CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 8284 depositata il 27 marzo 2024
Lavoro – Svolgimento di mansioni superiori – Licenziamento – Trasferimento d’azienda – Discontinuità dei rapporti di lavoro – Inammissibilità
Rilevato che
1. Il Tribunale di Palermo, in accoglimento del ricorso proposto da V.S., accertò lo svolgimento di mansioni superiori riconducibili al 2° livello del c.c.n.l. di categoria dal 12.12.2005 e condannò la M. s.p.a. e la (…) p.a. (S.A.S. s.p.c. consortile p.a.) in solido tra loro al pagamento delle differenze retributive spettanti a decorrere da tre mesi dopo l’assegnazione e lo svolgimento delle mansioni superiori come quantificate con la consulenza disposta nel giudizio.
2. La Corte di appello di Palermo investita del gravame da parte della S.A.S. s.p.c. consortile p.a., in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato le domande avanzate nei confronti della società appellante.
2.1. Il giudice di secondo grado, per quanto qui interessa, ha rilevato che il lavoratore nel corso del giudizio di primo grado, successivamente alla chiamata in causa della società S.A.S., si era limitato a dedurre l’esistenza della vicenda circolatoria ex art. 2112 c.c. senza prendere posizione sul recesso della M. s.p.a. antecedente all’assunzione da parte di S.A.S..
2.2. Pertanto, ritenuto incontestato che in esito alla procedura di licenziamento collettivo il lavoratore era stato licenziato ben prima di essere poi assunto dalla S.A.S., ha escluso che venisse in rilievo la vicenda circolatoria e che fosse applicabile l’art. 2112 c.c. non essendo perdurante il rapporto di lavoro con la M. il cui licenziamento non era stato neppure impugnato.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso V.S. affidato a tre motivi. La S.A.S. società consortile per azioni ha resistito con tempestivo controricorso ed ha depositato anche memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..
Ritenuto che
4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione ed errata applicazione dell’art. 32, comma 4, lettera c) della legge n. 183 del 2010 e dell’art. 6 comma 1 della legge n. 604 del 1966.
4.1. Ad avviso del ricorrente la Corte di Appello avrebbe erroneamente applicato l’art. 32 comma 4 lett. c) della legge n. 183 del 2010 che si riferisce invece alle sole “ipotesi in cui il lavoratore non intenda “risolvere” il rapporto di lavoro già esistente con la società cedente e non intenda proseguire detto rapporto con la cessionaria”. Ha rammentato infatti che la decadenza opera nella sola ipotesi in cui il lavoratore intenda opporsi alla cessione del suo contratto di lavoro alla cessionaria, volendo rimanere alle dipendenze della cedente. Nel caso in cui invece la cessione del contratto avviene automaticamente ai sensi e gli effetti dell’art. 2112 c.c. il lavoratore non sarebbe gravato da alcun onere di impugnazione.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2112 cod. civ. e si deduce che la Corte di Appello avrebbe trascurato di considerare che con l’accordo sindacale del 27.07.2012, sottoscritto in esecuzione della delibera di giunta regionale di governo n. 247 del 13.07.2012, era stato “suggellato sostanzialmente un mero mutamento di intestazione dei rapporti di lavoro e delle convenzioni di servizio” senza alcuna soluzione di continuità con la conseguenza che il licenziamento del 2012 era in realtà inesistente e comunque, laddove posto in essere, simulato. Il dipendente infatti aveva continuato a svolgere senza soluzione di continuità la propria attività fino al 30 ottobre 2012 alle dipendenze di M. e quindi, dal 1° novembre 2012 alle dipendenze di S.A.S..
4.3. Il terzo motivo ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e si deduce che la S.A.S. non aveva mai riferito di avere notificato al lavoratore un atto di licenziamento e neppure aveva offerto una prova in tal senso. Il “licenziamento del 2012” intimato da M. in esecuzione dell’accordo sindacale che aveva definito le procedure di licenziamento collettivo per cessazione di attività ex legge n. 223 del 1991 pertanto era, come detto, inesistente o quanto meno simulato e il dipendente aveva continuato a prestare la propria attività lavorativa in favore della partecipata regionale.
Conseguentemente la Corte avrebbe errato nell’accogliere l’eccezione di decadenza ex art. 32 comma 4 lett. c) cit. senza tenere conto che la società non aveva fornito la prova, che su di lei incombeva, di avere “comunicato al dipendente un atto di licenziamento scritto” dal quale sarebbe in ipotesi decorso il termine decadenziale ma ancor prima “di avere notificato al lavoratore un atto di licenziamento”.
5. Il primo ed il terzo motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente e sono inammissibili poiché da un canto la censura di violazione dell’art. 32 comma 4 lett. c) non è conferente rispetto alla statuizione del giudice di appello che nella impugnata sentenza sul punto nulla dice.
5.1. La Corte territoriale ha infatti confermato la statuizione del Tribunale accertativa della discontinuità dei due rapporti di lavoro e, soprattutto, della mancata impugnazione del licenziamento del 31.10.2012 cui era seguita la nuova assunzione. Nessun riferimento è stato fatto alla ipotesi della decadenza qui richiamata, evidentemente fuori contesto.
5.2. Inoltre, il giudice di appello che ha dato atto delle circostanze temporali specifiche, ha escluso la continuità giuridica dei rapporti attesa la cesura rappresentata dal licenziamento non impugnato.
5.3. Ne consegue che non è ravvisabile alcuna omissione ma anzi una valutazione della situazione concreta basata sulle ragioni considerate (cfr. in questo senso anche Cass. 27939 e 27941 del 2023 relative a fattispecie analoghe).
6. Anche il secondo motivo risulta inconferente rispetto alle statuizioni del giudice d’appello dirette ad escludere l’esistenza di un trasferimento d’azienda. La sentenza, confermando quanto accertato dal primo giudice, ha dato atto della novità del rapporto e dei contratti instaurati con SAS, escludendone, pertanto, la continuità e rapportabilità al primo rapporto, esauritosi con il licenziamento (ancora ugualmente Cass. nn.27939 e 27941 del 2023).
6. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
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