CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 28224 depositata il 4 novembre 2024

Lavoro – Continuità giuridica ed economica rapporto di lavoro – Diritto alla immediata riassunzione in servizio – Pagamento differenze retributive maturate e maturande – Risarcimento danno biologico – Risarcimento danni non patrimoniali – Inammissibilità

Fatti di causa

1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da F.J.M.R. contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 8003/2018 che aveva respinto integralmente il ricorso del M.R. nei confronti della C.L.I. s.r.l., con il quale aveva chiesto: – in via principale, accertare e dichiarare la continuità giuridica ed economica del rapporto di lavoro instaurato tra la C.L.I. s.r.l. ed il ricorrente a far data dalla stipula del contratto di lavoro del 13 maggio 2005, dichiarando il diritto dello stesso alla immediata riassunzione in servizio nelle mansioni di Direttore Nazionale Italia, con qualifica di quadro e trattamento economico pari ad € 3.999,77 lordi mensili per numero di 14 mensilità, ovvero, in subordine, condannando parte resistente all’immediato ripristino funzionale del rapporto alle medesime condizioni di cui sopra.

Per l’effetto, condannare parte resistente al pagamento di tutte le differenze retributive maturate e maturande a far tempo dal mese di agosto 2006 sino all’effettivo ripristino funzionale del rapporto di lavoro e, comunque, per quelle concernenti il periodo computato negli allegati conteggi, ovverossia dal 01 agosto 2006 al 31 ottobre 2016, al pagamento del complessivo importo pari a € 418.745,05, per i titoli espressamente richiamati alla lett. “A.a.” della parte in diritto dello stesso atto, ovvero alla diversa maggiore o minore somma ritenuta di giustizia.

– In via principale, accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale della convenuta C.L.I. s.r.l. per violazione degli artt. 2087 c.c. e 28, comma 1-bis del d.lgs. n. 81/08 e, per l’effetto, condannare la stessa al risarcimento del danno biologico nella misura pari a € 91.578,91 così come quantificato dalla relazione medica allegata al ricorso ed in base alle tabelle del danno biologico invocabili presso il Tribunale, ovvero nella maggiore o minore somma ritenuta secondo giustizia.

– Sempre in via principale, accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale della convenuta C.L.I. s.r.l. per violazione degli artt. 2087 c.c. e 28, comma 1-bis del d.lgs. n. 81/08 e, per l’effetto, condannare la stessa al risarcimento dei danni non patrimoniali (all’immagine, alla vita di relazione ed alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro) subiti in conseguenza della condotta dolosa/colposa ascrivibile alla resistente, per le motivazioni meglio espresse alle lett.re B.a. e B.b. dello stesso atto, da determinare in seguito ad eventuale CTU e, comunque, anche in via equitativa.

– In via principale, accertare e dichiarare il diritto del ricorrente alla quantificazione del TFR maturato e maturando in azienda, a far data dal 01 agosto 2006 sino al 31 ottobre 2016, per un importo complessivo pari a € 49.017,24, così come quantificato negli allegati conteggi, ovvero nella diversa misura, maggiore o minore, ritenuta di giustizia.

2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, come il primo giudice, anzitutto disattendeva la prospettazione del ricorso introduttivo, su cui si fondavano le conseguenziali conclusioni, e secondo la quale il rapporto di lavoro subordinato, di cui al contratto sottoscritto tra le parti il 13.5.2005, non sarebbe mai stato risolto, sicché doveva ritenersi ancora in corso, con diritto del M.R. all’immediata riassunzione con la qualifica di quadro e le mansioni di Direttore 
Nazionale Italia, oltre alle retribuzioni maturate dall’agosto 2006.

2.1. La Corte, infatti, riteneva che il contratto di lavoro subordinato del maggio 2005 si era consensualmente risolto per facta concludentia.

3. La stessa Corte osservava che quanto evidenziato per giungere alla suddetta conclusione sarebbe stato già sufficiente a disattendere le pretese dell’appellante, tutte fondate esclusivamente su un’asserita prosecuzione del rapporto di lavoro subordinato instaurato nel maggio 2005, di contro consensualmente cessato dopo poco più di un anno, senza che il M. sollevasse alcuna contestazione, proposta solo tardivamente in giudizio e probabilmente ispirata dai motivi dedotti dalla società (ossia, il mancato accoglimento in Spagna di altra controversia instaurata nei confronti della casa-madre).

