CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 29139 depositata il 12 novembre 2024

Lavoro – Licenziamento per giusta causa – Falsa attestazione presenza in servizio – Cartellino marcatempo – Procedimento penale per truffa –  Tardività contestazione disciplinare – Mancata previsione del contratto collettivo in termini di sanzione espulsiva – Pagamento indennità risarcitoria – Servizio di pubblica utilità – Rigetto – la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce uno (ma soltanto uno) dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di fonte legale, di cui all’art. 2119 c.c.

Rilevato che

1.- C.S. aveva lavorato alle dipendenze di N.S. spa fino al 30/04/2019, quando era stato licenziato per giusta causa (sulla base della contestazione disciplinare del 19/03/2019), rappresentata dalla falsa attestazione della presenza in servizio mediante il cartellino marcatempo nei giorni 8, 9, 10 e 11 agosto 2017 accertata da ufficiali di polizia giudiziaria, cui era seguito un procedimento penale per truffa.

Lo S. impugnava il licenziamento ritenendolo illegittimo sotto vari profili, fra cui la tardività della contestazione disciplinare e comunque la mancata previsione del contratto collettivo in termini di sanzione espulsiva.

2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale di Napoli con ordinanza del 07/07/2020 accoglieva parzialmente l’impugnazione, dichiarava risolto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condannava la società a pagare l’indennità risarcitoria pari a 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

L’opposizione della società veniva accolta dal Tribunale e pertanto l’impugnazione del licenziamento veniva totalmente rigettata.

3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dallo S.

Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:

a) con riguardo alla tempestività della contestazione disciplinare, la società, quale persona offesa dal reato, ha avuto comunicazione di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. soltanto in data 06/03/2019;

b) è vero che le indagini si sono concluse ad agosto 2017, ma risulta che gli accertamenti siano stati comunicati dalla polizia municipale soltanto al P.M. (art. 330 ss. c.p.p.) e non anche alla società;

c) infondata è la tesi del reclamante, secondo cui la denunzia del legale rappresentante della società dimostra che essa ne era già a conoscenza;

d) infatti, la denunzia evidenziava una condotta – la permanenza durante l’orario di lavoro presso altro ufficio della società senza rendere alcuna prestazione lavorativa – diversa da quella che poi è stata accertata dalla polizia giudiziaria a seguito di appostamenti ed osservazioni;

e) quanto infine all’asserita sproporzione della sanzione, la condotta accertata integra la totale negazione degli obblighi di servizio che giustifica la prognosi negativa in ordine alla correttezza dei futuri adempimenti; rilevano altresì le modalità con cui è stata realizzata la mancata prestazione lavorativa e la natura della società, soggetta al controllo del Comune di Napoli, nonché il servizio di pubblica utilità disimpegnato;

f) nessuna rilevanza ha il fatto che l’art. 48 ccnl, tra le fattispecie punibili con il licenziamento, non preveda anche la condotta oggetto di causa, trattandosi di un’elencazione meramente esemplificativa.

4.- Avverso tale sentenza S.C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

5.- N.S. spa ha resistito con controricorso.

6.- Il ricorrente ha depositato memoria.

7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.

Considerato che

1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 7 L. n. 300/1970, nonché l’omesso esame di “circostanze decisive”, per avere la Corte territoriale ritenuta tempestiva la contestazione disciplinare nonostante risultasse documentalmente dimostrato che le indagini erano terminate ad agosto 2017.

Il motivo è inammissibile, perché non si confronta con lo specifico punto della motivazione, con cui la Corte territoriale ha evidenziato che l’esito di quelle indagini, concluse ad agosto, era stato comunicato soltanto al P.M., mentre la società ne aveva avuto notizia soltanto con la formale comunicazione di chiusura delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p., ricevuta il 05/03/2019.

