CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 27727 depositata il 25 ottobre 2024
Lavoro – Termine di impugnazione spirato – Illegittimità licenziamento – Pagamento indennità a titolo risarcitorio – Statuto cooperativa – Rigetto
Rilevato che
1.- G.G. aveva lavorato presso la cooperativa sociale “Team ti educa a migliorare” con mansioni di operatore socio sanitario fino al 03/03/2015, quando era stato escluso dalla cooperativa e automaticamente licenziato mediante delibera del CdA della cooperativa del 20/02/2015, inviata con raccomandata del 25/02/2015 ricevuta dal G. in data 03/03/2015.
2.- Le impugnazioni della delibera di esclusione e del licenziamento, proposte con due ricorsi separati depositati in data 14/12/2015, venivano rigettate dal Tribunale di Catania con sentenze nn. 881 e 883 del 26/02/2018 per essere spirato il termine di impugnazione di sessanta giorni.
Ad avviso del giudice di primo grado l’assunto del ricorrente – secondo cui la raccomandata da lui ricevuta il 03/03/2015 conteneva solo la lettera di licenziamento, non anche la delibera del CdA del 20/02/2015 – era risultato infondato sia perché gravava sul lavoratore, destinatario di quel plico, la prova di un contenuto diverso da quello indicato, prova non offerta, sia perché la teste C.E. aveva testimoniato di aver provveduto personalmente ad imbustare il plico in questione contenente anche la delibera predetta di esclusione del socio dalla cooperativa, sia infine perché a conforto vi era altresì il dato documentale del peso della missiva.
3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello, in parziale accoglimento del gravame interposto dal G., dichiarava illegittimo il licenziamento e condannava la società cooperativa a pagare al G., a titolo risarcitorio, l’indennità pari a sei mensilità della retribuzione globale di fatto goduta alla data del licenziamento.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) con riguardo alla prova della comunicazione della delibera del CdA del 20/02/2015, secondo la Suprema Corte ove il plico contenga plurime comunicazioni e il destinatario ne riconosca solo una, ai fini della presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c. è necessario che l’autore della comunicazione dia la prova che il plico conteneva entrambe, poiché secondo l’id quod plerumque accidit, ad ogni atto da comunicare corrisponde una singola spedizione; tuttavia a tal fine è possibile far ricorso a presunzioni semplici, come la connessione fra gli atti (Cass. n. 12932/2015); in tal caso è innegabile la connessione fra la delibera del CdA e il licenziamento, che richiama espressamente la prima menzionandola come allegata;
b) inoltre non vi sono ragioni per negare rilievo probatorio alla testimonianza della C., non rilevando la sua qualità di socia della cooperativa, che non implica incapacità a testimoniare;
c) l’assenza di elementi di prova contraria depongono nel senso di ritenere provato l’assunto della cooperativa, ossia che abbia effettivamente comunicato al G. sia la delibera del CdA, sia la lettera di licenziamento;
d) a fini impeditivi della decadenza nessuna rilevanza può avere il telegramma del 03/03/2015 – di cui l’appellante addebita al Tribunale l’omesso esame – poiché ai sensi dell’art. 2533, co. 3, c.c. l’unico rimedio accordato al socio per evitare la decadenza dal potere di contestare la delibera di esclusione è la proposizione (nei 60 giorni successivi) dell’opposizione al Tribunale (Cass. n. 26211/2013), sicché è escluso che possa assegnarsi valore equipollente all’impugnativa stragiudiziale;
e) quanto alla domanda di accertamento della natura fittizia della qualità di socio – il cui esame è stato effettivamente omesso dal Tribunale –la cooperativa ha documentato non solo la domanda del G. di essere ammesso come socio, ma pure la sua partecipazione alle assemblee dei soci con i relativi verbali, sicché risulta dimostrato il vincolo associativo; all’opposto, nessuna prova ha fornito il G. circa il carattere asseritamente fittizio o formale della qualifica di socio;
f) è invece fondato l’ultimo motivo di appello, con cui il G. lamenta l’omesso esame della domanda risarcitoria per illegittimo licenziamento, da lui formulata in subordine “in mancanza” della reintegrazione nel posto di lavoro;
g) nel merito l’appellante ha dimostrato che i fatti posti a base dell’esclusione dal rapporto sociale e del contestuale licenziamento sono gli stessi che hanno determinato la cooperativa ad adottare in precedenza, in data 13/01/2015, la sanzione della sospensione dalla retribuzione per quattro giorni, poi annullata dal collegio arbitrale con lodo del 04/07/2016 per insussistenza del discredito per la cooperativa asseritamente derivato da alcune frasi pronunziate dal G.;
h) dunque quello stesso fatto, già valutato dalla cooperativa come meritevole di sanzione conservativa, non poteva essere considerato alcuni giorni dopo meritevole contraddittoriamente dello scioglimento del rapporto sociale e di lavoro;
i) in ogni caso la cooperativa non ha dimostrato in giudizio la sussistenza della ragione posta a base del recesso, ossia la violazione dell’art. 11, lett. h) ed i), dello statuto sociale, in dipendenza dell’episodio del 12/01/2015;
j) il licenziamento è pertanto illegittimo e ai sensi dell’art. 8 L. n. 604/1966 la cooperativa va condannata a pagare al G. l’indennità, che tenuto conto dell’anzianità di servizio (8 anni e 4 mesi), delle dimensioni della cooperativa e delle concrete circostanze della risoluzione del rapporto, va quantificata in misura pari a sei mensilità della retribuzione globale di fatto goduta all’atto del licenziamento.