4. La Corte di merito rilevava che le ragioni della cessazione del rapporto di lavoro subordinato si comprendevano considerando la significativa modifica del ruolo che il M. era andato a ricoprire nel corso dello stesso anno 2006, perché l’amministratore unico dell’appellata, nonché presidente della casa-madre spagnola, aveva rilasciato all’allora appellante nel marzo 2006 una procura con la quale erano stati affidati al M. amplissimi poteri di rappresentanza e di gestione (poteri che la Corte passava a meglio illustrare).

5. Secondo la Corte, per come dedotto dalla società e per come emergeva dalla lettura della documentazione prodotta, almeno successivamente alla cessazione del formalizzato rapporto di lavoro sottoscritto nel maggio 2005, il M. aveva di fatto avuto un unico rapporto di lavoro subordinato, 
cioè quello già in essere con la casa-madre, mentre su incarico di questa, ed in specie del suo presidente, che ricopriva contestualmente anche la carica di A.U. della controllata italiana, aveva svolto per quest’ultima il ruolo di rappresentante nei termini di cui alla richiamata procura speciale, significativamente rilasciata in Spagna, secondo la normativa di questo Stato.

5.1. Inoltre, tale ricostruzione non poteva affatto trovare ostacolo “di diritto” nel richiamo alla previsione di cui all’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, perché il M. aveva agito in giudizio sostenendo la sussistenza di un rapporto di lavoro dal maggio 2005 e negando che questo si fosse risolto.

6. Avverso tale decisione F.J.M.R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

7. La società intimata ha resistito con controricorso.

8. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2120 cod. civ. e degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 cod. proc. civ., per avere erroneamente affermato che il rapporto di lavoro subordinato inter partes iniziato nel 2005 si era risolto per facta concludentia nel 2006 quando il ricorrente aveva percepito il TFR”.

2. Con un secondo motivo denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 437 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere erroneamente affermato che non esisteva un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa inter partes così accogliendo un’eccezione della società mai proposta in primo grado”.

3. Con il terzo motivo denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 414 c.p.c., dell’art. 69, c. 1, d.lgs. 10 settembre 2003 n. 276 e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 cod. proc. civ., per avere erroneamente affermato che era necessaria una domanda di nullità e di conversione del contratto di collaborazione continuativa e coordinata privo di progetto”.

4. Il primo motivo è inammissibile.

5. La censura si basa sul rilievo che la sentenza impugnata non aveva <esaminato la deduzione contenuta a pag. 8 dell’appello, secondo cui il ricorrente “da agosto 2006 in poi” percepiva una retribuzione mensile di Euro 2.000,00, come attestato dal punto 36 a pagina 8 del ricorso introduttivo di primo grado e dei conteggi allegati al ricorso, fatto questo mai contestato e quindi divenuto pacifico>; secondo il ricorrente, quindi, la percezione del TFR era <irrilevante se il rapporto prosegue, sicché questa corresponsione deve essere considerata come anticipazione ai sensi dell’art. 2120 cod. civ., che prevede nell’ultimo comma condizioni di miglior favore anche con patto individuale in questo caso concluso per fatti concludenti>.

6. Ebbene, rilevato che il primo motivo fa cumulativamente riferimento alle diverse ipotesi di cui al n. 3) e al n. 4) del comma primo dell’art. 360 c.p.c., nota preliminarmente il Collegio che esso, pur menzionandosi (anche) l’art. 112 c.p.c., non contiene l’esplicita deduzione di un’omessa pronuncia da parte della Corte territoriale, né della deduzione della nullità dell’impugnata sentenza per tale ragione (cfr., tra le altre, Cass. n. 41790/2021).

