Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 30691 depositata il 29 novembre 2024

registrazione contenuta su un file audio formatosi al di fuori del processo

RILEVATO CHE

1. Con atto del 2.2020 XXX Srl contestava al dipendente YYY di avere reso dichiarazioni diffamatorie nei confronti della società in una trasmissione della  A.A. con una telefonata acquisita dall’emittente e trasmessa nell’ambito di una trasmissione radiofonica il 25.2.2020, consistite nell’essere stato riferito di un presunto caso di coronavirus presso l’Ospedale, che era stato gestito in modo contrario ai protocolli e che tale caso era stato trattato nella struttura solo in quanto il paziente era “amico di amico, di amico”.

2. A seguito delle rese giustificazioni, in data 12.3.2020 veniva intimato il licenziamento per giusta causa.

3. Impugnato il recesso, il Tribunale di Roma sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege n. 92/2012 dichiarava l’illegittimità del licenziamento disponendo la reintegra nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18 co. 4 St. lav. e il pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione (essendo la decisione intervenuta entro i 12 mesi dalla intimazione del recesso).

4. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 103/2023, rigettava il reclamo proposto dalla datrice di lavoro confermando la pronuncia di prime cure.

5. La Corte distrettuale, a fondamento della decisione, rilevava che a) l’incolpato in alcuna sede aveva mai ammesso l’addebito, disconoscendo, durante il libero interrogatorio, fermamente di essere l’autore delle dichiarazioni registrate; b) non era possibile con certezza stabilire l’appartenenza della voce registrata sul file audio né gli elementi indiziari addotti assumevano il carattere della gravità e della concordanza per ritenere sufficientemente provata la circostanza in contestazione; c) non era parimenti deferibile il giuramento decisorio che avrebbe potuto condurre ad una ammissione di responsabilità penale del dipendente; d) restavano assorbite tutte le questioni inerenti il contenuto della condotta addebitata.

6. Avverso la sentenza di secondo grado XXX Srl proponeva ricorso per cassazione affidato a cinque motivi cui resisteva con controricorso la YYY che avanzava richiesta di risarcimento ex art. 96 cpc.

7. La ricorrente depositava memoria.

8. Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex 380 bis 1 cpc.

CONSIDERATO CHE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo si denuncia la falsa applicazione e violazione di legge, per errata e falsa applicazione dell’art. 2712 cc, in relazione all’art. 360 1 n. 3, per avere la Corte distrettuale negato rilievo alle presunzioni e alla considerazione del comportamento del lavoratore ai fini della valutazione della riferibilità allo stesso della registrazione dell’intervento ad una trasmissione radiofonica.

3. Con il secondo motivo si eccepisce l’error in procedendo, per errata e falsa applicazione dell’art. 214, 215, 420 co. 5 e dell’art. 437 co. 2 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per non avere la Corte di appello ammesso le articolate prove per testi volte a dimostrare una confessione stragiudiziale del lavoratore o, comunque, un comportamento suscettibile di portare ad un ragionamento presuntivo favorevole al datore di lavoro.

4. Con il terzo motivo si obietta l’error in procedendo, per errata e falsa applicazione dell’art. 116 cpc, in relazione all’art. 360 1 n. 4 cpc, per la mancata considerazione del comportamento del lavoratore che aveva impedito l’espletamento della consulenza tecnica di ufficio, dichiarando la sua indisponibilità a dare un campione della sua voce.

5. Con il quarto motivo si lamenta l’error in procedendo, per errata e falsa applicazione dell’art. 61 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la impossibilità di una consulenza tecnica di ufficio sulla riferibilità al lavoratore della dichiarazione risultante dalla registrazione fonica.

6. Con il quinto motivo si deduce l’error in procedendo, per errata e falsa applicazione dell’art. 1 commi 47 e ss., in particolare il comma 58, della legge n. 92 del 2012, dell’art. 112, dell’art. 329 e dell’art. 33 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, sul ritenuto carattere generico dell’atto di contestazione degli addebiti, in carenza di un reclamo incidentale del lavoratore su un capo autonomo della domanda.

7. Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente, per essersi formato un giudicato esterno che preclude l’esame del presente gravame.

8. La richiesta si fonda sul fatto che, in seguito all’ordinanza del Tribunale di Roma che aveva condannato il datore di lavoro al pagamento dell’indennità risarcitoria, YYY . aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per conseguire il pagamento di tale indennità (quantificata in Euro 407,11) nei confronti del quale era stata proposta opposizione ex art. 645 cpc dichiarata, però, dal medesimo Tribunale improcedibile per omessa notificazione del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza.

9. Secondo la tesi del controricorrente, il passaggio in giudicato della pronuncia di improcedibilità, unitamente all’avvenuta corresponsione della indennità e alla omessa notificazione del ricorso in opposizione costituivano comportamenti processuali incompatibili con l’attività di gravame presentato innanzi alla Corte Suprema di Cassazione.

