CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 28391 depositata il 5 novembre 2024
Lavoro – Annullamento licenziamento – Reintegra lavoratore – Incompatibilità dei comportamenti tenuti con stato di malattia – Mancata presenza al momento della visita fiscale – Rigetto
Fatti di causa
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza in atti, accogliendo il reclamo proposto da B.S., in riforma della sentenza impugnata, ha accolto la domanda proposta ed ha annullato il licenziamento irrogato da T.P. srl disponendo l’immediata reintegra del lavoratore nel suo precedente posto di lavoro e condannando la datrice di lavoro al pagamento di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre contributi previdenziali ed accessori.
A fondamento della sentenza la Corte d’appello ha sostenuto, sulla base della valutazione del materiale probatorio, che al lavoratore nella lettera di contestazione fosse stata contestata l’incompatibilità dei comportamenti tenuti nel periodo tra il 7 ed il 9 agosto con lo stato di malattia o comunque che tali comportamenti fossero tali da porre in pericolo o rallentare la sua guarigione.
Nella lettera di licenziamento si specificava che il lavoratore avesse svolto attività lavorativa durante il periodo di malattia per aver simulato un inesistente stato di malattia e comunque posto in essere comportamenti idonei a pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio, oltre a non risultare presente a casa al momento della visita fiscale da parte del medico dell’Inps.
Ciò che veniva dunque contestato al lavoratore nella lettera del 31/8/2018 era di aver posto in essere attività incompatibili con lo stato di malattia o comunque l’aver ritardato la guarigione svolgendo attività lavorativa a favore di un altro soggetto.
Non era stata invece contestata la simulazione dello stato di malattia.
La contestazione disciplinare rivolta al lavoratore non era però fondata, ad avviso della Corte territoriale, perché egli fin dal momento in cui aveva reso le proprie giustificazioni durante il procedimento disciplinare aveva prodotto la certificazione dell’Inps dalla quale emergeva che, a seguito della visita effettuata il 6 agosto 2018, non doveva essere più considerato in malattia e avrebbe dovuto ricominciare la propria attività lavorativa sin dal 7 agosto 2018, essendo guarito.
La certificazione rilasciata dal medico dell’Inps era stata regolarmente prodotta sia durante il procedimento disciplinare sia nel procedimento giudiziario sin dalla fase sommaria e non era oggetto di contestazione; se dunque il lavoratore non era più malato doveva ritenersi insussistente il fatto contestato, qualunque fossero le attività da lui poste in essere nelle giornate dal 7 al 9 agosto 2018, le quali non potevano ritenersi incompatibili con uno stato di malattia in realtà inesistente; sicché nessuna malattia poteva dirsi pure aggravata.
Inoltre era anche dimostrato che l’assenza dal lavoro già dal 7 agosto 2018 non poteva dirsi ingiustificata in quanto sarebbe stato illogico pretendere dal dipendente una presenza sul posto di lavoro (peraltro il B. si era anche recato in azienda alla cessazione della malattia come attestato dall’Inps), né una permanenza ininterrotta presso la propria abitazione.
Gli ulteriori addebiti contenuti nella lettera di licenziamento non erano stati invece oggetto di alcuna contestazione precedente ed erano perciò del tutto irrilevanti.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione T.P. Srl con quattro motivi di ricorso ai quali ha resistito B.S. con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso viene denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’articolo 360 numero 5 c.p.c., posto che la Corte d’appello avrebbe omesso di motivare su tutta la documentazione prodotta dalla società T. relativamente all’insieme delle attestazioni rilasciate dall’Inps, visto che dal report del portale dell’Istituto si evince che il B. ebbe un prolungamento dello stato di malattia dal 28 luglio 2018 al 9 agosto 2018 e subito dopo dal 10 al 12 agosto 2018; la Corte d’appello aveva omesso di valutare tutta la documentazione contenuta nel portale Inps ed inoltre aveva omesso di esaminare il fatto storico costituito dalla visita fiscale effettuata dall’Inps in data 8 agosto quando l’Inps si è recato presso l’abitazione di B. e non l’ha trovato, attestando la sua assenza ingiustificata alla visita fiscale di controllo; inoltre l’Inps aveva effettivamente erogato il trattamento di malattia anche nelle giornate del 7 agosto al 9 agosto 2018.
1.1. Il motivo è inammissibile perché il fatto della discrepanza tra quanto attestato dal medico dell’Inps e quanto risultante dal portale dell’Istituto è stato espressamente valutato dalla Corte di appello; talché non sussiste l’omessa valutazione della circostanza denunciata, quanto piuttosto la pretesa della sua rivalutazione in conformità alla prospettazione di parte.
In proposito va ricordato che la selezione e la valutazione del materiale probatorio utilizzabile ai fini della decisione rientra nei poteri del giudice del merito e non può essere di per sé oggetto di sindacato in questa sede di legittimità.
