CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 27700 depositata il 25 ottobre 2024
Lavoro – Licenziamento disciplinare – Dirigente – Indennità di preavviso – TFR – Indennità supplementare – Anzianità di servizio – CCNL Dirigenti Industria – Inammissibilità
Rilevato che
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna, confermando la sentenza del Tribunale di Modena, ha accertato la illegittimità del licenziamento intimato da S. s.p.a. a D.B. in data 18.5.2018 considerato il mancato rispetto, a fronte di un licenziamento di natura disciplinare, della procedura prevista dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970 ed ha riconosciuto al lavoratore, avente qualifica di dirigente dall’aprile 2013, l’indennità di preavviso (pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto), il trattamento di fine rapporto, l’indennità supplementare (pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione).
2. La Corte territoriale – rilevato che era passato in giudicato il capo della sentenza di primo grado che accertava come assorbente la violazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, con conseguente assorbimento di ogni valutazione in ordine alla giustificatezza del licenziamento – ha sottolineato che l’indennità di preavviso era stata correttamente computata ai sensi dell’art. 23 del CCNL Dirigenti Industria (di cui il giudice di primo grado aveva fatto applicazione d’ufficio, a fronte della mancata allegazione, nonché produzione, attorea di altre norme in base al quale l’anzianità pregressa poteva essere valutata complessivamente e in misura maggiore) e che nessuna indennità spettava ai sensi dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966 (non applicabile ai dirigenti) né a titolo discriminatorio e ritorsivo (a fronte della carenza di specifici capi di prova testimoniale sui fatti costitutivi).
3. Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
La società ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
4. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti avendo, la Corte di appello, trascurato di considerare l’anzianità di servizio del B., anche utilizzando i suoi poteri d’ufficio, e omesso di consultare le fonti collettive prodotte sin dal primo grado.
2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione o falsa applicazione “di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (art. 19 e 23 CCNL Dirigenti Industria)” avendo, la Corte di appello, considerato – ai fini della liquidazione delle indennità al dirigente – solamente gli ultimi cinque anni di qualifica dirigenziale, omettendo la corretta applicazione degli artt. 19 e 26 del CCNL applicato alla fattispecie.
3. I motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente per la loro intima connessione, sono inammissibili.
4. Le censure formulate come violazione di norme pattizio e come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio – vizio, quest’ultimo, il cui esame peraltro risulta impedito dalla presenza di una sentenza c.d. « doppia conforme » – non coglie la ratio decidendi perché il ricorrente insiste sulla mancata considerazione dell’anzianità di servizio e sulla mancata consultazione delle fonti collettive depositate in giudizio (dalle quali emerge un art. 26 CCNL Dirigenti Industria che detta il criterio di computo della “anzianità di servizio”) ma nulla deduce circa la carenza assoluta di allegazioni (in ordine ai criteri di computo dell’anzianità di servizio) nel ricorso introduttivo del giudizio, carenza richiamata a fondamento della pronuncia impugnata.
5. Nel rito del lavoro, che si caratterizza per la circolarità tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova, sussiste l’impossibilità di contestare o richiedere prova – oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito – su fatti non allegati nonché su circostanze che, configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano state esplicitate in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo, posto che i principi della domanda e della disponibilità del processo (artt. 99, 112 c.p.c. e 2697 c.c.) richiedono la puntuale (e tempestiva) allegazione dei fatti costitutivi della domanda (cfr. da ultimo Cass. n. 25148/2017; cfr. altresì Cass. n. 21032/2008), onere di allegazione che non va confuso con la fase (logicamente successiva e distinta rispetto a quella della introduzione dei fatti del giudizio) dell’accertamento delle circostanze costitutive dei diritti fatti valere.
6. Invero, non rileva che nel fascicolo del primo grado di giudizio fossero stati allegati i CCNL (circostanza che la Corte di appello smentisce), essendo consolidato il principio di diritto secondo cui, non potendo la produzione documentale equivalere di per sé all’allegazione del fatto di cui il documento è supporto narrativo, non si dà per il giudice alcun onere di esame e ancora meno di considerazione ai fini della decisione di documenti relativi a fatti che non siano stati oggetto di tempestiva e compiuta allegazione (così da ult. Cass. n. 13625 del 2019, Cass. n. 9646 del 2022, Cass. n. 1084 del 2023, Cass. n.14450 del 2024);
7. Di conseguenza, la censura è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso per cassazione il contenuto (o la parte saliente) del ricorso introduttivo del giudizio (ove emergeva l’allegazione specifica dei criteri di computo dell’anzianità di servizio ai fini della liquidazione dell’indennità di preavviso e dell’indennità suppletiva e l’indicazione delle fonti poste a base del diritto preteso), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.pro.civ.
8. In ogni caso, e in ordine all’esercizio dei poteri istruttori di ufficio da parte del giudice e al sistema delle preclusioni che, nel processo del lavoro, regola l’ammissione delle prove costituite e di quelle costituende, la Corte distrettuale si è attenuta ai principi elaborati da questa Corte (Cass. Sez. Un. n. 8202/2005; Cass. n. 15228/2007), cui si intende dare seguito, circa la necessità di un contemperamento ispirato alla esigenza della ricerca della verità materiale e, quindi, alla correttezza dell’acquisizione del documento esatto preesistente, che presuppone pur sempre la puntuale allegazione delle circostanze di fatto e delle fonti di diritto su cui il diritto vantato si fonda.
9. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
10. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonchè in Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.