Corte di Cassazione, sezione lavoro, Ordinanza n. 27161 depositata il 21 ottobre 2024
licenziamento disciplinare – necessaria verifica della previsione della condotta nella contrattazione collettiva o nel codice discipilnare come punita con sanzione conservativa – conseguenze
RILEVATO CHE
1.- R.N. era stato dipendente di Banca M.P.S. spa fino al 24/07/2018 quando era stato licenziato per giusta causa all’esito della contestazione disciplinare del 23/05/2018.
In precedenza, dal 07/04/2015 al 02/04/2017 era stato “gestore small business” presso l’agenzia 12 di Roma e poi dal 03/04/2017 al licenziamento era stato “addetto al settore commerciale estero dell’area territoriale Centro e Sardegna”. Era inquadrato dal 07/04/2015 nella categoria delle aree professionali – 3^ area – IV livello; in precedenza era stato quadro direttivo di IV livello, ma, con patto di dequalificazione dell’01/04/2015, aveva accettato inquadramento e retribuzione inferiori in alternativa alla risoluzione del rapporto di lavoro per motivi disciplinari.
2.- Il licenziamento era stato impugnato dal R.N. sia per insussistenza dei fatti contestati (per non avere egli potere decisionale rispetto alle concessioni di finanziamenti e alle aperture dei conti correnti), sia per essere la condotta contestatagli punita dal contratto collettivo con sanzioni di tipo conservativo.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale di Roma, all’esito della fase c.d. sommaria del rito previsto dalla legge n. 92/2012, accoglieva l’impugnazione, ordinava la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e condannava altresì la banca al pagamento dell’indennità risarcitoria fino ad un massimo di dodici mensilità.
Con sentenza poi rigettava l’opposizione della banca.
3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva parzialmente il reclamo interposto dalla banca, dichiarava la risoluzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condannava M.P.S. a pagare al R.N. l’indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata in ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, detratto quanto già corrisposto in esecuzione dell’ordinanza del Tribunale.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale analizzava ciascuno dei dieci addebiti oggetto della contestazione disciplinare:
- riteneva parzialmente sussistente il primo, sussistente il secondo, insussistente il terzo, insussistente il quarto, sussistente il quinto, sussistente il sesto, tardivo il settimo, parzialmente sussistente l’ottavo, sussistente il nono e sussistente il decimo dei fatti addebitati;
- precisava che i fatti risultati sussistenti non erano tali da integrare una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo, né, d’altro canto, erano espressamente previsti dal contratto collettivo o dal codice disciplinare come puniti con sanzioni conservative;
- affermava dunque la sproporzione tra i fatti risultati sussistenti e la sanzione massima adottata ed applicava la tutela di cui al co. 5 dell’art. 18 L. n. 300/1970;
- accordava la misura massima dell’indennità risarcitoria (ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto) tenuto conto delle dimensioni aziendali, dell’attività economica e, soprattutto, dell’anzianità di servizio del R.N. assunto in data 01/01/2009.
4.- Avverso tale sentenza R.N. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- Banca Monte dei Paschi di Siena spa ha resistito con controricorso ed a sua volta ha proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi.
6.- R.N. ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.
7.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
8.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
Per ragioni di ordine logico-giuridico va dapprima esaminato il ricorso incidentale, che pone questioni di carattere pregiudiziale.
RICORSO INCIDENTALE
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente incidentale lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2119 c.c., 1 e 3 L. n. 604/1966 per avere la Corte territoriale escluso che i fatti addebitati, pur riconosciuti sussistenti, fossero tali da integrare una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo. In particolare addebita alla Corte territoriale una evidente contraddittorietà, laddove da un lato ha riconosciuto sussistenti le “omissioni riguardanti accertamenti istruttori e le violazioni di direttive aziendali implicanti inadempimenti ai doveri di controllo e vigilanza derivanti dal ruolo ricoperto di gestore small business, la cui rilevanza nel contesto della strategia aziendale non dovrebbe sfuggire a chi aveva in precedenza ricoperto, come il R.N., l’incarico di Quadro Direttivo di IV livello” (v. sentenza impugnata, p. 23), dall’altro ha escluso la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo.
Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.
La Corte territoriale ha precisato che il licenziamento è stato intimato per una pluralità di distinti ed autonomi comportamenti, dei quali soltanto alcuni sono risultati dimostrati. Proprio su questo presupposto ha fondato il giudizio di sproporzione, dunque motivato sulla base di un criterio quantitativo. Il richiamo alla rilevanza dei compiti del R.N. nel contesto della strategia aziendale, nella logica e nell’economia della motivazione della sentenza impugnata, è servito solo ad affermare ed argomentare la rilevanza disciplinare, dal punto di vista soggettivo (ossia dell’elemento psicologico e dell’imputabilità al lavoratore), dei fatti dei quali era stata ritenuta raggiunta la prova in giudizio.
