CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 31961 depositata l’ 11 dicembre 2024

Lavoro – Licenziamento per giusta causa – Responsabile reparto oculistico – Intervento oculistico – Mancato inserimento in cartella clinica del consenso informato SOI – Accoglimento

Rilevato che

1. La Corte d’appello di Napoli ha accolto il reclamo della Casa di Cura V.D.F. s.r.l. e, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di P.L. di impugnativa del licenziamento per giusta causa intimatogli il 9 aprile 2018.

2. La Corte territoriale ha ritenuto integrato l’addebito mosso al dottor L., di mancato inserimento nella cartella clinica 212/2018, relativa ad intervento oculistico eseguito il 17 gennaio 2018, del consenso informato SOI (Società Oftalmologica Italiana), da ritenersi obbligatorio in aggiunta al consenso informato previsto per legge; ha considerato irrilevante la circostanza per cui l’obbligo del consenso informato SOI fosse stato imposto con la circolare n. 4/2018, emessa dalla Casa di cura il 5 febbraio 2018 (successivamente all’intervento del 17 gennaio), data l’esistenza, già in epoca anteriore a detta circolare, di una prassi in tal senso descritta dagli informatori; ha giudicato grave la negligenza posta in essere dal dottor L., responsabile del reparto oculistico, e la stessa tale da integrare l’ipotesi per cui l’art. 11 c.c.n.l. consente l’adozione della sanzione espulsiva.

3. Avverso la sentenza P.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

La Casa di Cura V.D.F. s.r.l. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

4. Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.

Considerato che

5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza in relazione all’art. 132 c.p.c. e all’art. 118 disp. att. c.p.c. Si censura la decisione d’appello per non aver motivato l’affermazione secondo cui il consenso informato previsto per legge, puntualmente raccolto dal dr. L. unitamente ad altra dichiarazione sottoscritta dal paziente, sarebbe generico e non esaustivo rispetto alle esigenze informative delle fasi pre, intra e post-operatorie.

6. Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza in relazione all’art. 132 c.p.c. e all’art. 118 disp. att. c.p.c. nonché la violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., dell’art. 11 c.c.n.l. per il Personale Medico Dipendente da Case di Cura del 19.1.2005, degli artt. 414, 416, 420, 436, 437 c.p.c. e dell’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge 92 del 2012.

Il ricorrente denuncia l’omesso esame di documentazione decisiva sulla (non) obbligatorietà del consenso informato SOI, rappresentata dal Parere Pro Veritate reso dalla stessa Società Oftalmologica Italiana il 29.1.2020 (depositato in primo grado come doc. A e in fase di reclamo come doc. 46 e trascritto nel corpo del ricorso per cassazione alle pp. 18-19), attestante l’assenza di una “specifica scheda informativa per l’intervento di revisione della bozza filtrante” di cui alla cartella clinica 212/2018.

Assume, inoltre, che la circolare n. 4 del 5.2.2018 ha introdotto un invito e non un obbligo per i medici di inserire nelle cartelle cliniche anche il consenso informato SOI e che la stessa non prevedeva alcuna conseguenza di tipo disciplinare in caso di violazione, ma unicamente una responsabilità risarcitoria del medico.

Deduce che i giudici di appello hanno male valutato le prove orali e, per effetto di ciò, hanno ritenuto esistente una prassi in ordine alla acquisizione anche del consenso informato SOI.

7. Con il terzo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza in relazione all’art. 132 c.p.c. e all’art. 118 disp. att. c.p.c., per avere la Corte d’appello omesso di esaminare una questione decisiva, riproposta dal L. nella memoria difensiva in sede di reclamo, concernente la violazione della norma contrattuale che impone di procedere alla contestazione disciplinare “non oltre trenta giorni dal momento in cui gli organi direttivi sanitari e amministrativi degli Istituti … hanno avuto effettiva conoscenza della mancanza commessa”.

Argomenta la tardività della contestazione disciplinare inviata con lettera del 12.3.2018 a fronte della conoscenza, da parte datoriale, dell’infrazione commessa fin dall’1.2.2018, come documentato dal telegramma inviato in pari data con cui la Casa di cura comunicava al dr. L. di essere venuta a conoscenza dell’assenza del consenso informato SOI nella cartella clinica n. 212/2018.

8. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

9. Sulla eccepita nullità della sentenza per assenza di motivazione a mente dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., occorre ricordare che le Sezioni unite (Cass. SS.UU. n. 8053 e n. 8054 del 2014) hanno sancito come l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integri un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza solo nei casi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; si è ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, al punto da non consentire alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. SS.UU. n. 16599 del 2016).

10. Simili difetti non sono in alcun modo rinvenibili nella decisione impugnata che ha accertato, in base alle deposizioni dei testimoni, l’esistenza di una “prassi consolidata” (p. 4, ultimo cpv.) di “far sottoscrivere ai pazienti, oltre al modulo di consenso informato previsto per legge, anche una scheda informativa più dettagliata redatta dalle società scientifiche delle singole discipline e ciò in particolare per interventi chirurgici e trattamenti invasivi” (p. 4, secondo cpv.) e la mancata osservanza di tale prassi da parte del dr. L. in relazione all’intervento di cui alla cartella clinica n. 212/2018.

La ricostruzione dell’esistenza di una prassi aziendale, finalizzata a dare al paziente una informazione più specifica e dettagliata in merito alla patologia e alle cure, anche chirurgiche, praticate, ha reso irrilevante, nella motivazione dei giudici di appello, la omessa specificazione delle ragioni di insufficienza per genericità del consenso prescritto dalla legge e raccolto dal dr. L.

I giudici di appello non hanno giudicato generico il consenso informato normativamente imposto ma hanno preso atto della legittima prassi aziendale nel senso della obbligatorietà anche del consenso informato SOI e motivato sull’inadempimento di rilievo disciplinare addebitato al dr. L., integrante una grave negligenza, anche per il suo ruolo di responsabile del reparto oculistico.

11. Il secondo motivo è invece fondato.

12. Il ricorrente ha affermato di avere prodotto nel giudizio di primo grado (doc. A) e nel giudizio di reclamo (doc. 46) una nota di deposito con allegato il Parere Pro Veritate reso dalla Società Oftalmologica Italiana (SOI) il 29.1.2020 (documenti ridepositati in allegato al ricorso per cassazione) e che la documentazione era stata ammessa dal tribunale con provvedimento del 27.1.2021 (allegato al ricorso in esame).

Ha precisato che nel citato Parere Pro Veritate “richiesto dal dr. L. sul processo di informazione e consenso del sig. …”, si legge, tra l’altro, che la “Società Oftalmologica Italiana non ha mai messo a punto una specifica scheda informativa per l’intervento di revisione della bozza filtrante.

Pertanto, il dr. L. in questo caso non poteva utilizzare il documento di informazione e consenso della SOI”.

Deduce che la stessa SOI ha certificato di non avere mai messo a punto una specifica scheda informativa relativa all’intervento chirurgico dal medesimo praticato e oggetto della cartella clinica n. 212/2018.

Argomenta che tale documento decisivo non è stato in alcun modo esaminato dalla Corte territoriale e che, se ciò fosse avvenuto, sarebbe emersa l’insussistenza del fatto per mancanza dei presupposti della condotta omissiva contestatagli.

13. Il motivo in esame, sebbene formulato sub specie di nullità della sentenza per omessa motivazione, può essere riqualificato (sul punto v. Cass. n. 4036 del 2014; n. 2557 del 2017), ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., come denuncia di omesso esame di un fatto decisivo concernente l’inesistenza di una apposita scheda informativa redatta dalla SOI in relazione all’intervento per cui è causa e che il dr. L. avrebbe dovuto, secondo la prassi accertata dalla Corte d’appello, inserire nella cartella clinica n. 212/2018.

Tale fatto era oggetto della produzione eseguita dalla difesa del dr. L. nel corso del giudizio di opposizione, essendo il Parere Pro Veritate di formazione successiva (datato 29.1.2020), e deve considerarsi controverso tra le parti, avendo la Casa di cura affermato l’obbligatorietà dell’inserimento nella cartella clinica della scheda ISO sul presupposto logico della sua esistenza in relazione all’intervento chirurgico in concreto praticato.

Non può dubitarsi della decisività del fatto, veicolato dal citato Parere Pro Veritate reso dalla stessa Società Oftalmologica Italiana autrice delle schede informative nella branca oculistica, e idoneo, ove dimostrato, a dare conto della insussistenza dell’addebito per impossibilità di adempimento dell’obbligo che la società assume violato dal dr. L.