4.- Avverso tale sentenza G.G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- La società cooperativa sociale “Team ti educa a migliorare” ha resistito con controricorso.
6.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
Considerato che
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti, ossia l’avvenuta impugnativa stragiudiziale a mezzo telegramma del 03/03/2015 e, soprattutto, la sua conformità all’art. 12 dello statuto della cooperativa.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 12 dello statuto societario, rectius dell’art. 2966 c.c. che assegna efficacia impediente della decadenza all’atto che sia previsto dalla legge o dal contratto, nella specie appunto dall’art. 12 dello statuto.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione.
Il primo motivo – ammissibile per mancanza della c.d. doppia conforme in quanto il Tribunale non aveva esaminato questa clausola, addotta dal G. soltanto in appello per la necessità determinata dalla decisione del giudice di primo grado di ritenere preclusa l’impugnazione per intervenuta decadenza– è tuttavia inammissibile sotto il diverso profilo della mancanza di decisività del fatto prospettato.
La Corte territoriale – contrariamente all’assunto del ricorrente – ha preso espressamente in esame l’impugnazione stragiudiziale a mezzo telegramma del 03/03/2015 (v. sentenza impugnata, p. 7) e tuttavia l’ha ritenuta non idonea ad impedire la decadenza.
Nella formazione del suo convincimento, tuttavia, la Corte territoriale non ha considerato l’art. 12 dello statuto della cooperativa, effettivamente invocato dal ricorrente nei giudizi di secondo grado (nn. r.g. 796 e 797 del 2018) nei relativi ricorsi d’appello, i cui stralci sono stati riportati nel ricorso per cassazione (pp. 13-14).
In particolare, l’art. 12 dello statuto, come riportato dal ricorrente, prevede: “Le deliberazioni assunte in materia di recesso ed esclusione sono comunicate ai soci destinatari mediante raccomandata con ricevuta di ritorno.
Le controversie che insorgessero tra i soci e la Cooperativa in merito ai provvedimenti adottati dall’Organo amministrativo su tali materie sono demandate alla decisione del Collegio arbitrale, regolati dagli artt. 42 e seguenti del presente statuto” (co. 1). “L’impugnazione dei menzionati provvedimenti è promossa, a pena di decadenza, con atto pervenuto alla Cooperativa a mezzo raccomandata entro 60 giorni dalla data di comunicazione dei provvedimenti” (co. 2).
Quindi la clausola statutaria – secondo la prospettazione del ricorrente -consentirebbe anche l’impugnazione stragiudiziale (“a mezzo raccomandata”), come tale idonea, ai sensi dell’art. 2966 c.c., ad impedire la decadenza prevista dall’art. 2533, co. 3, c.c.
Così ricostruita la doglianza del ricorrente (Cass. sez. un. n. 9100/2015), va considerato che l’art. 2533, co. 3, c.c. prevede soltanto il ricorso all’Autorità Giudiziaria (l’opposizione al Tribunale) quale atto idoneo ad impedire la decadenza, sicché si pone il preliminare problema di stabilire se esso possa essere derogato da una clausola statutaria, che attribuisca altresì questa efficacia impediente anche ad un atto stragiudiziale.
Orbene, certamente l’art. 2533, co. 3, c.c. è norma dispositiva, perché è posta nell’interesse della certezza dei rapporti giuridici societari e quindi nell’interesse della società cooperativa, che pertanto ben può derogarvi con un suo atto, come lo statuto (Cass. n. 5912/1995).
Tuttavia questa possibilità di deroga va rettamente intesa.
Questa Corte ha già affermato che in tema di esclusione del socio dalla società cooperativa, e per il caso in cui lo statuto accordi all’escluso la facoltà di ricorrere, contro la relativa delibera, ad un collegio di “probiviri”, nell’ambito di un sistema di tutela (non arbitrale, ma) endosocietario, l’esercizio di tale facoltà comporta che il procedimento di esclusione si perfeziona solo con la determinazione del collegio dei “probiviri”.
Ne consegue che la comunicazione di tale determinazione segna la decorrenza del termine per adire l’autorità giudiziaria, previsto dall’art. 2533, co. 3, c.c. (e, prima della riforma del diritto societario di cui al d.lgs. n. 6/2003, dall’art. 2527, co. 3, c.c: Cass. n. 5912/1995; Cass. sez. un. n. 868/1999; Cass. n. 17337/2008).
