma o subordinata) del pregresso rapporto e che la stipulazione di successivi contratti possa incidere sulla già avvenuta conversione, ai sensi dell’art. 69, primo comma d.lgs. 276/2003, anche senza la prova di una novazione (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 e 2730 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che integri confessione la premessa ad un accordo transattivo nella quale si richiami il contratto di agenzia regolante l’ultima fase del rapporto (secondo motivo): da esaminare ora per ragioni di pregiudizialità logico – giuridica;
8. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;
9. secondo principio consolidato da epoca risalente nella giurisprudenza di questa Corte, il regime di annullabilità degli atti contenenti rinunce del lavoratore a diritti garantiti da norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, previsto dall’art. 2113 c.c., riguarda soltanto le ipotesi di rinuncia a diritti già acquisiti, non invece ancora non acquisiti nel patrimonio del rinunciante (Cass. 8 luglio 1988, n. 4529, secondo cui la transazione con la quale il lavoratore riconosca il carattere autonomo, anziché subordinato, del rapporto di lavoro intercorso con la controparte fino ad una certa data, da cui essa si obblighi ad assumerlo, resta soggetta alla disciplina dell’art. 2113 c.c. solo per la parte di rinuncia del lavoratore a diritti già acquisiti e non anche per la parte di rinuncia a diritti non ancora maturati;
Cass. 20 maggio 2013, n. 1227 e Cass. 11 ottobre 2018, n. 25315, in motivaz. sub p.to 5, in riferimento a verbali di conciliazione preclusivi della possibilità per i lavoratori di rivendicare differenze retributive per scatti di anzianità maturati in base alla anzianità pregressa nel periodo antecedente la formale assunzione, ma non il diritto di avvalersi di tale anzianità al fine del computo degli scatti di anzianità maturati dopo l’assunzione), né diritti ancora controverso in quanto oggetto di una pretesa giudiziale e pertanto non già acquisiti nel patrimonio del rinunciante (Cass. 27 aprile 2021, n. 11108; Cass. 21 gennaio 2022, n. 1887).
In particolare, la categoria dei diritti indisponibili – cui si applica, qualora abbiano formato oggetto di rinunzie o transazioni, l’art. 2113 c.c. – comprende non soltanto i diritti di natura retributiva o risarcitoria correlati alla lesione di diritti fondamentali della persona, ma, alla luce della ratio sottesa alla disposizione codicistica a tutela del lavoratore quale parte più debole del rapporto di lavoro, ogni altra posizione regolata in via ordinaria attraverso norme inderogabili, salvo che vi sia espressa previsione contraria (Cass. 7 settembre 2021, n. 24078, che nella specie ha ritenuto annullabile, a norma dell’art. 2113 c.c., se impugnata ed in presenza dei relativi presupposti, la transazione relativa alla cessazione dei rapporti di collaborazione formalmente autonoma succedutisi tra le parti, di cui era stata successivamente accertata in via giudiziale la natura subordinata);
9.1. i suenunciati principi di diritto, applicati alle conciliazioni in sede sindacale tra le parti del 9 gennaio 2015 e del 15 dicembre 2017 – di concorde cessazione del rapporto fino a quel momento decorso e di avvio, con effetto novativo di una collaborazione di analoga natura (così al penultimo capoverso di pg. 10 della sentenza) e correttamente interpretate, tanto dall’ordinanza in fase sommaria tanto dalla sentenza in quella di opposizione, come esclusivamente regolanti i diritti maturati fino alla loro stipulazione, ma non preclusivo dell’accertamento della natura del rapporto dal momento della loro sottoscrizione fino alla data del recesso, neppure oggetto di impugnazione dal lavoratore (così al terz’ultimo capoverso di pg. 10 della sentenza) –sorreggono il ragionamento argomentativo, che appunto li sottende, della Corte territoriale alla base dell’applicazione del regime vigente ratione temporis alla collaborazione tra le parti dal 19 dicembre 2017 (dal terz’ultimo capoverso di pg. 10 al primo capoverso di pg. 11 della sentenza): e pertanto, la disciplina dell’art. 2 d.lgs. 81/2015.
