CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 27698 depositata il 25 ottobre 2024

Lavoro – Illegittimità licenziamento disciplinare intimato – Indennità risarcitoria – Pagamento contributi previdenziali e assistenziali periodo dal recesso al ripristino del rapporto – Rigetto

Rilevato che

1. la Corte di Appello di Milano, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato ad E.S. in data 14.10.2020 e, per l’effetto, ha condannato D.E. (I.) S.r.l. a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro, oltre che a corrispondergli una indennità risarcitoria pari all’ultima retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento sino a quella di reintegrazione, detratto l’aliunde perceptum e, comunque, entro il limite massimo di 12 mensilità; ha altresì condannato la società al pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali per il periodo dal recesso al ripristino del rapporto;

2. la Corte, in estrema sintesi, dopo aver ricostruito le condotte di cui lo S. si era reso responsabile la sera del 28 agosto 2020, ha reputato “non condivisibile la valutazione di gravità effettuata dal primo giudice” e ha ritenuto “che, se valutate alla luce del caso concreto, le mancanze di cui il reclamante si è reso responsabile meritassero al più l’irrogazione di una sanzione disciplinare conservativa”;

2.1. il Collegio milanese ha argomentato che: “se è vero che S. ha fatto ingresso sul luogo di lavoro pur al di fuori del suo turno di servizio, detto ingresso non è avvenuto con violenza o sotterfugi, bensì passando dai tornelli in ingresso ed in uscita, registrando la presenza con il badge e permanendo nella sede aziendale – pacificamente di superficie molto estesa – per soli 10 minuti”; “non vi è prova che il reclamante si sia sottratto ai controlli per la temperatura corporea, né tanto meno che non indossasse i DPI resi necessari dall’emergenza sanitaria”; “nemmeno vi è prova che nel luogo di lavoro si sia creata una situazione anche solo assimilabile ad un assembramento, o che il transito di S. e dei suoi due colleghi abbia arrecato concreto disturbo o pregiudizio per l’attività aziendale e per la sua sicurezza”; lo “S. rivestiva all’epoca il ruolo di rappresentante sindacale e […], in sostanziale concomitanza con l’episodio del 28.8.2020, erano in corso manifestazioni di protesta organizzate dalla sigla nelle cui liste egli era stato eletto RSU (carica che, all’epoca dei fatti, a prescindere dalla fondatezza delle contestazioni che l’azienda aveva mosso circa la regolarità delle elezioni, S. rivestiva)”, per cui – secondo la Corte – “il ruolo di S. e <l’occasione> sindacale del suo accesso alla sede aziendale, in uno con le altre considerazioni già sopra svolte su tempi e modi dell’accesso medesimo, se non privano di antigiuridicità la condotta del dipendente, certo ne ridimensionano grandemente la gravità, sia dal punto di vista dell’elemento oggettivo della condotta, sia dal punto di vista dell’elemento soggettivo del suo autore”; “quanto poi alla violazione della direttiva di allontanamento impartita da Capelli, se è certo vero che l’infrazione vi è stata, non essendosi S. e i compagni immediatamente diretti all’uscita, la gravità della medesima va valutata avendo riguardo al caso concreto e agli elementi già detti (ridotto lasso di tempo tra ordine ed allontanamento; assenza di qualsivoglia forma di violenza o resistenza, fisica o verbale, da parte dei trasgressori; assenza di pregiudizio)”;

2.2. così rivalutati i fatti, la Corte, sulla scorta dei precedenti di legittimità rappresentati da Cass. n. 13063 del 2022 e Cass. n. 12745 del 2022, ha esaminato la contrattazione collettiva applicabile al rapporto e ha espresso l’avviso che “le condotte disciplinarmente rilevanti imputabili a S. come sopra accertate e contestualizzate, sono riconducibili – o comunque sono di gravità analoga: cfr. art. 32 comma 4 CCNL e sentenze di Cassazione già citate – a quelle del <lavoratore che commetta qualunque atto che porti pregiudizio alla disciplina, alla morale, all’igiene dell’azienda> e <del lavoratore che commetta qualunque atto che porti pregiudizio alla sicurezza dell’azienda>, tipologie entrambe punite con sanzione conservativa”, aggiungendo che “né la natura per così dire <composita> dell’infrazione commessa da S. giustifica, nel caso concreto, una diversa e più significativa connotazione di gravità” e precisando che “la medesima norma contrattuale riserva la sanzione espulsiva a condotte ben più gravi, in alcun modo assimilabili a quelle oggetto di giudizio”;