Il fatto della inesistenza della scheda SOI, come documentato dal Parere Pro Veritate, non risulta in alcun modo esaminato nella sentenza impugnata. Ricorrono quindi tutti gli estremi per la configurabilità del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. come delineati dalle Sezioni Unite di questa Corte nelle citate sentenze.

14. Le residue censure mosse col secondo motivo di ricorso sono inammissibili nella parte in cui criticano l’interpretazione della circolare n. 4/2018 del 5.2.2018 (pretendendo di affermare che la stessa abbia introdotto un invito e non un obbligo per i medici di inserire nelle cartelle cliniche il consenso informato SOI) senza neanche fare riferimento alla violazione dei canoni ermeneutici.

Questa Corte ha statuito che l’interpretazione degli atti negoziali e degli atti unilaterali implica un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, che, come tale, può essere denunciato in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione che integri la violazione dell’art. 132 c.p.c., fermo l’onere del ricorrente di indicare specificamente il modo in cui l’interpretazione si discosti dai canoni di ermeneutica o la motivazione relativa risulti apparente, senza limitarsi a contrapporre interpretazioni o argomentazioni alternative o, comunque, diverse rispetto a quelle adottate dal giudice di merito.

Il controllo di logicità del giudizio di fatto non può infatti risolversi in una revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice di merito ad una determinata soluzione della questione esaminata.

Si è, in particolare, precisato come la censura non possa esaurirsi nella prospettazione di una pur plausibile interpretazione alternativa degli atti richiamati, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione degli atti negoziali e degli atti unilaterali è riservata (Cass. n. 15890 del 2007; n. 9245 del 2007; n. 25270 del 2011; n. 15471 del 2017; n. 19089 del 2018).

Parimenti inammissibili sono le critiche che investono la valutazione delle risultanze istruttorie, di esclusiva competenza del giudice di merito.

15. Anche il terzo motivo è fondato.

16. Il ricorrente ha dedotto e documentato di avere, nel ricorso introduttivo in via sommaria (p.to ix, ult. 3 alinea p. 3 ricorso per cassazione) nel ricorso in opposizione (p.to vii, da 5° a 8° alinea p. 6 sentenza e pp- 40-43 del ricorso per cassazione) e nella memoria di costituzione in sede di reclamo (pp. 30-32 del ricorso per cassazione), atti trascritti nel ricorso per cassazione (pp. 41-42) e depositati in allegato allo stesso, eccepito la tardività della contestazione disciplinare (inviata il 12.3.2018) per mancato rispetto del termine fissato dall’art. 11 del c.c.n.l. di settore (di trenta giorni decorrenti dal momento in cui gli organi direttivi sanitari e amministrativi hanno avuto effettiva conoscenza della mancanza commessa); che la tardività della contestazione era stata argomentata sul rilievo che la conoscenza da parte datoriale dell’infrazione addebitata al dr. L. risalisse all’1.2.2018, data in cui la Casa di cura aveva comunicato all’attuale ricorrente di essere venuta a conoscenza dell’assenza del consenso informato SOI nella cartella clinica 212/2018; che l’intervallo tra l’1.2.2018 e l’invio della contestazione disciplinare il 12.3.2018 superava il limite di trenta giorni contrattualmente previsto.

Sulla questione della tardività della contestazione disciplinare, ritualmente dedotta, la Corte d’appello ha omesso qualsiasi pronuncia né la stessa può ricavarsi implicitamente dal tenore della decisione adottata.

Anche in tal caso il vizio dedotto dal ricorrente come violazione dell’art. 132 c.p.c. deve essere riqualificato come vizio di omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., su una questione ritualmente riproposta dal dr. L. (risultato vittorioso nella sentenza di primo grado) nella memoria di costituzione nel giudizio di reclamo.

Ricorre l’interesse dell’attuale ricorrente a proporre il motivo in esame, attinente ad un vizio procedurale attratto nella tutela di cui all’art. 18, comma 6, novellato dalla legge 91 del 2012, (ndr legge 92 del 2012)  per il caso in cui lo stesso risultasse soccombente sulla invocata tutela di cui all’art. 18, comma 4.

17. Per le ragioni esposte, accolto il secondo e il terzo motivo di ricorso, respinto il primo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.