Accanto ad esso, in sé esaustivamente risolutivo della questione e con indubbia natura di ratio decidendi sulla selezione della disciplina applicabile, a mero completamento argomentativo in replica alla contestazione della superiore ricostruzione giuridica opposta dal lavoratore (al secondo e terzo capoverso di pg. 11 della sentenza), la Corte palermitana introduce (“Non solo infatti esso patisce la mancata impugnazione della scrittura di conciliazione, ma ignora la circostanza, probatoriamente significativa, che trapela dalle stesse enunciazioni delle parti nelle premesse dell’accordo transattivo, allorquando esse dichiaravano … ”: così al quarto capoverso di pg. 11 della sentenza) la circostanza oggetto del secondo motivo di censura.
Ma essa, sostanzialmente irrilevante per la ragione detta, neppure coglie esattamente l’affermazione della Corte, che attribuisce piuttosto alla dichiarazione una natura ricognitiva, cui tributa, nell’ambito del contenuto complessivo della conciliazione novativa, una “portata confessoria della realtà della situazione giuridica ivi enunciata” (così al quinto capoverso di pg. 11 della sentenza): ben essendo possibile, nel contenuto complessivo di una transazione, distinguere anche un momento accertativo della situazione di fatto preesistente; sicché, in tal caso, le relative dichiarazioni di scienza hanno valore confessorio, purché abbiano ad oggetto la ricognizione di situazioni fattuali o di situazioni giuridiche considerate sub specie facti (quali un preesistente negozio, un contratto, una promessa) e non già valutazioni giuridiche (Cass. 6 febbraio 2009, n. 3033; Cass. 10 novembre 2015, n. 22956; Cass. 15 maggio 2018,n. 11743, in motivaz.);
10. la ricorrente principale ha poi dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2 d.lgs. 81/2015, per l’erroneamente ritenuta sussistenza di una forma di etero-organizzazione dell’attività da parte della società, in difetto di indagine sulla natura concordata tra le parti ovvero unilateralmente imposta del coordinamento, così da costituire un’etero-organizzazione del lavoratore (quarto motivo);
11. esso è inammissibile;
12. a fronte di un argomentato accertamento della Corte d’appello dei ristretti margini di autonomia del lavoratore, alla luce degli scrutinati indici sintomatici di una pregnante e stabile ingerenza della committente, deponente per la prestazione dal predetto di un’attività etero-organizzata con coordinamento e controllo della medesima committente anche sui tempi e il luogo dell’attività (al secondo e terzo capoverso di pg. 10 della sentenza), in esatta applicazione dei principi di diritto regolanti la materia (di sufficienza – in tema di rapporti di collaborazione ai sensi dell’art. 2 d.lgs. 81/2015, ai fini dell’individuazione della nozione di etero-organizzazione, rilevante per l’applicazione della disciplina della subordinazione – della funzionalità del coordinamento imposto dall’esterno con l’organizzazione del committente, così che le prestazioni del lavoratore possano, secondo la modulazione predisposta dal primo, inserirsi ed integrarsi con la sua organizzazione di impresa, costituendo la unilaterale determinazione anche delle modalità spazio temporali della prestazione una possibile, ma non necessaria, estrinsecazione del potere di etero-organizzazione: Cass. 24 gennaio 2020, n. 1663), la società ne contesta la valutazione probatoria, sollecitando una rivisitazione del fatto nel merito, incensurabile in sede di legittimità;
13. infine, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 c.c. e 3 legge n. 604/1966, per l’erroneamente ritenuta insussistenza del giustificato motivo di recesso in relazione alla mancata prova del repéchage (quinto motivo);
14. esso è infondato;
15. la Corte territoriale, in coerente applicazione dei principi di diritto regolanti la natura dell’istituto nella composizione strutturale del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, trasfusi nella disciplina applicabile ratione temporis (ai primi tre capoversi di pg. 12 della sentenza), ha accertato l’inosservanza dell’obbligo di repéchage (per le ragioni esposte al terz’ultimo e penultimo capoverso di pg. 12 della sentenza);
16. entrambi i ricorsi devono essere pertanto rigettati, con la compensazione delle spese del giudizio tra le parti e con raddoppio del contributo unificato per entrambe le parti ricorrenti, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta entrambi i ricorsi e dichiara le spese del giudizio compensate tra le parti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi principale e incidentale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.