6.1. Il ricorrente, inoltre, sostiene che la Corte non avrebbe esaminato solamente una propria deduzione difensiva.
Ebbene, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, l’omessa pronuncia ex articolo 112 c.p.c. è astrattamente configurabile da parte del giudice di appello solo ove sia allegata la totale carenza di considerazione di una domanda o di una eccezione – e non di una mera allegazione difensiva – sottoposta al suo esame con la formulazione di uno specifico motivo di gravame, e sempre che il medesimo giudice abbia mancato completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, indispensabile alla soluzione del caso concreto (così Cass. n.20555/2017; v. anche Cass. n. 30404/2021, secondo la quale lo stesso vizio non è configurabile rispetto a mere difese, questioni o argomentazioni).

6.2. Peraltro, rileva il Collegio che la Corte territoriale, come premesso in narrativa, si è certamente espressa sul motivo d’appello in cui veniva riproposta la tesi del M.R. secondo la quale il rapporto di lavoro subordinato iniziatosi il 13.5.2005 non si era mai risolto; sotto altro profilo, va rilevato che il ricorrente non trascrive in ricorso la propria deduzione che assume contenuta a pag. 8 dell’atto di appello.

7. Deve aggiungersi che il motivo in esame non si confronta anche con una parte successiva della motivazione resa dalla Corte territoriale (cfr. § 7-7.11. alle pagg. 4-6 della sua sentenza).

7.1. Più nello specifico, la Corte di merito non si è limitata a concludere che la percezione da parte del lavoratore del TFR segnava la fine del rapporto di lavoro, iniziatosi il 13.5.2005, sia pure per fatti concludenti, motivando tale soluzione in base a puntuale esame delle risultanze processuali, in particolare documentali (cfr. § 6.4. a pag. 4).

Difatti, la stessa Corte, come pure premesso in narrativa, ha diffusamente considerato anche il periodo seguente alla percezione del TFR, segnatamente dopo che al M. fu rilasciata una procura che gli conferiva amplissimi poteri, così escludendosi che per detto successivo periodo fosse configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra lui e la s.r.l. italiana controllata dalla casa-madre spagnola (cfr. in particolare, i § 7.4., 7.5., 7.6. e 7.7. della motivazione).

La Corte, pertanto, ha concluso che “almeno successivamente alla cessazione del formalizzato rapporto di lavoro sottoscritto nel maggio 2005, il M. ha di fatto avuto un unico rapporto di lavoro subordinato, cioè quello già in essere con la casa-madre, mentre su incarico di questa, ed in specie del suo presidente, che ricopriva contestualmente anche la carica di A.U. della controllata italiana, ha svolto per quest’ultima il ruolo di rappresentante nei termini di cui sopra richiamata procura speciale, significativamente rilasciata in Spagna”.

7.2. Tale lettura della fattispecie che, in relazione al periodo successivo alla percezione del TFR, integra la ratio decidendi della Corte di merito, ma non è considerata dal ricorrente.

8. E tanto vale anche per il secondo motivo.

8.1. La censura riguarda il § 7.15. dell’impugnata sentenza in cui la Corte ha ritenuto di poter “anche aggiungersi che la ricostruzione della vicenda, per come sopra esposta, induce ad escludere la sussistenza di una collaborazione coordinata e continuativa con la controllata italiana, evocata in giudizio, risultando piuttosto l’attività svolta per quest’ultima riconducibile al rapporto con la casa madre e in specie con il presidente di quest’ultima, profilo che finisce per privare di rilevanza ogni questione normativa del contratto a progetto”.

9. In proposito, il ricorrente deduce nel contempo la violazione dell’art. 112 c.p.c. in termini di ultra petizione e dell’art. 437 c.p.c. perché l’eccezione della controparte proposta in grado d’appello non poteva essere accolta in quanto tardiva e comunque in contraddizione rispetto a quanto affermato in primo grado (cfr. pagg. 5-6 del ricorso).

10. Ora, a prescindere dal rilievo che anche in questo motivo il ricorrente non deduce la nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c., come già accennato, lo stesso non considera che la Corte ha escluso l’’esistenza di una collaborazione coordinata e continuativa con la controllata italiana nel periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato formalizzato con quest’ultima il 13.5.2005, non già in accoglimento di un’eccezione in senso stretto della controparte (cui non ha fatto cenno), bensì sempre in base alla ricostruzione della vicenda in fatto e in diritto operata dalla stessa Corte di merito (“per come sopra esposta”).

