CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 28248 depositata il 4 novembre 2024

Lavoro – Licenziamento giusta causa – Inadempimento formalità prescritte per rilevazione presenze – Utilizzo fraudolento tesserino e orologi marcatempo – Rigetto

Rilevato che

1. La D.I. srl contestava alla dipendente R.F.D. il seguente addebito: “In data 20 giugno 2019, lei è entrata fisicamente in azienda alle ore 9,27 mentre la sua timbratura del badge elettronico è stata effettuata alle ore 8,33 da un altro collega, Sig. N.B.

Successivamente ci risulta una ulteriore timbratura alle ore 9,32”, cui seguiva lettera di intimazione del licenziamento del 26.6.2019 del seguente tenore: “[…] La condotta da lei tenuta integra la fattispecie di cui all’art. 10, lett. I, Sezione IV, Titolo VII CCNL di settore.

Il comportamento posto in essere si sostanzia nell’inadempimento alle formalità prescritte dall’azienda per la rilevazione delle presenze, concretizzatasi tramite l’utilizzo fraudolento del tesserino e degli orologi marcatempo e tramite la complice collaborazione di un collega a cui Lei ha affidato il badge aziendale affinché questi facesse risultare la Sua presenza al lavoro ancora prima del Suo effettivo arrivo presso la sede aziendale.

Da tale condotta risulta una profonda lesione dei doveri di correttezza cui il rapporto di lavoro deve essere improntato e che ne impedisce la prosecuzione […]”.

2. Impugnato il recesso, il Tribunale di Napoli Nord, sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, rigettava le domande proposta dalla lavoratrice.

3. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza oggi impugnata, rigettava il gravame proposto dalla F.D.

I giudici di seconde cure rilevavano che:

a) era stato provato l’elemento oggettivo dell’addebito in quanto la lavoratrice era entrata in azienda alle ore 9,30 e non alle ore 8,33, come risultava invece dal suo badge personale e dagli elementi acquisiti al processo da cui era risultato dimostrato che a timbrare volontariamente al suo posto era stato il collega B.;

b) non difettava neanche l’elemento soggettivo in quanto era emersa la sussistenza della volontarietà ed intenzionalità della condotta di falsa attestazione delle presenze e non un mero errore idoneo ad escludere un accordo intercorso tra le parti;

c) il fatto addebitato, che in sede disciplinare era stato limitato all’episodio del 20.6.2019, integrava una ipotesi di giusta causa di licenziamento;

d) la sanzione irrogata era proporzionata all’addebito;

e) in relazione alle mansioni svolte dalla F.D. (assistente alla Direzione), all’esperienza professionale maturata, all’oggettiva gravità del comportamento nonché alle modalità del fatto posto in essere per aggirare il sistema dei controlli, era ravvisabile un grave inadempimento degli obblighi assunti;

f) andava, infine, esclusa la configurabilità di una ipotesi per la quale era prevista l’adozione di una sanzione conservativa dalla contrattazione collettiva.

4. Avverso la sentenza di secondo grado R.F.D. proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi cui resisteva con controricorso la D.I. srl.

5. Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.

Considerato che

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cc, degli artt. 1175 e 1375 cc e degli artt. 1, 8, 9 e 10 Titolo VII, Sezione IV del CCNL Industria Metalmeccanica Privata, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc.

3. Con il secondo motivo si eccepisce l’omesso esame di documenti e di un fatto aventi entrambi carattere decisivo ai fini della risoluzione della controversia e, in ogni caso, l’omessa pronuncia sugli stessi, ovvero la lettera di contestazione del 20.6.2019 e quella di licenziamento del 26. 6.2019 nonché il richiamo contenuto nella seconda ad una norma contrattuale inesistente, ovvero l’art. 10 lett. I, Sezione IV Titolo VII del CCNL Industria Metalmeccanica Privata, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc sotto il duplice profilo sia di vizio di legittimità che di motivazione; si obietta, poi, la nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc.

4. Con i due motivi la ricorrente deduce che la Corte territoriale erroneamente ha omesso ogni esame e ogni statuizione sul fatto che la norma contrattuale collettiva indicata nella lettera di contestazione era inesistente, limitandosi solo ad evidenziare che non era configurabile una ipotesi per la quale era prevista dal CCNL una sanzione conservativa.

5. Con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, commi 2, 3 e 4 legge n. 300 del 1970, dell’art. 5 legge n. 604/1966, degli artt. 112 e 115 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, nonché la nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc.

6. Con il quarto motivo si lamenta l’omesso esame di fatti decisivi ai fini della risoluzione della controversia, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc.

7. Parte ricorrente, con i suddetti motivi, si duole che la Corte distrettuale ha fondato il proprio convincimento sul travisamento della prova per non essere stata la decisione calibrata sul comportamento del collega B. il quale era stato l’effettivo autore materiale del fatto e, quindi, non poteva ella essere considerata responsabile di quanto accaduto; deduce, altresì, la sproporzionalità della sanzione in relazione ad una serie di documenti, non valutati, dai quali si evinceva, in altre occasioni, il suo trattenimento in servizio ben oltre l’orario risultante dalle timbrature dei badge.