D’altronde, il ricorrente addebita alla Corte d’appello di non aver considerato che la data di agosto 2017 era “sicuramente conosciuta dalla stessa datrice di lavoro che non ha provato il contrario” (v. ricorso per cassazione, p. 30), senza specificare sulla base di quale elemento fondi questa asserita conoscenza della società e soprattutto errando circa l’onere probatorio, che la Corte d’appello ha ritenuto soddisfatto proprio sulla base della data di comunicazione di chiusura delle indagini preliminari, avvenuta a marzo 2019, ed in mancanza di elementi contrari che deponessero per una precedente conoscenza ad agosto 2017.

Non pertinente, poi, è il richiamo all’abrogazione della c.d. pregiudizialità penale di cui all’art. 3 del precedente c.p.p.

La Corte d’appello, infatti, non ha ragionato in termini di pregiudizialità, ma in termini di accertamento in concreto della conoscenza ed ha appurato in fatto che la denunzia del legale rappresentante della società aveva ad oggetto comportamenti diversi da quelli, poi, accertati dalla polizia giudiziaria, comunicati al P.M. ed infine resi oggetto dell’avviso di chiusura delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. e in tal modo resi noti anche alla società.

Infine, l’addebito ai giudici del reclamo di aver trascurato alcuni elementi indiziari di un’anteriore conoscenza da parte della società (v. ricorso per cassazione, p. 36) è inammissibile, perché appartiene alla discrezionalità del giudice e al suo prudente apprezzamento la selezione degli elementi istruttori da utilizzare per la formazione del proprio convincimento.

In particolare il giudice del merito, nel suo discrezionale potere di prudente apprezzamento delle prove, è libero di scegliere, tra più elementi di prova sottoposti al suo vaglio, quelli che reputi più attendibili ed efficaci ai fini della formazione del proprio convincimento, scartando gli altri che ritenga meno concludenti e sicuri.

E quanto alla prova per presunzioni, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità (Cass. ord. n. 27266/2023).

2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 48 CCNL applicabile, per aver la Corte territoriale ritenuto irrilevante la mancata previsione della fattispecie concreta come rientrante fra quelle punibili con il licenziamento per giusta causa.

Il motivo è infondato.

La previsione, da parte del contratto collettivo o del codice disciplinare, della sanzione espulsiva non è vincolante per il giudice, poiché il giudizio di gravità e di proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice ex art. 2119 c.c., da condurre alla luce della nozione legale di giusta causa (o di giustificato motivo soggettivo), avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie.

In tale prospettiva la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce uno (ma soltanto uno) dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di fonte legale, di cui all’art. 2119 c.c. (Cass. n. 16784/2020; Cass. n 33811/2021).

Dunque è conforme a diritto la decisione impugnata, nella quale la Corte territoriale ha ritenuto solo esemplificativa – e non tassativa, né quindi esaustiva – l’elencazione delle condotte punibili con sanzione espulsiva nel contratto collettivo (art. 48), come tale non ostativa ad una riconduzione della condotta accertata in concreto come disciplinarmente rilevante nell’ambito della nozione legale di giusta causa ex art. 2119 c.c.

Nessuna rilevanza può avere l’intervenuta sentenza penale – di cui non vi è prova del passaggio in giudicato – depositata dal ricorrente unitamente alla memoria.

Va infatti considerato che pure il giudice penale ha ritenuto sussistente il reato di truffa contestato all’imputato, sia pure nella forma tentata, e ne ha escluso la punibilità soltanto per la particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. (v. sentenza penale, p. 2), tanto è vero che, ai fini civili, ha comunque pronunziato la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

In ogni caso, esclusa la c.d. pregiudizialità penale, l’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale ha la sua autonomia rispetto alle valutazioni del giudice penale, anche perché si tratta di un accertamento inerente al rapporto di lavoro, mentre il giudice penale ha compiuto le sue valutazioni nell’ottica esclusivamente della sussistenza (affermata) e della punibilità (esclusa) del fatto oggetto del capo di imputazione.

3.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.

Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.