2.3. in ragione di tale riconduzione dei fatti a previsioni della contrattazione collettiva che punivano gli illeciti accertati con sanzione conservativa, la Corte ha ritenuto applicabile la tutela prevista dal comma 4 dell’art. 18 St. lav. novellato;

3. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società con cinque motivi; ha resistito l’intimato con controricorso; parte ricorrente ha comunicato memoria; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;

Considerato che

1. i motivi di ricorso possono essere sintetizzati secondo le rubriche proposte da parte ricorrente;

1.1. con il primo motivo si denuncia: “Ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n° 3, c.p.c. – Violazione e falsa applicazione degli artt. 2104 e 2119 c.c.”; si critica diffusamente la sentenza impugnata perché, pur riconoscendo la “sussistenza della maggior parte dei fatti contestati” e la loro “portata antigiuridica”, ha ritenuto tuttavia che gli stessi non fossero di gravità tale da giustificare il recesso;

1.2. con il secondo motivo si denuncia: “Ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cpc – violazione dell’art. 18, c.c. 4° e 5°, L. 300/1970 nonché dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale (preleggi al cod. civ.) e dell’art. 2119 c.c., anche previa remissione della questione alle Sezioni Unite Civili ex art. 376, comma 2°, c.p.c., ove ritenuta opportuna e/o necessaria, per il che, occorrendo, viene proposta espressa istanza ex art. 376, comma 2°, c.p.c.”; si critica la sentenza impugnata per aver aderito al più recente orientamento di legittimità che ha interpretato il comma 4 dell’art. 18 St. lav. novellato nel senso della sua applicabilità anche alle ipotesi in cui la condotta accertata sia sussumibile in una previsione contrattuale collettiva che punisca l’illecito con sanzione conservativa espressa attraverso clausole generali o elastiche;

1.3. con il terzo motivo si denuncia: “Ai sensi dell’art. 360, 1°c, n. 3 c.p.c. – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, L. 300/1970, per come interpretato dalle sentenze Cass. n. 13063/2022 e conformi e dell’art. 12 “preleggi” – Violazione e/o falsa applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui artt. 1362 e ss. c.c. in relazione all’art. 32 del CCNL Trasporti e Logistica”; si deduce che, comunque, la Corte territoriale avrebbe operato una vietata estensione analogica delle previsioni della contrattazione collettiva, in quanto i fatti accertati non sarebbero comunque sussumibili nelle disposizioni ritenute invece applicabili dalla sentenza, che avrebbe in particolare trascurato l’insubordinazione del dipendente;

1.4. con il quarto motivo si denuncia: “Ai sensi dell’art. 360, 1°c, n. 5 c.p.c. – Omesso esame di plurimi fatti decisivi per il giudizio e che sono stati oggetto di discussione tra le parti”;

1.5. con il quinto motivo si denuncia: “Ai sensi dell’art. 360, 1°c, n. 3 e n. 5 c.p.c. – Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e che sono stati oggetto di discussione tra le parti, relativamente all’omesso controllo della temperatura corporea.

 Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c.”; si contesta l’affermazione della Corte milanese secondo cui non sarebbe stata raggiunta la prova che lo S. si fosse sottratto ai controlli per la temperatura corporea e si eccepisce che “i giudici di appello si sono semplicemente conformati al giudizio già formulato dal Tribunale, in parte qua, senza tuttavia prendere in esame il fatto storico rilevante, né le prove offerte dalle parti, né quelle raccolte in prime cure, né tantomeno scrutinare gli elementi le prospettazioni delle parti, che erano sul punto diametralmente opposte, salvo coincidere sulla necessità di un ampliamento dell’istruttoria svolta in prime cure”;

2. i primi tre motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, per reciproca connessione, e non possono trovare accoglimento;

2.1. opportuno premettere taluni principi continuativamente espressi da questa Corte in tema di rapporti tra previsioni della contrattazione collettiva e fatti posti a fondamento di licenziamenti ontologicamente disciplinari (più diffusamente v. Cass. n. 36427 e n. 32815 del 2023);come noto, la contrattazione collettiva non vincola in senso sfavorevole al dipendente, anche quando si riscontri la corrispondenza del comportamento del lavoratore alla fattispecie tipizzata contrattualmente come ipotesi che giustifica il licenziamento disciplinare (v., tra molte, Cass. n. 8826 del 2017; Cass. n. 10842 del 2016; Cass. n. 21017 del 2015; Cass. n. 5280 del 2013);all’opposto la contrattazione collettiva vincola in senso favorevole al dipendente;