8. I primi due motivi, da esaminare unitamente per la loro interferenza, sono infondati.

9. Premesso che, in tema di ricorso per cassazione (nel caso di specie, in particolare, in relazione alla seconda doglianza), è contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia: il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360, n. 4, c.p.c. e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, c.p.c., mentre il secondo presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, e va denunciato ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 6150/2021), deve osservarsi che, nel caso in esame, l’asserita mancata valutazione, da parte della Corte territoriale, della erronea indicazione della norma contrattuale collettiva, riportata nella lettera del licenziamento e regolante il fatto addebitato, è irrilevante e non decisiva.

10. Invero, in sede di legittimità è stato più volte affermato che, in tema di licenziamento disciplinare, la necessaria correlazione dell’addebito con la sanzione deve essere garantita e presidiata, in chiave di tutela dell’esigenza difensiva del lavoratore, anche in sede giudiziale, ove le condotte in contestazione sulle quali è incentrato l’esame del giudice di merito non devono nella sostanza fattuale differire da quelle poste a fondamento della sanzione espulsiva, pena lo sconfinamento dei poteri del giudice in ambito riservato alla scelta del datore di lavoro (Cass. n. 3079/2020).

11. Ciò perché il principio di immutabilità della contestazione attiene al complesso degli elementi materiali connessi all’azione del dipendente e può dirsi violato solo ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle contestate, così da determinare una concreta menomazione del diritto di difesa dell’incolpato (Cass. n. 11540/2019; Cass. n. 8293/2019).

12. Nel caso in esame, quindi, la Corte territoriale, senza incorrere in alcuna delle denunciate violazioni di legge, si è limitata ad analizzare il comportamento addebitato e descritto sia nella nota di contestazione disciplinare che nella lettera di licenziamento (utilizzo fraudolento del badge aziendale in ordine alla rilevazione delle presenze), in relazione al quale la lavoratrice ha avuto tutte le possibilità di difendersi in sede disciplinare e di articolare, poi, le prove in giudizio a sua discolpa, a prescindere dalla errata indicazione della norma contrattuale collettiva violata che non ha assunto alcuna rilevanza sia in ordine ai diritti di difesa della incolpata sia nella coerenza e logicità del ragionamento decisorio dei giudici di merito che hanno ritenuto che i fatti addebitati comunque integrassero una ipotesi di giusta causa ex art. 2119 cod. civ.

13. Il terzo ed il quarto motivo, anche essi da scrutinare congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

14. Sono, infatti, inammissibili le doglianze che tendono ad ottenere la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non sindacabile in sede di legittimità, in quanto la Corte di cassazione non può mai procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 15489/2007; Cass. n. 4766/2006).

15. Pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sé degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass. 24155/2017; Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014).

16. Nella specie i giudici di secondo grado hanno ritenuto, attraverso un accurato esame di tutte le circostanze istruttorie, che queste militavano nel ritenere che tra la F.D. ed il B. vi fosse stato un accordo per fare risultare la presenza della prima in azienda in un orario antecedente a quello di effettivo arrivo nel giorno contestato, escludendo, altresì, che potesse essere ipotizzabile un mero errore di timbratura.

17. Si tratta di un accertamento di merito, svolto con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc nuova formulazione, ratione temporis applicabile, per cui non vi è spazio per alcun suo sindacato in sede di legittimità.

18. Inoltre, va evidenziato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo se i fatti storici, come detto nel caso in esame, sono stati comunque presi in considerazione (Cass. n. 19881/2014; Cass. n. 27415/2018) avendo la Corte territoriale motivato adeguatamente sulle problematiche riguardanti la verifica sull’elemento materiale della condotta fraudolenta e sulla sussistenza della sua volontarietà ed intenzionalità, caratterizzata dalla precisa finalità di incidere sul sistema dei controlli approntati dalla datrice di lavoro per la rilevazione delle presenze dei dipendenti.

19. Sotto questo, profilo deve, poi, osservarsi, da un lato, che si verte in una ipotesi di c.d. doppia conforme ex art. 348 ter, comma 5 cpc ove la ricorrente non ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse fossero tra loro diverse; dall’altro, è opportuno ribadire che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).

20. E’, invece, infondata la denunciata nullità della gravata decisione per motivazione apparente perché, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste solo quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 22232/2016; Cass. n. 3819/2020; Cass. n. 6758/2022): nel caso de quo, la Corte territoriale, con un chiaro percorso logico-giuridico dal quale è possibile enucleare la ratio decidendi della pronuncia, ha valutato, come detto, sia la sussistenza, sotto l’aspetto oggettivo e soggettivo, del fatto contestato il 20.6.2019, unico episodio posto a base del licenziamento, sia la sua rilevanza disciplinare nonché la proporzionalità della sanzione irrogata rispetto ad esso stante il carattere di grave negazione dell’elemento della fiducia che impediva la prosecuzione del rapporto, non incorrendo, pertanto, in alcun vizio motivazionale come denunciato.

21. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

22. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

23. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.