CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 28369 depositata il 5 novembre 2024
Lavoro – Licenziamento disciplinare – Addetto stima – Procedura pegni – Oggetti in oro – Operazioni irregolari di disimpegno polizza – Giusta causa – Contestazioni – Rigetto
Rilevato che
1. F.M., dipendente della U. spa con mansioni di addetto stima e in servizio presso l’Agenzia di Siracusa “G.”, veniva licenziato in data 8.9.2014 a seguito di contestazione disciplinare del marzo del 2014 (cui ne era seguita un’altra del 7.7.2014) in cui era stato addebitato che, a seguito delle verifiche interne da parte della Banca successivamente alla rapina del 16.12.2013 ai danni della suddetta filiale e in occasione della perquisizione operata dalle Forze dell’Ordine il 18.12.2013, nella postazione di lavoro erano stati rinvenuti vari oggetti in oro e non in oro, non attribuibili ad alcuna operazione di pegno in corso né ad altro registrata in procedura pegni, nonché carte di identità, tessere sanitarie e tessere di codici fiscali di vari nominativi; a seguito delle verifiche effettate erano, poi, emerse molte operazioni irregolari di disimpegno polizza, di annullamento di disimpegni polizze e di blocco di polizze in scadenza senza le prescritte autorizzazioni; era, poi, stato accertato sia la mancanza di beni relativi ad alcune polizze sia che il M. in alcune operazioni non aveva utilizzato, come prescritto, per la conservazione del denaro e della rimanenza, l’impianto di “roller cash” in sua dotazione, ed aveva omesso di ricoverare nel mezzo forte in sua dotazione il denaro introitato.
2. Impugnato il provvedimento di recesso, il Tribunale di Siracusa, sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, rigettava le domande del lavoratore.
3. La Corte di appello di Catania, con la sentenza n. 536/2022, confermava la pronuncia di primo grado respingendo il gravame del dipendente.
4. I giudici di seconde cure rilevavano che:
a) il licenziamento del M. non era stato ricondotto alle vicende penalistiche che lo avevano coinvolto a seguito della rapina avvenuta presso la filiale U. del 16.12.2013;
b) le condotte, oggetto della contestazione disciplinare, non erano state efficacemente contestate dal lavoratore ed avevano trovato adeguato riscontro nelle risultanze istruttorie e nella copiosa documentazione in atti;
c) l’elevato numero delle irregolarità induceva a ritenere che il dipendente non si era attenuto ai criteri e alle regole che, in qualità di addetto alla stima, era tenuto ad osservare;
d) le condotte erano indubbiamente gravissime e vi era proporzionalità con la sanzione espulsiva intimata;
e) la contestazione disciplinare non era da considerarsi tardiva, tenuto conto che i tempi del procedimento si erano dilatati anche a causa del comportamento dell’incolpato e che la mancata audizione non aveva influito sull’esercizio del diritto di difesa;
f) irrilevante era l’affissione del codice disciplinare atteso che si trattava di condotte contrarie al cd. minimo etico.
5. Avverso la sentenza di secondo grado proponeva ricorso per cassazione F.M. affidato a sei motivi cui resisteva con controricorso la U. spa.
6. Il ricorrente depositava memoria.
7. Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cc, per non avere considerato la Corte territoriale l’intervenuto passaggio in giudicato, tra le stesse parti, della sentenza penale definitiva ed irrevocabile relativamente agli accertamenti istruttori puntualmente indicati nei passi motivazionali della sentenza stessa.
3. Con il secondo motivo si eccepisce l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, con il reclamo e con le note autorizzate: sentenza penale, audit del 27.8.2013 (dal quale si evinceva che il giudizio sull’operato del M., unica risorsa addetta al settore, era soddisfacente), dichiarazione del direttore dell’agenzia, buste paga e tabulato ferie prodotto dalla Banca.
4. Con il terzo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cc e dell’art. 1455 cc, in relazione al concetto di gravità e di notevole inadempimento facenti parte della contestazione e della audizione del licenziamento anche alla luce del carattere illecito del licenziamento.
Si deduce, in particolare, che la Corte territoriale aveva fornito, in punto di sussistenza della giusta causa e di gravità dell’inadempimento, una motivazione solo apparente e, comunque, perplessa e apodittica.
5. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 437 co. 2 e 421 cpc, per non avere la Corte distrettuale provveduto ad acquisire il materiale istruttorio del giudizio penale, definito tra le stesse parti con sentenza definitiva ed irrevocabile, come sollecitato con le note autorizzate del 22.4.2022.