infatti, ove le previsioni del contratto collettivo siano più favorevoli al lavoratore – nel senso che la condotta addebitata quale causa del licenziamento sia contemplata come infrazione sanzionabile con misura conservativa – il giudice non può ritenere legittimo il recesso, dovendosi attribuire prevalenza alla valutazione di minore gravità di quel peculiare comportamento, come illecito disciplinare di grado inferiore, compiuta dall’autonomia collettiva nella graduazione delle mancanze disciplinari (cfr. Cass. n. 8718 del 2017; Cass. n. 9223 del 2015; Cass. n. 13353 del 2011; Cass. n. 19053 del 2005);di ciò vi è corrispondenza nella l. n. 92 del 2012, che ha modificato l’art. 18 della l. n. 300 del 1970, il cui quarto comma prevede la cd. tutela reintegratoria “attenuata” nelle ipotesi in cui il giudice “accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro […] perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base della previsione dei contratti collettivi”; sicché in tali casi il licenziamento è per legge privo di giustificazione, essendo il datore di lavoro vincolato dalla disposizione collettiva, non potendo derogarla in peius nei confronti del lavoratore (in termini, Cass. n. 12022 del 2024); è quanto accaduto nella fattispecie all’attenzione del Collegio, là dove la Corte d’Appello ha comunque sussunto la condotta del dipendente nell’ambito delle previsioni della contrattazione collettiva che punivano detta condotta con sanzioni conservative, con conseguente, inevitabile, coincidenza tra ragione di illegittimità del recesso e tutela reintegratoria applicabile, sicché le doglianze articolate nel primo motivo circa la pretesa violazione dell’art. 2119 c.c. appaiono prive di fondamento in relazione alla ratio decidendi espressa dai giudici territoriali;

2.2. piuttosto parte ricorrente critica l’adesione della Corte territoriale all’orientamento inaugurato da Cass. n. 11665 del 2022 – a precisazione di quanto in precedenza affermato da Cass. n. 12365 del 2019 – secondo cui:

In tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18, commi 4 e 5, della l. n. 300 del 1970, come novellato dalla l. n. 92 del 2012, il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisca l’illecito con sanzione conservativa.

 Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato restando nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo”; si è argomentato, tra l’altro, che “la tecnica dell’individuazione di fattispecie generali poi specificate in via esemplificativa attraverso l’individuazione di casi esplicativi, o ancora la catalogazione di una serie di condotte tipizzate accompagnata da una previsione più generale e di chiusura, non preclude al giudice di svolgere quell’attività di interpretazione integrativa del precetto normativo”, atteso che “l’utilizzazione nei contratti collettivi di norme elastiche o di previsioni di chiusura è connessa all’impossibilità pratica di tipizzare tutte le condotte di rilievo disciplinare oltre che all’indeterminatezza degli obblighi che fanno capo al lavoratore”;

tale indirizzo è stato più volte confermato da questa Corte (v. Cass. n. 13063 del 2022; Cass. n. 13064 del 2022; Cass. n. 13065 del 2022; Cass. n. 20780 del 2022; di recente: Cass. n. 95 del 2024; Cass. n. 107 del 2024; Cass. n. 32815 del 2023; Cass. n. 20698 del 2024; Cass. n. 22226 del 2024; Cass. n. 22331 del 2024; precedenti ai quali si rinvia ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.) e la stessa Corte costituzionale ha recentemente considerato tale successiva rimeditazione “oggi consolidata sino ad assurgere al rango di diritto vivente” (Corte cost. n. 129 del 2024, punto 6.2.); parte ricorrente non propone argomenti che inducano il Collegio a rivedere tale orientamento ovvero ad investire le Sezioni unite della questione, in assenza di pronunce difformi;

2.3. infine, in ordine alla censurata sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta delineata dalle previsioni della contrattazione collettiva come punibile con sanzione conservativa, occorre rilevare che la Corte territoriale ha ricondotto i fatti così come giudizialmente acclarati alle disposizioni del CCNL applicabile che punisce con la multa il “lavoratore che commetta qualunque atto che porti pregiudizio alla disciplina, alla morale, all’igiene dell’azienda” ovvero con la sospensione il “lavoratore che commetta qualunque atto che porti pregiudizio alla sicurezza dell’azienda”;

disposizioni, cioè, che non descrivono ipotesi di illecito tipizzate, ma costruite con formula a contenuto elastico, capace di contenere una serie innumerevole di condotte, accomunate dal tratto dell’idoneità a portare pregiudizio alla disciplina, alla morale, all’igiene e alla sicurezza dell’azienda;

