CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 5232 depositata il 27 febbraio 2025

Lavoro – Sindrome post traumatica da stress – Caduta dalle scale durante orario di lavoro – Accertamento danno biologico del 26/36% – Inammissibilità

Rilevato che

A.C. impugna la sentenza n. 64/2020 della Corte d’appello di Trento che ha respinto il gravame avverso la pronuncia del Tribunale della medesima sede che aveva rigettato la sua domanda volta ad accertare la riconducibilità della sindrome posta traumatica da stress di cui soffre ad una caduta dalle scale di cui era rimasto vittima durante l’orario di lavoro nel 2005 (ed il conseguente accertamento di un danno biologico del 26/36%).

Resiste INAIL con controricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso sotto diversi profili – per violazione del dovere di sinteticità espositiva, per mancato rispetto del requisito di specificità e di completezza e perché le censure investono la valutazione di fatto – e comunque l’infondatezza.

Chiamata la causa all’adunanza camerale dell’11 dicembre 2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).

Considerato che

A.C. propone quattro motivi di ricorso, così rubricati.

I)”Ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. per violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 cod. civ.; 112 d.P.R. 1124/1965, art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. per far valere la insussistenza della prescrizione” (che la Corte avrebbe erroneamente fatto decorrere da certificazione medica del 14 maggio 2008).

II)”Vizio sentenza ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1 n. 3 per violazione e falsa applicazione dell’art. 196 cod. proc. civ., 51 e 63 cod. proc. civ., nullità della sentenza art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. al fine di ottenere il rinnovo della Ctu, per ricusazione o sostituzione per motivi di opportunità” del consulente.

III) “Vizio della sentenza ex art. 360 cod. proc. civ. comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., motivazione illogica, apparente, per ottenere il rinnovo della CTU stante la erroneità della stessa”.

IV) “Vizio della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., omessa pronuncia ex art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. per rinnovo della CTu per accertare la derivazione professionale dell’accertato disturbo fittizio”, non essendosi la Corte pronunciata sul motivo di appello concernente il fatto che il primo giudice non aveva accolto l’istanza di chiamare il CTU a chiarimenti o di rinnovare la CTU.

Il ricorso è inammissibile.

Per ragioni di priorità logica vanno esaminati preliminarmente e congiuntamente i motivi due, tre e quattro, che tendono a censurare la sentenza nella parte in cui ha aderito alle conclusioni della CTU svolta in primo grado e non ne ha disposto il rinnovo.

Con tali censure il ricorrente, dietro la deduzione di plurime violazioni di legge, tende, in realtà, a contestare la motivazione in fatto attraverso l’espressione di un mero dissenso rispetto alle conclusioni della Corte e dell’elaborato peritale a cui la Corte ha aderito.

Premesso che, come evidenziato in sentenza, il ricorrente non aveva proposto una istanza di ricusazione del perito d’ufficio ma si era limitato a chiederne la sostituzione per motivi di opportunità, va ricordato che non può individuarsi, «a seguito di critiche alla CTU …, a carico del Giudice, un assoluto obbligo di rinnovo degli accertamenti peritali.

Al riguardo, questa Corte ha avuto occasione di precisare che “rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico d’ufficio sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o “in toto”, le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice; l’esercizio di tale potere, non è sindacabile in sede di legittimità, ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici; peraltro, il provvedimento con cui il giudice dispone la rinnovazione delle indagini non priva di efficacia l’attività espletata dal consulente sostituito (Cass. 14/11/2008, n.27247; Cass. 30/03/2010, n. 7622)”» (ex multis, Cass. n. 3153/2023) e la scelta del CTU.

Inoltre, «anche la scelta del consulente tecnico è rimessa al potere discrezionale del giudice, salva la facoltà delle parti di far valere mediante istanza di ricusazione ai sensi degli artt. 63 e 51 cod. proc. civ. gli eventuali dubbi circa la obiettività e l’imparzialità dcl consulente stesso, dubbi che, ove l’istanza di ricusazione non sia stata proposta, non sono più deducibili mediante il ricorso per cassazione (Cass. 17/11/1997, n. 11412)» (Cass. n. 14789/2020).

Quanto alla motivazione con la quale la Corte ha fatto proprio l’elaborato peritale, va richiamato il consolidato principio di diritto in forza del quale «il Giudice di merito può aderire al parere del consulente tecnico d’ufficio, senza necessità di esporne in modo specifico le ragioni della manifestata condivisione; l’accettazione del parere delinea, pur sempre, il percorso logico della decisione e ne costituisce un’adeguata motivazione, non suscettibile, in quanto tale, di censure in sede di legittimità. Il richiamo dell’elaborato implica, infatti, una compiuta e positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente (Cass. nr. 15147 del 2018; in motivazione, Cass. nr. 800 del 2021).

Peraltro, si è pure affermato (vd., tra le più recenti, Cass. nr. 3126 del 2021) che al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di merito non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione, così da doversi ritenere implicitamente rigettate le argomentazioni logicamente incompatibili con esse.

Il mancato esame di tesi difensive non integra il vizio di cui all’art. 132, comma 4, cod.proc.civ., dovendosi considerare le stesse implicitamente disattese (Cass. nr. 27402 del 2018; Cass. nr. 26184 del 2019)» (Cass. n. 2446/2023).

Nel caso di specie la Corte ha valutato che le doglianze contenute nel ricorso proposto successivamente alla espletata consulenza medico legale non erano tali da scalfire quanto già considerato e valutato dal Ctu. Si tratta di una valutazione di merito svolta dal giudice circa la validità dei motivi proposti e delle ragioni evidenziate, rispetto a quanto già accertato dal primo giudice.

Lo stesso ricorrente, peraltro, evidenzia che le doglianze avverso la CTU erano già state considerate dal consulente, con ciò evidenziando che quella invocata in questa sede processuale è una diversa prospettazione di fatti e documenti già valutati nella fase del giudizio di merito, non ammissibile nel giudizio di legittimità (v. anche Cass. n. 14789/2020).

Nella specie, quindi, ove la motivazione è certamente esistente non solo sotto l’aspetto formale ma anche sotto il profilo sostanziale, essendo idonea a rendere conoscibile il percorso logico giuridico seguito dal giudice per pervenire alla sua decisione (e nella stessa non sono riscontrabili intrinseche contraddizioni, peraltro neppure evidenziate) il motivo si limita ad esprimere un dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice rispetto alle conclusioni del CTU, senza addurre alcuna devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o omissioni di accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non avrebbe potuto prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi.

Alla luce di quanto sopra, diviene inammissibile il primo motivo, per difetto di interesse.

Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna alle spese secondo soccombenza, liquidate in dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, condanna il ricorrente alla rifusione ad INAIL delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in €3000,00 per compensi ed €200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.