Per il resto il motivo è inammissibile, perché l’accertamento della concreta ricorrenza degli elementi integranti il parametro normativo della giusta causa costituisce un giudizio di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici (Cass. ord. n. 7029/2023; Cass. n. 12789/2022; Cass. n. 31155/2018). Inoltre, sotto la surrettizia veste della violazione di norma di diritto, la ricorrente incidentale in realtà lamenta un vizio di motivazione (contraddittorietà e apoditticità), che pertanto doveva essere fatto valere sotto altra veste.
2.- Con il secondo motivo, proposto in via subordinata ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente incidentale lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 18, co. 5, L. n. 300/1970 per avere la Corte territoriale riconosciuto l’indennità risarcitoria nella misura massima, senza tenere conto dei parametri che il co. 5 impone di considerare, ossia il comportamento e le condizioni delle parti. Deduce che il comportamento del R.N. è un dato molto rilevante.
Con il terzo motivo, proposto, in via ulteriormente gradata, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente incidentale lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 91 c.p.c. per avere la Corte territoriale compensato solo un terzo delle spese dei due gradi di giudizio.
Entrambi i motivi sono assorbiti dall’accoglimento del primo motivo del ricorso principale.
RICORSO PRINCIPALE
4.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 18 L. n. 300/1970, 1362 ss c.c. per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato il codice disciplinare aziendale del 18/05/2004, laddove ha affermato che “il codice disciplinare della Banca riconduce genericamente – in assenza di specifiche tipizzazioni – la violazione delle norme contrattuali e delle direttive aziendali sia alla sanzione conservativa della sospensione dal servizio e dal trattamento economico, sia al licenziamento a seconda della gravità attribuibile in concreto alla mancanza” (v. sentenza impugnata, p. 23). In particolare addebita alla Corte territoriale di aver condiviso l’interpretazione dell’art. 18 L. n. 300 cit. data da questa Corte di legittimità (Cass. n. 31529/2019), secondo cui a seguito della novella apportata dalla legge n. 92/2012, la reintegrazione sarebbe l’eccezione, mentre la regola sarebbe la tutela indennitario-risarcitoria. E dunque, pur avendo escluso la sussistenza di una gravità tale da integrare la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo, ha altresì escluso la riconducibilità dei fatti accertati a fattispecie tipizzate dal contratto collettivo o dal codice disciplinare ed ha accordato unicamente la tutela indennitaria.
Il motivo è fondato.
Il giudizio di gravità attiene al fatto e si riflette sulla valutazione di proporzionalità della sanzione. Orbene, la difficoltà di ricondurre al fatto anche il giudizio di proporzionalità fondato sull’art. 2106 c.c. è stata superata da questa Corte – come ha ricordato il ricorrente principale nella sua memoria – con il consolidarsi di un orientamento favorevole alla considerazione delle clausole generali come uno degli strumenti giuridici di cui la contrattazione collettiva o il codice disciplinare possono avvalersi per tipizzare fattispecie da punire con sanzione conservativa, dando in tal modo maggiore ampiezza di significato al rinvio operato dall’art. 18, co. 4, L. n. 300/1970 alle previsioni della contrattazione collettiva e dei codici disciplinari.
L’interpretazione più restrittiva – cui ha aderito la Corte territoriale – limitava l’accesso alla tutela c.d. reale (reintegrazione nel posto di lavoro) ai casi in cui la valutazione di proporzionalità, fra sanzione conservativa e fatto contestato, fosse precisamente tipizzata dalla contrattazione collettiva o dal codice disciplinare mediante una specifica ed analitica descrizione delle condotte meritevoli soltanto di una sanzione conservativa (Cass. n. 19578/2019; Cass. n. 13533/2019; Cass. n. 12365/2019), esclusa l’utilizzabilità di clausole generali come la “gravità”.
Ma tale orientamento è stato oggetto di una successiva rimeditazione (Cass. n. 11665/2022), in virtù della quale le fasi dell’accertamento dell’illegittimità del licenziamento e dell’individuazione della tutela applicabile sono distinte. Pertanto, una volta esclusa la ricorrenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo ed accertata, in tal modo, l’illegittimità del licenziamento, occorre selezionare e individuare la tutela applicabile tra quelle previste dal novellato art. 18, co. 4 e 5, L. n. 300 cit.
A questo riguardo va preliminarmente ribadito sul piano del metodo che la previsione, da parte del contratto collettivo o del codice disciplinare, della sanzione espulsiva non è vincolante per il giudice, poiché il giudizio di gravità e di proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice ex art. 2119 c.c., ossia alla luce della nozione legale di giusta causa (o di giustificato motivo soggettivo), avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, sebbene la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisca uno (ma soltanto uno) dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di fonte legale, ossia utilizzata dall’art. 2119 c.c. (Cass. n. 16784/2020; Cass. n 33811/2021).