Inoltre, la Corte di merito ha considerato anche il fatto della mancata presenza alla visita fiscale rilevando che non era stato oggetto di contestazione.
Ed ha pure valutato che la malattia sarebbe proseguita sino al 9 agosto; tanto che l’8 agosto il ricorrente sarebbe risultato assente alla visita domiciliare e sarebbe stato assente ingiustificato dal 10 al 9 agosto 2018; ma ha considerato tale fatto irrilevante perché la circostanza non era stata oggetto di alcuna contestazione precedente.
La Corte non ha dunque omesso l’esame di alcun fatto mentre ha escluso la rilevanza dei fatti non contestati.
Sicché non risulta comunque alcuna decisività delle circostanze addotte.
Per il resto il motivo mira a una rivalutazione del fatto ed alla riconsiderazione degli elementi di prova già valutati non ammissibile in questa sede di legittimità.
Soprattutto non contiene nessuna censura relativamente al fatto decisivo dell’efficacia del certificato dell’Inps, da cui emergeva, a seguito della visita effettuata il 6 agosto 2018, che il lavoratore non doveva essere più considerato in malattia e avrebbe dovuto ricominciare la propria attività lavorativa sin dal 7 agosto 2018, essendo guarito Inoltre, secondo le testimonianze richiamate in sentenza, il lavoratore, dopo la visita del medico dell’INPS che lo aveva giudicato guarito, aveva pure contattato il responsabile aziendale per rientrare in azienda.
Le censure sollevate col primo motivo neppure colgono quindi le effettive rationes decidendi su cui si regge la decisione gravata.
2.- Col secondo motivo viene dedotta la violazione degli articoli 1175 c.c., 1176 c.c. 2104 e 2105 c.c. ex articolo 360 numero 3 c.p.c. perché il lavoratore aveva violato l’obbligo di diligenza e buona fede perché nel caso di guarigione anticipata, con conseguente riduzione del periodo di prognosi riportato nel certificato attestante la temporanea incapacità lavorativa per malattia del lavoratore, lo stesso ero tenuto a richiedere una rettifica del certificato in corso al fine di documentare correttamente il periodo di incapacità temporanea al lavoro.
2.1. Anche questo motivo mira alla riconsiderazione della quaestio facti incensurabile in sede di legittimità, avendo la Corte d’appello accertato, invece, che il lavoratore seguito diligentemente la prassi dell’azienda contattando il responsabile del sistema gestione al fine di avere indicazioni sulla ripresa dell’attività lavorativa a seguito della diagnosi di guarigione formulata dal medico fiscale.
2.2. La tesi secondo cui il lavoratore avrebbe dovuto inviare pure un certificato di guarigione al datore di lavoro e’ inammissibile in quanto non sottoposta alla valutazione della Corte di appello ed in ogni caso infondata perché non supportata da alcuna norma di legge.
Già le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 12568 del 2018 hanno disatteso la stessa tesi affermando (sia pure con riferimento al tema del periodo di comporto) che il prestatore non ha l’onere di munirsi di tale certificato, non esistendo alcuna norma di legge in tal senso.
3.- Col terzo motivo viene dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 numero 5 c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso l’esame delle risultanze della relazione investigativa redatta dalla C. & C. e del certificato redatto dal dottor T. di continuazione della malattia dal 10 al 12 agosto 2018, dai quali documenti si evinceva un fatto decisivo ai fini della valutazione circa la legittimità e la proporzionalità della sanzione irrogata, visto che essi dimostravano inequivocabilmente come il lavoratore, tramite la condotta adottata durante i giorni investigati, avesse concretamente pregiudicato la sua ripresa lavorativa.
3.1. Il motivo è inammissibile poiché non si confronta con le ragioni della decisione, atteso che la Corte di appello – avendo escluso lo stato di malattia e quindi il presupposto in fatto per la ritenuta incompatibilità dei comportamenti tenuti dal lavoratore nei medesimi giorni – non aveva alcun motivo di valutare le risultanze della relazione redatta dell’agenzia investigativa.
4.- Col quarto motivo viene sostenuta la violazione dell’articolo 1, comma 42 della legge 92 del 2012 ex articolo 360 numero 3 c.p.c. in quanto la società aveva chiesto che in caso di liquidazione del danno in favore del lavoratore si tenesse conto anche di quanto eventualmente percepito a titolo di compensazione lucri cum damno, dell’aliunde perceptum e vel percipiendum.
Il motivo è inammissibile perché generico, posto che secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo ordinanza 7686/2021) l’eccezione di compensazione deve essere supportata dalla necessaria allegazione di specifiche circostanze di fatto, mentre nel presente caso esse mancano del tutto.
5.- Sulla scorta delle ragioni fin qui espresse, il ricorso che si giudica deve essere complessivamente rigettato.
6.- Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. con attribuzione all’Avv. R.F. antistatario.
7.- Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere ai controricorrente le spese del giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie oltre accessori dovuti per legge, con attribuzione all’Avv. R.F. antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.