CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 6523 depositata l’ 11 marzo 2025

Licenziamento – Reclamo – Art. 1, comma 58 L. n. 92/2012 – Comunicazione – Posta elettronica certificata (PEC) – Termine breve – Legittimazione passiva – Rapporto di lavoro subordinato – Prove – Inammissibilità

Rilevato che

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 4344/2021, ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto da E. S.p.A. avverso la sentenza n. 6376/2021 del Tribunale di Roma, proposto ai sensi dell’art. 1, co. 58 della L. n. 92/2012 avverso la sentenza che definiva il giudizio di opposizione promosso da E. S.p.A. con il quale il lavoratore aveva, per quanto qui rileva, impugnato il licenziamento intimatogli l’11 aprile 2018.

2. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 4344/2021, E. S.p.A. propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi.

Resistono con controricorso il sig. L.C. e R.S. S.p.A.

Le parti hanno depositato memoria e, al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza.

Considerato che

3. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., E. S.p.A. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, co. 58 L. 92/2012, 133 c.p.c., 16-bis, co. 9-bis D.L. 179/2012, 136 c.p.c. e 2700 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c..

La ricorrente sostiene che la Corte di Appello di Roma avrebbe erroneamente dichiarato il reclamo inammissibile per tardività, ritenendo che il termine breve di trenta giorni per la sua proposizione decorresse dalla comunicazione della sentenza del Tribunale di Roma n. 6376/2021, da parte della cancelleria, avvenuta il 01.07.2021.

A parere della ricorrente, tale comunicazione non era idonea a far decorrere il termine breve in quanto il file allegato al messaggio di posta elettronica certificata inviato dalla cancelleria del Tribunale non conteneva la copia integrale della sentenza, ma una mera minuta, priva della sottoscrizione del Giudice e dell’attestazione di deposito.

4. Con i successivi motivi di ricorso la ricorrente ripropone tutte le censure la cui valutazione è risultata omessa dalla pronuncia di inammissibilità censurata con il primo motivo, deducendo le stesse quali omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e, segnatamente:

4.1. con il secondo motivo si duole che la corte avrebbe omesso di esaminare la denunciata carenza di legittimazione passiva della società, per essere la stessa estranea al rapporto di lavoro che, invece, sarebbe intercorso tra il sig. C. e le società R.S. S.p.A. e R.E. LLC;

4.2. con il terzo motivo deduce che la Corte di Appello omesso di pronunciarsi e/o di motivare la sentenza in ordine al diniego di rinnovo della notifica del ricorso alla società R.E. richiesta in primo grado e non autorizzata;

4.3. con il quarto motivo si duole dell’omessa pronuncia in ordine all’insussistenza del rapporto di lavoro subordinato con il C., giacchè nella prospettazione della ricorrente la propria attività si sarebbe limitata alla mera committenza di opere o servizi nei confronti delle società R.S. S.p.A. e R.E. LLC;

4.4. con il quinto motivo di ricorso, E. S.p.A. lamenta l’omessa pronuncia in ordine alla doglianza sulla valutazione delle prove svolte in primo grado e alla mancata ammissione delle prove richieste;

4.5. con il sesto motivo di ricorso, E. S.p.A. lamenta l’omesso esame della doglianza relativa alla quantificazione dell’ultima retribuzione globale di fatto, per come svolta dal Tribunale;

4.6. con il settimo motivo di ricorso, E. S.p.A. lamenta che la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciarsi e/o di motivare la sentenza in ordine al rito applicabile al giudizio, poiché la ricorrente aveva eccepito l’inapplicabilità del rito speciale di cui alla L. n. 92/2012, in quanto la domanda del sig. C. presupponeva l’accertamento preventivo del rapporto di lavoro subordinato in capo ad E. S.p.A..

5. Il ricorso è inammissibile.

5.1. Il primo motivo è inammissibile.

Nel rito cd. Fornero, il termine breve per proporre reclamo avverso la sentenza che decide il ricorso in opposizione, di cui all’art. 1, comma 58, della l. n. 92 del 2012, decorre dalla comunicazione di cancelleria del testo integrale della decisione all’indirizzo PEC del difensore, il cui perfezionamento deve essere certificato dalle ricevute di accettazione e consegna generate dal sistema.

Il ricorrente, a fronte del chiaro tenore letterale della norma, quale regola speciale per il regime di impugnazione nel rito in esame, eccezione alla normale regola che ancora il decorso del termine, ai sensi degli artt. 133 comma 2 c.p.c. alla notifica (cfr. ex multis Sez. L – , Sentenza n. 32263 del 10/12/2019), deduce che, nel caso di specie, il file non aveva le caratteristiche idonee poiché si sarebbe trattato di un file .pdf privo di firma digitale del giudice, mancante di segni distintivi ufficiali, come la coccarda e la stringa del registro di cancelleria, non riportante l’attestazione di conformità.

Tuttavia, la Corte di appello ha spiegato in maniera accurata e chiara, come l’oggetto della comunicazione operata dalla Cancelleria, la sentenza resa dal Tribunale, non solo fosse firmata dal giudice estensore (circostanza di cui la Corte di appello ha dato conto descrivendo la procedura tecnica per la verifica della firma tramite il relativo applicativo di lettura del file con l’estensione “.pdf”, nella parte “pannello firma”, avendo tratto le relative informazioni dalle produzioni agli atti) ma fosse corredata di tutti gli attributi necessari per considerarla rituale e originale.

Pertanto, risultando presente la firma del magistrato, il file comunicato era probabilmente un originale informatico, o comunque una copia informatica corredata di ogni attributo di autenticità.

In ogni caso, peraltro, la norma di chiusura richiamata dalla Corte, rendeva di per sé ogni contestazione di autenticità (per come formulate nel caso di specie) irrilevanti.

Ed infatti, come evidenziato correttamente dalla corte, per legge l’oggetto della comunicazione telematica di cancelleria (ossia il file sentenza o provvedimento del giudice allegato) deve considerarsi equivalente all’originale in ragione del chiaro disposto dell’art. 16-bis, comma 9-bis del D.L. 179 del 2012 che prevede come “Le copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché dei provvedimenti di quest’ultimo, presenti nei fascicoli informatici o trasmessi in allegato alle comunicazioni telematiche dei procedimenti indicati nel presente articolo, equivalgono all’originale anche se prive della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all’originale”.

Una norma, quella appena riportata, di chiusura del sistema, dettata dal legislatore per favorire la certezza nella circolazione degli atti, in un momento storico in cui il passaggio continuo da atti cartacei a telematici, rischiava di creare disallineamenti normativi e compromettere l’efficacia delle innovazioni e le finalità del processo.

5.2. Pertanto il ricorso è inammissibile.

Ed infatti, alla inammissibilità del primo motivo consegue l’assorbimento di tutti i successivi, poiché correttamente la corte omise la valutazione delle ulteriori censure.

Le spese seguono la soccombenza.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.