la Corte territoriale ha anche avuto cura di precisare che le condotte disciplinarmente rilevanti imputabili allo S. “comunque sono di gravità analoga” a quelle individuate, così come espressamente consentito dal comma 4 dell’art. 32 del CCNL applicabile, secondo cui “Nei casi non elencati le sanzioni saranno applicate riferendosi per analogia di gravità a quelli elencati”;

in ordine a tale ultimo aspetto, come questa Corte ha già avuto modo di statuire nelle ipotesi in cui la disciplina collettiva prevede le sanzioni conservative “esemplificativamente”, quindi senza elencazioni tassative, in tali casi “il giudice ben può effettuare una valutazione in concreto per ritenere che la condotta tenuta dal lavoratore sia riconducibile, per contiguo disvalore disciplinare, alla fattispecie aperta che prevede le infrazioni punibili con sanzione conservativa”;

perché “non si tratta di estendere la sanzione conservativa ad ipotesi non previste, quanto piuttosto di prendere atto che le parti sociali hanno inteso descrivere le fattispecie suscettibili di una sanzione non risolutiva del rapporto di lavoro mediante una elencazione di casi, che però, per espressa previsione, ha una valenza meramente esplicativa;

pertanto, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata, pur se non direttamente ascrivibile a una di quelle oggetto di elencazione, nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa attraverso siffatta tecnica di individuazione della fattispecie disciplinare, valutando che la mancanza accertata sia di gravità omologabile a quella che connota le infrazioni esplicitamente menzionate nel catalogo” (in termini: Cass. n. 13063 del 2022); ciò posto, le doglianze svolte in proposito da parte ricorrente evidentemente involgono apprezzamenti di merito, estranei al sindacato di legittimità, in ordine al complesso delle circostanze fattuali che hanno caratterizzato la condotta realmente accertata e ridimensionata nella sua gravità rispetto alla originaria contestazione, “sia dal punto di vista dell’elemento oggettivo della condotta, sia dal punto di vista dell’elemento soggettivo del suo autore” (pag. 10 sent. impugnata);

inoltre, la difesa di parte ricorrente neanche confuta adeguatamente il passaggio della pronuncia gravata nella parte in cui ha fatto ricorso alla disposizione della contrattazione collettiva che esplicitamente consente di applicare ai casi non specificamente elencati le sanzioni previste per quelli connotati “per analogia di gravità”;

in definitiva, i giudici d’appello non hanno affatto escluso la rilevanza disciplinare del fatto addebitato, ma hanno escluso la proporzionalità della massima sanzione espulsiva, sulla base delle previsioni della contrattazione collettiva; peraltro, ancora di recente (Cass. n. 8642 del 2024) è ribadito che, secondo un risalente e costante insegnamento, il giudizio di proporzionalità è devoluto al giudice di merito (ex pluribus: Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003);

la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità, implicante inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (in termini v. Cass. n. 14811 del 2020);

3. i residui due motivi di ricorso sono inammissibili;

3.1. il quarto perché evoca il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. lamentando “l’omesso esame di plurimi fatti decisivi per il giudizio”; tuttavia, tali fatti, proprio per la loro pluralità, non hanno il necessario carattere della decisività, nel senso inteso da questa Corte secondo cui è fatto decisivo quello che, se fosse stato esaminato, avrebbe portato ad una soluzione diversa della vertenza con un giudizio di certezza e non di mera probabilità (v., tra molte, Cass. SS.UU. n. 3670 del 2015 e n. 14477 del 2015); si è così condivisibilmente sancita l’inammissibilità di censure innanzi a questa Corte che evochino una moltitudine di fatti e circostanze lamentandone il mancato esame o valutazione da parte dei giudici del merito, ma in realtà sollecitandone un esame o una valutazione nuova da parte della Cassazione, così chiedendo un nuovo giudizio di merito oppure chiamando “fatto decisivo”, indebitamente trascurato, il vario insieme dei materiali di causa (Cass. n. 21439 del 2015);

3.2. il quinto motivo è inammissibile in quanto la Corte ha preso in considerazione il fatto addebitato rappresentato dalla pretesa sottrazione dello S. al controllo della temperatura corporea, sicché il vizio di omesso esame di fatto decisivo è in radice escluso, mentre la parte ricorrente piuttosto si duole che la Corte territoriale, peraltro conformemente al Tribunale, abbia ritenuto non raggiunta la prova dell’addebito, ma la valutazione delle prove e delle risultanze istruttorie spetta ai giudici del merito;

4. alla stregua di tutte le considerazioni esposte il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese regolate secondo soccombenza e liquidate come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre esborsi pari ad euro 200,00, spese generali al 15% ed accessori secondo legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.