10. L’eccezione non è fondata perché, per aversi acquiescenza – quale atto dispositivo del diritto di impugnazione e, quindi, indirettamente del diritto fatto valere in giudizio – la manifestazione di volontà deve essere inequivoca e deve necessariamente provenire dal soggetto che di detto diritto possa disporre o dal procuratore munito di mandato speciale (Cass. n. 21267/2020).

11. Nella fattispecie, tale inequivocità non è rilevabile dal semplice abbandono del ricorso in opposizione alla somma richiesta in via monitoria (o dal suo successivo pagamento) in quanto il relativo giudizio aveva ad oggetto unicamente il quantum della pretesa e non anche l’an che era stato, invece, oggetto di impugnazione in sede di legittimità.

12. Ciò premesso, il ricorso non è fondato.

13. I primi quattro motivi, che per la loro connessione logico-giuridica possono essere esaminati congiuntamente in quanto tutti riguardanti la valutazione del comportamento processuale del lavoratore e le problematiche inerenti al materiale istruttorio, non sono meritevoli di accoglimento.

14. L’impugnata pronuncia, dando atto che l’incolpato non aveva mai ammesso in alcuna sede l’addebito di cui alla contestazione disciplinare e di avere fermamente disconosciuto, in sede di interrogatorio formale, di essere l’autore delle dichiarazioni registrate nel corso dell’intervista, correttamente ha escluso la verifica mediante una consulenza tecnica di ufficio conformandosi all’orientamento di questa Corte secondo cui l’efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 cod. civ. è subordinata, in ragione della loro formazione al di fuori del processo e senza le garanzie dello stesso, alla esclusiva volontà della parte contro la quale esse sono prodotte in giudizio, concretantesi nella non contestazione (non soggetta ai limiti e alle modalità di cui all’art. 214 proc. civ.) che i fatti che tali riproduzioni tendono a provare siano realmente accaduti con le modalità risultanti dalle stesse; qualora tale conformità venga negata resta, pertanto, esclusa la possibilità di accertarla mediante una consulenza tecnica avente ad oggetto le riproduzioni stesse (Cass. n. 1862/1996; Cass. n. 12175/1998).

15. Va, altresì, precisato che il disconoscimento che fa perdere la qualità di prova alle riproduzioni informatiche di cui all’art. 2712 cc non è soggetto ai limiti e alle modalità di cui all’art. 214 cpc, pur dovendo essere chiaro, circostanziato ed esplicito (Cass. n. 3122/2015; Cass. n. 17526/2016), come ritenuto nel caso di specie. 

16. Infine, quanto alla mancata ammissione della prova per testi, deve rilevarsi che i giudici di merito hanno dato adeguata motivazione al rigetto di tale prova specificando che l’eventuale riconoscimento della voce, ad opera di testimoni, comunque non avrebbe rivestito il carattere di certezza, che si sarebbe potuto raggiungere solo con accertamenti tecnici specialistici e, in ogni caso, si sarebbe trattato di generici elementi indiziari che non assumevano il carattere della concordanza e gravità per considerare sufficientemente provata la circostanza in contestazione.

17. Tale assunto è in linea con quanto affermato in sede di legittimità (Cass. 18072/2024; Cass. n. 16214/2019) circa la necessità che la prova non ammessa debba essere idonea a dimostrare circostanza tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia di altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento.

18. Per completezza, deve sottolinearsi che l’accertamento di fatto e la pertinenza delle prove articolate costituiscono facoltà rimesse all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito ed il mancato esercizio di tale potere, al pari di quello riconosciuto al giudice del lavoro di disporre d’ufficio dei mezzi di prova, involgendo un giudizio di merito, non può formare oggetto di censura in sede di legittimità, soprattutto se vi sia stata adeguata motivazione, come nel caso in esame (per tutte Cass. n. 10371/1995).

19. È un principio ormai consolidato, infatti, quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 29404/2017).

20. Il quinto motivo è, invece, inammissibile perché non si confronta con quanto affermato dai giudici di seconde cure che hanno ritenuto assorbite tutte le questioni relative al contenuto della condotta oggetto di incolpazione, per cui, in assenza di statuizione di secondo grado sul punto, ogni problematica sul carattere esaustivo dell’atto di contestazione degli addebiti, a seguito dell’asserito passaggio in giudicato di quanto stabilito dal Tribunale, non si palesa più rilevante ai fini del giudizio.

21. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

22. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore dei Difensori del controricorrente.

23. Non sussistono i presupposti per la invocata responsabilità della società ex 96 cpc, né ai sensi del comma 1, perché non risulta che la ricorrente abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, né ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, per non avere abusato dello strumento processuale, in quanto non risulta che essa abbia agito in modo scorretto, senza tenere conto degli interessi confliggenti in gioco, sacrificandoli ingiustificatamente o sproporzionalmente in relazione alla utilità effettivamente conseguibile (Cass. n. 26545/2021; Cass. n. 25041/2021).

24. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, da distrarsi in favore dei Difensori del controricorrente che hanno dichiarato di essere antistatari. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.