6. Con il quinto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, della violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300 del 1970, in relazione alla carenza di immediatezza rispetto ai fatti analoghi/identici già accertati con audit del 27.8.2013 e in relazione alla incapacità del M. di ricordare i fatti nel loro contenuto essendo decorso un lungo lasso di tempo tra i medesimi e le contestazioni disciplinari (la prima del 24.3.2014 e la seconda del 10.7.2014, dell’art. 4 della legge n. 53 del 2000 e, ancora, dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 nonché dei principi di buona fede e correttezza in relazione all’omesso rinvio della chiesta audizione personale del lavoratore e alla sua mancata attuazione; si deduce, altresì, la violazione dell’art. 2697 cc, in relazione all’onere probatorio che incombeva su U. al fine di provare eventuali specifiche ragioni organizzative, impeditive del potere disciplinare rispetto alle irregolarità che risultavano accertate con audit del 27.8.2013 e a quelle delle quali il direttore di agenzia era perfettamente a conoscenza.
7. Con il sesto motivo si obietta la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 co. 1 della legge n. 300 del 1970, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere erroneamente ritenuto la Corte distrettuale irrilevante l’affissione del codice disciplinare: ciò perché gli addebiti oggetto dell’incolpazione riguardavano operazioni irregolari e non illeciti.
8. Il primo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente per la loro interferenza, sono inammissibili.
9. Invero, essi difettano del requisito della specificità ex art. 366 co. 1 n. 4 cpc, per non essere stati trascritti i passi rilevanti della sentenza penale, di cui si lamenta il mancato esame, in un contesto, peraltro, in cui è stato evidenziato dai giudici di seconde cure che le vicende penali esulavano dalla contestazione disciplinare ed erano ad essa estranei (cfr. pag. 6, ultimo cpv, gravata sentenza): da qui, quindi, è agevole desumere la loro irrilevanza.
10. Il secondo motivo non è, parimenti, meritevole di accoglimento.
11. Deve, infatti, precisarsi che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, come sopra detto, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415/2018; Cass. 19881/2014).
12. Nella fattispecie, il fatto storico della rilevanza del comportamento del lavoratore, connesso anche alle vicende penali che lo avevano riguardato (e, come detto ritenute estranee alla incolpazione disciplinare), è stato esaminato e, quindi, premesso quanto sopra in ordine alla mancata valutazione di tutti gli elementi istruttori, la denunciata violazione dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc non è ravvisabile.
13. Il terzo ed il sesto motivo, da scrutinare anche essi congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, sono infondati.
14. Va, preliminarmente, sottolineato il fondamentale principio affermato in sede di legittimità (per tutte, Cass. n. 5095/2011; Cass. n. 6498/2012) secondo cui la giusta causa di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.
Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale.
15. Nel caso in esame, pertanto, ritenute inammissibili tutte le doglianze riguardanti la ricostruzione e le modalità della vicenda in fatto, con specifico riferimento alla censura concernente la asserita violazione del parametro normativo di cui all’art. 2119 cod. civ. va condiviso l’assunto della Corte territoriale che, proprio sulla base delle risultanze istruttorie acquisite e con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc nuova formulazione, ratione temporis applicabile, ha ritenuto, oltre ogni ragionevole dubbio e in mancanza di giustificazioni che fornissero una spiegazione alternativa dei numerosi addebiti contestati, che il M. non si era volontariamente attenuto ai criteri ed alle regole che in qualità di addetto stima era tenuto ad osservare, secondo quanto prescritto dal Testo Unico Credito su pegni, circa le operazioni di pegno e la custodia dei beni relativi alle polizze;
obblighi, la cui violazione non poteva essere equiparata a mere irregolarità ma costituiva vere e proprie trasgressioni della normativa in materia, come è agevole rilevare dalla loro gravità: “annullamento di diversi impegni di polizze senza la autorizzazione del responsabile dell’agenzia; utilizzo non conforme dell’impianto di roller cash per la conservazione de denaro; rinvenimento presso la postazione del M. di diversi oggetto in oro e non in oro non contabilizzati e non riferibili ad alcuna operazione di pegno in corso né ad altre registrate i procedura pegni; mancanza di beni relativi a polizze di pegno; rinvenimento nella postazione del lavoratore di un fascicolo amministrativo a nome di tale I.P., gioielliere, contenente tra l’altro una modulistica della banca relativa a tre costituzioni di pegno che non risultano essere stati mai realizzati; rinvenimento di documentazione relativa ad una polizza di pegno il cui smarrimento era stato denunciato e la cui procedura di ammortamento non era stata portata a compimento dal M.;
rinvenimento presso la postazione del lavoratore di documentazione in originale di pertinenza dei clienti riguardanti numerose polizze di pegno; apposizione del blocco totale su numerose polizze di pegno, in scadenza, con motivazioni incongruenti; avere indebitamente chiuso una polizza intestata a tale R. e averne aperta un’altra, sempre intestata al R. ma garantita con i gioielli di M.M.C., con la particolarità che entrambi i soggetti non avevano riconosciuti come propri i beni associati alle polizze loro intestate”.