E, secondo quanto già evidenziato, i giudici di secondo grado hanno motivatamente ritenuto che il M. nel ridetto periodo avesse avuto “un unico rapporto di lavoro” sì “subordinato”, ossia “quello già in essere con la casa-madre  spagnola” C.L. S.A., ma con il ruolo specifico descritto in sentenza.

11. E’ infine inammissibile il terzo motivo di ricorso.

12. Esso riguarda il § 7.14. dell’impugnata sentenza, nel quale la Corte distrettuale ha considerato che: “Le argomentazioni del gravame finiscono per invertire l’ordine delle questioni, utilizzando a modi di eccezione, volta a paralizzare la ricostruzione della società appellata, una questione che invece avrebbe dovuto formare oggetto di richiesta di accertamento giudiziario, necessitando una pronuncia dichiarativa dell’eventuale nullità e della conversione, previo espresso contraddittorio sul punto”.

13. Anche in questa censura anzitutto, come nel primo motivo, sono promiscuamente dedotti errores in iudicando (ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c.) ed errores in procedendo (ex art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c., senza, rispetto a quest’ultimo profilo, far valere la nullità della sentenza o del procedimento.

14. In ogni caso, pure detto motivo non si confronta con la completa motivazione della Corte d’appello a riguardo.

14.1. La Corte, infatti, aveva premesso che l’allora appellante aveva, tra l’altro, dedotto “l’infondatezza della tesi difensiva della società in ordine alla modifica di detto rapporto in una collaborazione coordinata e continuativa”, perché, secondo lo stesso, si trattava “di una modifica illegittima ex art. 69 d.lgs. n. 276/2003, per assenza di progetto e conseguente presunzione assoluta della natura subordinata” (così al § 2 a pag. 3 dell’impugnata sentenza).

Inoltre, la Corte aveva dato conto che: “Dalle concordi allegazioni delle parti e dalla documentazione prodotta in atti risultano provate” le circostanze in dettaglio esposte (cfr. in extenso il § 5 tra la pag. 3 e la pag. 4 della sua sentenza).

14.2. Ebbene, il ricorrente non considera che, nell’esaminare l’ora riportato punto di censura, la Corte territoriale aveva ritenuto, come pure già riferito in narrativa, che la più volte riferita ricostruzione del rapporto circa il periodo successivo alla cessazione di quello formalizzato e poi cessato non poteva trovare ostacolo “nel richiamo alla previsione di cui all’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, perché <7.13.

Il M. ha agito in giudizio sostenendo la sussistenza di un rapporto di lavoro dal maggio 2005 e negando che questo si fosse risolto.

L’atto introduttivo della lite, e le conformi conclusioni, ribadite in questa sede, sono univoche ed esclusive nel senso di “accertare e dichiarare la continuità giuridica ed economica del rapporto di lavoro instaurato con la C.L.I. srl… a far data dalla stipula del contratto di lavoro del 13.5.2005”, negando anzi la sussistenza di una collaborazione coordinata e continuativa, di cui all’evidenza non ha mai chiesto l’accertamento della nullità per violazione della previsione di cui all’art. 62 d.lgs. citato né tantomeno l’applicazione della presunzione di cui al citato art. 69>.

15. E’ pertanto evidente che il rilievo del ricorrente per cassazione, secondo cui egli “per resistere all’eccezione avversaria di “variazione” del contratto non poteva e non doveva proporre alcuna domanda (artt. 99 e 414 c.p.c.)” (così a pag. 7 del ricorso), non è aderente alla motivazione resa dalla Corte di merito, la quale, da un lato, si è limitata a ribadire quale fosse l’immutato fondamento in fatto e in diritto delle domande avanzate dall’attore, e, dall’altro, come s’è visto nell’esaminare il secondo motivo di ricorso, ha comunque escluso che nel ridetto periodo seguente alla cessazione di quello formalizzato ricorresse anche una collaborazione coordinata e continuativa tra lui e la s.r.l. italiana controllata dalla casa-madre spagnola.

16. Il ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 8.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.