Viceversa, nell’ipotesi in cui un comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia configurato e tipizzato dal contratto collettivo o dal codice disciplinare come infrazione meritevole solo di una sanzione conservativa, il giudice non può discostarsi da tale previsione, che quindi è vincolante, poiché condizione di maggior favore fatta espressamente salva dall’art. 12 della legge n. 604/1966, a meno che accerti che le parti abbiano previsto, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva (Cass. n. 14811/2020) e ritenga che il fatto concretamente accertato presenti questa connotazione di maggiore gravità.
Dunque il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, anche in quella previsione contrattual- collettiva o del codice disciplinare che, con clausola generale ed elastica (articolata in termini di minore o maggiore gravità), punisca l’illecito con sanzione conservativa, senza che detta operazione di interpretazione e sussunzione trasmodi nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato (art. 2106 c.c.). Si tratta, infatti, pur sempre di dare attuazione al principio di proporzionalità come tipizzato dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo oppure dal datore di lavoro mediante il codice disciplinare – cui rinvia l’art. 18, co. 4, L. n. 300/1970 – sebbene tale tipizzazione sia avvenuta mediante lo strumento giuridico delle clausole generali ed elastiche (Cass. n. 107/2024; Cass. n. 20780/2022; Cass. n. 13063/2022).
Questo orientamento si è ormai consolidato e rappresenta il “diritto vivente”, riferito ai licenziamenti regolati dall’art. 18 L. n. 300/1970, come riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale (C. Cost. n. 129/2024).
Nel caso in esame la Corte territoriale ha compiuto il giudizio di gravità unicamente sul piano della fonte legale (artt. 2119 c.c. e 3 L. n. 604/1966), al fine di escludere la ricorrenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo e quindi per dichiarare illegittimo il licenziamento, ritenuto sproporzionato sempre e soltanto sul piano della fonte legale (art. 2106 c.c.). Tuttavia, nella fase dell’individuazione della tutela applicabile, non ha verificato – alla luce dell’elemento costitutivo della minore o maggiore gravità, nel significato attribuitovi dal contratto collettivo o dal codice disciplinare – se il fatto come concretamente accertato potesse rientrare nella fattispecie meno grave previsto e tipizzato da quelle “fonti” (contratto collettivo e/o codice disciplinare) e, pertanto, concludere nel senso della tutela reintegratoria.
Questo mancato accertamento è certo dipeso dall’espressa adesione, da parte della Corte territoriale, al precedente orientamento di questa Corte di legittimità sopra ricordato ed è stato quindi determinato dalla ritenuta impossibilità di considerare la maggiore o minore gravità come uno degli elementi costitutivi della fattispecie tipizzata dal contratto collettivo o dal codice disciplinare. I giudici del reclamo, infatti, hanno ritenuto che in quelle “fonti” non sussistesse la tipizzazione della fattispecie a causa del riferimento ivi esistente alla “gravità” genericamente intesa. Ne consegue che la decisione impugnata si rivela non conforme al diritto vivente, sopra ricordato, con riguardo al profilo della tutela applicabile.
La sentenza d’appello va pertanto cassata e il giudice del rinvio procederà al riesame della fattispecie secondo il principio per cui il giudice, ai fini dell’individuazione della tutela applicabile, deve verificare se il fatto concreto sia sussumibile in una delle fattispecie previste dalla contrattazione collettiva o dal codice disciplinare come punite con sanzione conservativa, anche nel caso in cui tali fattispecie siano diversificate dal riferimento al minore o maggiore grado di “gravità” quale ulteriore elemento costitutivo della fattispecie tipizzata, previa interpretazione del suo significato secondo le previsioni contrattual-collettive e/o del codice disciplinare.
5.- Con il secondo motivo, proposto in subordine ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso la pronunzia sul capo di domanda relativo all’indennità sostitutiva del preavviso.
Con il terzo motivo, proposto in via ancora più gradata ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 18, co. 5, L. n. 300/1970, 2118 e 2119 c.c. qualora volesse ritenersi sussistente un implicito rigetto – da parte della Corte territoriale – della domanda relativa all’indennità sostitutiva del preavviso. Ad avviso del ricorrente, l’indennità risarcitoria del co. 5 dell’art. 18 cit. non assorbe in alcun modo l’indennità sostitutiva del preavviso, in quanto avente altra funzione.
Entrambi i motivi restano assorbiti dall’accoglimento del primo: la questione che ne forma oggetto potrà assumere rilevanza solo nel caso in cui il giudice del rinvio escluda che la tutela applicabile sia quella reintegratoria.
Alla Corte di rinvio è demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello previsto per il ricorso incidentale a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e di quello incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità. Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello previsto per il ricorso incidentale a norma dell’art. 13, co. 1-bis, D.P.R. cit., se dovuto.