CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 28927 depositata l’ 11 novembre 2024

Lavoro – Licenziamento per giusta causa – Licenziamento disciplinare intimato senza alcuna preventiva contestazione di addebito – Tutela reintegratoria – Rigetto

Rilevato che

1. La Corte d’appello di Napoli ha accolto il reclamo di O.V. e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimatole dalla S.I. spa con lettera del 10.4.2020, applicando la tutela di cui all’art. 18, comma 4, legge 300 del 1970, come modificato dalla legge 92 del 2012.

2. La Corte d’appello, per quanto ancora rileva, qualificato il licenziamento come disciplinare, ha accertato che lo stesso era stato intimato senza alcuna preventiva contestazione di addebito; ha ritenuto applicabile la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4 cit. (anziché quella prevista dall’art. 18, comma 6, adottata dal tribunale), richiamando precedenti di legittimità in termini (Cass. n. 25745 del 2016; n. 4879 del 2020).

3. Avverso la sentenza la S.I. spa (per la quale si è costituito un nuovo difensore, avv. E.D.M.) ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da memoria.

O.V. ha resistito con controricorso.

4. Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.

Considerato che

5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 6, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge 92 del 2012, e dell’art. 3 Cost. in relazione al canone di ragionevolezza, per avere la Corte d’appello ricondotto il vizio dell’omessa preventiva contestazione disciplinare alla previsione dell’art. 18, comma 4 cit., anziché al comma 6 della medesima disposizione.

6. Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 6, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge 92 del 2012, per avere i giudici di appello trascurato che il comma 6 dichiara inefficace il licenziamento per “violazione del requisito di motivazione di cui all’art. 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966 n. 604” e “della procedura di cui all’art. 7 della presente legge…”, prescrivendo la tutela indennitaria ed eccettuando la sola ipotesi in cui il giudice accerti l’assenza di giustificazione del recesso (“a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento”).

7. Con il terzo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 6, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge 92 del 2012, e dell’art. 324 c.p.c.

Si osserva che la lavoratrice non ha mai dedotto né provato a dimostrare l’insussistenza del fatto (contestato); che la stessa sentenza d’appello dà atto che nessuna verifica è stata compiuta sulla insussistenza del fatto (contestato) e che tale capo di sentenza è passato in giudicato.

8. Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., error in procedendo per avere la Corte d’appello, a fronte di una norma (art. 18, comma 6) che richiede l’accertamento della inesistenza della causa giustificatrice del licenziamento al fine di disapplicare il citato sesto comma, ritenuto applicabile la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, senza alcuna motivazione.

9. I motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente perché tutti afferenti alla questione della tutela applicabile al licenziamento privo di qualsiasi motivazione, sono infondati.

10. L’art. 18, comma 6, della legge 300/70, come novellato dalla legge 92/2012 dispone che “nell’ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito della motivazione di cui all’art. 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966 n. 604 e successive modificazioni, della procedura di cui all’art. 7 della presente legge, o della procedura di cui all’art. 7 della legge 15 luglio 1966 n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo“. In termini pressoché analoghi si esprime l’art. 4 del d.lgs. n. 23/2015.

11. Con indirizzo unanime questa Corte ha statuito che in tema di licenziamento disciplinare, il radicale difetto di contestazione dell’infrazione determina l’inesistenza dell’intero procedimento, e non solo l’inosservanza delle norme che lo disciplinano, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria, di cui al comma 4 dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge. n. 92 del 2012, richiamata dal comma 6 del predetto articolo per il caso di difetto assoluto di giustificazione del provvedimento espulsivo, tale dovendosi ritenere un licenziamento disciplinare adottato senza alcuna contestazione di addebito (v. Cass. n. 25745 del 2016; n. 4879 del 2020; v. Cass. n. 16896 del 2016 che ritiene invece applicabile la tutela di cui all’art. 18, comma 6, nell’ipotesi di contestazione disciplinare priva di una sufficiente e specifica descrizione della condotta tenuta dal lavoratore).

12. Tale lettura si fonda sul precetto normativo che collega la tutela reintegratoria attenuata (art. 18, comma 4) alla insussistenza del “fatto contestato”, così ponendo la preventiva contestazione del fatto disciplinarmente rilevante quale presupposto logico e giuridico necessario per la valutazione di illegittimità del recesso in relazione alla necessaria causalità dello stesso (sul punto v. da ultimo Corte Cost. n. 128 del 2024, § 8 del Considerato in diritto).

13. Né a conclusioni diverse può condurre l’inciso contenuto nel sesto comma dell’art. 18 (“a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento”), volto unicamente a ribadire l’esistenza di una scala di priorità tra l’illegittimità del licenziamento per carenza di giusta causa, cui è connessa una tutela più ampia, e l’illegittimità dello stesso per vizi procedurali, cui si applica una tutela più lieve, con conseguente divieto di assorbimento (sul punto v. Cass. n. 12193 del 2020; n. 10802 del 2023).

14. Non può dirsi formato alcun giudicato, come invece dedotto nel terzo motivo di ricorso, essendo stata devoluta con il reclamo la questione della tutela applicabile (v. primo motivo di reclamo illustrato a p. 3, primo cpv. della sentenza) che involge il riesame della fattispecie nella sua integralità.

15. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.

16. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.

17. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.