Inoltre questa Corte ha operato una puntualizzazione: ove lo statuto preveda la facoltà di ricorrere al collegio di probiviri, va distinta l’ipotesi in cui la norma statutaria attribuisca a tale organo la funzione di un vero e proprio collegio arbitrale cui devolvere la decisione delle controversie tra soci (ovvero tra questi ultimi e la società) da quella in cui esso rivesta la più limitata funzione di organo interno alla società stessa, con compiti di riesame e controllo delle deliberazioni adottate da altri organi sociali.
Nella prima ipotesi, la delibera di esclusione non è direttamente impugnabile dinanzi all’autorità giudiziaria, in quanto sono impugnabili le sole determinazioni del collegio dei probiviri, destinate, per l’effetto, ad assumere il valore di decisioni arbitrali, assoggettate, a seconda dei casi, al regime del lodo rituale ovvero irrituale; diversamente, nella seconda ipotesi, avendo l’attività dell’organo di controllo carattere meramente endosocietario, le sue deliberazioni hanno il solo effetto di rendere definitive – e, come tali, impugnabili – quelle adottate dagli altri organi societari, senza precludere in alcun modo il ricorso all’autorità giudiziaria, essendo il collegio dei probiviri -a differenza di quello arbitrale – chiamato non a decidere di una controversia, ma a prevenirla (Cass. n. 17245/2002; Cass. n. 26318/2006).
Così ricostruito il quadro normativo, il secondo motivo risulta infondato.
L’art. 12 dello statuto, come riportato dal ricorrente, non può essere sussunto nell’art. 2966 c.c. e, quindi, il relativo atto stragiudiziale ivi previsto non può essere ritenuto atto (alternativo all’opposizione al Tribunale) idoneo ad impedire la decadenza, in quanto la sua funzione è completamente diversa.
Va infatti considerato che quell’impugnazione stragiudiziale ha il limitato effetto di manifestare l’intenzione di avviare il procedimento arbitrale, all’esito del quale impugnare – secondo il relativo regime – il lodo rituale o quello irrituale, unico atto allora formalmente impugnabile; oppure di avviare il procedimento endoassociativo, all’esito del quale la delibera di esclusione acquista definitiva efficacia, segnando altresì il dies a quo per la decorrenza del termine di impugnazione previsto dall’art. 2533, co. 3, c.c. a pena di decadenza.
Il ricorrente non ha precisato a quale delle due ipotesi sia riconducibile la previsione contenuta nell’art. 12 dello statuto della cooperativa.
Comunque, anche nella seconda ipotesi, il differimento del dies a quo per impugnare la delibera di esclusione si realizza soltanto a condizione che il socio escluso, dopo l’impugnazione stragiudiziale, abbia effettivamente dato corso al procedimento endoassociativo, perché solo a questa condizione può attendere tale determinazione per impugnare la delibera di esclusione davanti l’autorità giudiziaria, sino a tale momento restando sospesa la decorrenza del termine ex art. 2533 c.c. per consentire al collegio di “probiviri” di espletare la funzione di prevenzione della controversia (ovviamente restando salva la facoltà di impugnazione giudiziale immediata, nelle more del predetto procedimento endosocietario: Cass. n. 8429/2012; Cass. ord. n. 19304/2018).
Ne consegue che in tanto il termine di decadenza di sessanta giorni ex art. 2533, co 3, c.c. resta sospeso, in quanto il lavoratore escluso abbia effettivamente esercitato la facoltà di ricorrere al collegio di probiviri o a quello arbitrale.
Altrimenti quel termine non si sospende.
Nel caso in esame non consta che il ricorrente abbia dato corso al procedimento endoassociativo o arbitrale e dunque il primo motivo è inammissibile per difetto di decisività del fatto prospettato: non avendo il ricorrente dedotto di aver esercitato in concreto quella facoltà a lui riconosciuta dall’art. 12 dello statuto della cooperativa, la conformità dell’impugnazione stragiudiziale all’art. 12 cit. si arresta a fatto irrilevante e, quindi, non decisivo. Infatti, tale conformità non basta, da sola, a determinare la sospensione del termine per impugnare – in sede giudiziale –la delibera di esclusione, in quanto sarebbe stato necessario il concreto esperimento del procedimento endoassociativo o arbitrale .
Dunque, anche se la Corte d’Appello avesse considerato l’art. 12 dello statuto, l’esito decisorio non sarebbe stato diverso.
Ne risulta quindi esclusa anche la falsa applicazione dell’art. 2966 c.c.
2.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 18 L. n. 300/1970 e 8 L. n. 604/1966 per avere la Corte territoriale escluso la tutela di cui all’art. 18 cit., giacché la tempestività dell’impugnazione nel termine convenzionale della delibera di esclusione comporta il riconoscimento della tutela da ultimo invocata.
Il motivo è assorbito, una volta esclusa la tempestività dell’impugnazione.
3.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso e dichiara assorbito il terzo; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.