CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 3516 depositata il 7 febbraio 2024
Lavoro – Pagamento non dovuto – Somme trattenute su pensione – Inammissibilità
Fatti di causa
1.– Con sentenza n. 358 del 2017, depositata il 24 marzo 2017, la Corte d’appello di Lecce ha respinto il gravame dell’INPS e ha conseguentemente confermato la pronuncia del Tribunale della medesima sede, che aveva accolto il ricorso della signora A.D.B. e aveva dichiarato non dovuto il pagamento della somma di Euro 9.552,08, condannando l’Istituto a restituire le «somme trattenute a tale titolo sulla pensione cat. VO, oltre interessi legali a decorrere dalla data di maturazione del diritto sino al soddisfo».
1.1.– A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha argomentato che risultano «incomprensibili le ragioni della pretesa restitutoria indicate nel provvedimento datato 21.5.2013» e che nessuna giustificazione è stata illustrata sull’origine dell’indebito dedotto in causa (pagina 3 della sentenza d’appello).
L’Istituto, in fase di gravame, ha compiuto una vera e propria mutatio libelli, in quanto ha adombrato una rielaborazione matematica della pensione e non più l’estinzione per compensazione, allegata nel giudizio di primo grado.
Neppure sussiste il paventato rischio di duplicazione dei pagamenti, in quanto «l’indebito di Euro 9.552,08 risulta – pacificamente – già completamente recuperato per compensazione» (pagina 4 della pronuncia).
1.2.– La Corte d’appello di Lecce ha evidenziato, in secondo luogo, che, «trattandosi di indebito dipendente da mero errore di calcolo commesso dallo stesso Istituto al momento della liquidazione originaria della pensione, certamente lo stesso non è imputabile al pensionato, non emergendo profili di dolo a suo carico, sicché le somme non sarebbero comunque ripetibili» (la già richiamata pagina 4 della sentenza d’appello).
2.– L’INPS impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Lecce, con ricorso notificato il 25 settembre 2017, affidato a un unico, complesso, motivo.
3.– Nessuna attività difensiva ha svolto in questa sede la signora A.D.B..
4.– Il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1., primo comma, cod. proc. civ.
5.– Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
6.– Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi al termine della camera di consiglio (art. 380-bis.1., secondo comma, cod. proc. civ.).
Ragioni della decisione
1.– Con l’unico motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente denuncia violazione degli artt. 1241 e seguenti cod. civ., dell’art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88, e dell’art. 13 della legge 30 dicembre 1991, n. 412.
Avrebbe errato la Corte d’appello di Lecce nel ravvisare un’inammissibile mutatio libelli, a fronte di allegazioni difensive che hanno sempre posto in risalto l’erroneità della contestazione racchiusa nella nota del 21 maggio 2013. A tale erroneità l’Istituto avrebbe posto rimedio con una «completa revisione di tutte le partite di dare e avere» (pagina 8 del ricorso per cassazione).
Pertanto, ad avviso del ricorrente, le acquisizioni probatorie non dimostrerebbero né un «indebito da estinguere» né una «compensazione ai sensi dell’art. 1241 del codice civile» (pagina 10 del ricorso). La descritta operazione contabile si configurerebbe come “compensazione impropria” e l’uso del termine “compensazione” non denoterebbe alcuna effettiva operazione di recupero dell’indebito (pagina 11 del ricorso).
2.– Il ricorso è inammissibile.
2.1.– Sotto l’egida della violazione di norme di legge, attinenti al regime della compensazione e alla disciplina dell’indebito previdenziale, il ricorso tende, nel suo complesso, a sollecitare a questa Corte una rivalutazione dei fatti, che i giudici d’appello hanno già esaminato e apprezzato in termini convergenti con il giudice di primo grado.
Il motivo, lungi dal censurare una violazione delle norme di legge richiamate nella rubrica o un errore di sussunzione, si sostanzia nella richiesta di valutare diversamente, e in una luce più favorevole, le risultanze di causa e il tenore delle difese, che hanno condotto la Corte territoriale a configurare una fattispecie d’indebito, regolata iuxta propria principia.
Alla lettura, piana e coerente, delineata nella sentenza d’appello, il ricorso contrappone in modo assertivo un diverso inquadramento dei dati probatori e ambisce a riqualificare la vicenda come pura e semplice operazione contabile e a sminuire il riferimento testuale della nota impugnata a un recupero d’indebito.
Da quest’angolo visuale, si coglie un primo profilo d’inammissibilità delle censure (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476).
2.2.– Le doglianze, inoltre, si appuntano su profili sprovvisti di valenza decisiva, come la mutatio libelli ravvisata dalla Corte di merito.
Il richiamo al mutamento d’impostazione difensiva è svolto solo ad abundantiam, ma il fulcro della pronuncia impugnata risiede nella carenza di argomentazioni idonee a suffragare la pretesa restitutoria oggetto del contendere e nella genericità delle deduzioni difensive dell’Istituto (pagina 3).
Il ricorso non scalfisce in modo efficace l’indicata ragione del rigetto dell’appello.
Anche da questo punto di vista, si apprezza l’inammissibilità dell’impugnazione.
2.3.– Il ricorso, infine, non infirma in modo persuasivo l’ulteriore ratio decidendi esposta dalla sentenza d’appello e di per sé idonea a sorreggerla (pagina 4).
La Corte territoriale, nel disattendere la pretesa restitutoria, ha ribadito l’irripetibilità delle somme riscosse, sulla scorta dell’assenza del coefficiente psicologico del dolo dell’accipiens.
Sul profilo in esame, il ricorso non si attarda e non illustra argomenti che inducano a negarne la valenza decisiva.
Anche da quest’angolazione, le critiche formulate nel ricorso si palesano inidonee a sovvertire la complessiva ratio decidendi della pronuncia impugnata e dunque, in ultima analisi, inammissibili.
3.– Dalle considerazioni svolte discende l’inammissibilità del ricorso.
4.– Nessuna statuizione si deve adottare in ordine alle spese del presente giudizio, in quanto la parte evocata in causa non ha svolto in questa sede alcuna attività difensiva.
5.– La declaratoria d’inammissibilità del ricorso, proposto dopo il 30 gennaio 2013, impone di dare atto dei presupposti per il sorgere dell’obbligo del ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
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