16. E’ chiaro che la natura delle condotte sopra riportate era immediatamente percepibile come contraria a quello che la coscienza sociale considera come “minimo etico” (Cass. n. 1926/2011; Cass. n. 17763/2004), essendo i comportamenti connotati del carattere di illiceità e, pertanto, correttamente dai giudici di merito l’affissione del codice disciplinare è stata ritenuta superflua.
17. Il quinto motivo è infondato.
18. Con riguardo alla censura in ordine alla carenza di immediatezza, deve rilevarsi che, in tema di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo (quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa), con valutazione riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (per tutte, Cass. n. 281/2016; Cass. n. 16841/2018).
19. La Corte distrettuale si è attenuta al principio di diritto sopra precisato e con un accertamento in fatto, conforme a quello del primo giudice, ha ritenuto il periodo trascorso, tra i numerosi fatti accertati, la complessità degli accertamenti e delle verifiche resesi necessarie per riscontrare la loro veridicità, e le due contestazioni disciplinari (del marzo e del luglio 2014), adeguato con riguardo alla tempestività dell’addebito e alla intimazione del successivo licenziamento (8.9.2014) a seguito delle giustificazioni fornite con lettera del 14.7.2014.
20. Vertendosi, pertanto, in una ipotesi di cd. “doppia conforme”, relativamente ad una questione in fatto decisa allo stesso modo dai giudici di merito e basata, in diritto, su consolidati orientamenti giurisprudenziali di legittimità, la doglianza si rivela, pertanto, in relazione a tale profilo, oltre che infondata, anche inammissibile.
21. Con riferimento, invece, all’asserita lesione del diritto di difesa del lavoratore per mancata audizione personale, va anche in questo caso rilevata la sua infondatezza.
22. E’ opportuno preliminarmente ribadire che, in tema di procedimento disciplinare a carico del lavoratore, ove quest’ultimo eserciti il proprio diritto di difesa chiedendo espressamente di essere sentito nei termini di legge, il datore di lavoro ha l’obbligo della sua audizione e l’accertamento che le modalità di convocazione del lavoratore non siano contrarie a buona fede o alla lealtà contrattuale è rimessa al giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivata (Cass. 16 ottobre 2013, n. 23528).
Il lavoratore ha bensì diritto, avendone fatto richiesta, di essere sentito oralmente dal datore di lavoro, ma non anche, ove il datore a seguito della richiesta lo abbia convocato per una certa data, a un differimento dell’incontro limitandosi ad addurre una mera disagevole o sgradita possibilità di presenziare, poiché l’obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa risponda ad un’esigenza difensiva non altrimenti tutelabile (Cass. 31 marzo 2011, n. 7493; Cass. 7 maggio 2015, n. 9223; Cass. 9 ottobre 2017, n. 23510).
23. Ora, nel caso di specie la Corte territoriale ha accertato il rispetto del diritto di difesa, in base a ragioni congruamente argomentate, quali l’avere la società datrice fissato una data (23 luglio 2014) per l’audizione personale richiesta dal lavoratore, rinnovandola per la sua mancata presentazione alla prima a causa per malattia; anche per la seconda data (30 luglio 2014), il lavoratore faceva pervenire certificazione medica e, quindi veniva fissato un terzo appuntamento (7.8.2014) al quale il M. non si presentava adducendo di dovere assistere il padre gravemente ammalato.
24. La datrice di lavoro comunicava il 19.8.2014 al dipendente la propria esigenza di definire il procedimento disciplinare, avvenuto poi con l’intimazione del licenziamento dell’8.9.2014, in relazione al quale il lavoratore, però, aveva già ampiamente risposto in precedenza per iscritto alle due contestazioni.
25. Giova, al riguardo, osservare come secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di licenziamento disciplinare, il differimento a una nuova data di audizione personale può costituire effettiva esigenza difensiva se non altrimenti tutelabile (Cass. n. 980/2020): nel caso in esame, in relazione al terzo rinvio chiesto (quello determinato dalla necessità di assistere il padre gravemente ammalato), tale necessarietà non è stata allegata né dimostrata.
26. Né infine, può essere sottaciuto il comportamento di correttezza e buona fede della società datrice, che ha preavvertito il lavoratore della propria indisponibilità a concedere altre date, consentendogli, quindi, qualora questi lo avesse ritenuto utile, di integrare con altre difese quanto già riferito con le due note di giustificazioni, prima di adottare poi il provvedimento di recesso.
27. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
28. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
29. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.