CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, sentenza n. 10449 depositata il 17 aprile 2024
Lavoro – Assegno di natalità di cui all’art. 1, comma 125, della Legge n. 190/2014 – Carattere discriminatorio della condotta dell’INPS – Cittadini di paesi terzi che soggiornano come lavoratori autonomi transitoriamente – Mancanza del permesso di soggiorno per lungo periodo – Irrilevanza – Dichiarazione di incostituzionalità – Rigetto
Svolgimento del processo
Con sentenza del giorno 16.1.2018 n. 8, la Corte d’appello di Brescia rigettava l’appello proposto dall’Inps avverso la sentenza del Tribunale di Brescia che aveva accolto il ricorso promosso da P.R.M., volto a chiedere l’accertamento del carattere discriminatorio della condotta tenuta dall’Inps consistente nella negazione dell’assegno di natalità di cui all’art. 1 comma 125 della legge n. 190 del 2014 con ordine all’Istituto previdenziale di riconoscere il diritto al predetto assegno di natalità alle medesime condizioni previste per i cittadini italiani.
Il tribunale ha accolto la domanda di assegno di natalità della ricorrente – che l’Inps aveva respinto perché P.R.M. non risultava in possesso di un utile permesso di soggiorno – rilevando il carattere oggettivamente discriminatorio della condotta tenuta dall’ente previdenziale nei confronti della ricorrente stessa, accertando il diritto a percepire la prestazione richiesta. Il tribunale, in particolare, ha disapplicato la norma che esclude la provvidenza per i cittadini stranieri lavoratori, atteso che il requisito di essere soggiornante di lungo periodo non può riguardare le prestazioni in materia di sicurezza sociale a favore di lavoratori (tra cui andava ricompreso l’assegno di natalità oggetto di controversia), ma solo quelle di assistenza. Il tribunale ha, inoltre, ritenuto che la ricorrente avesse correttamente proposto l’azione civile contro la discriminazione ex art. 28 d.lgs. n. 150/11 e che detta azione fosse ammissibile, nonostante la mancata presentazione di previo ricorso in via amministrativa.
La Corte territoriale, da parte sua, per quanto ancora d’interesse, previa una diffusa disamina della normativa comunitaria ha, in buona sostanza, confermato la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, l’Inps ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, mentre P.R.M. non ha spiegato difese scritte.
Il PG ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.
Il Collegio riserva sentenza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della decisione in camera di consiglio.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, l’istituto previdenziale deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, del combinato disposto degli artt.1 commi da 125 a 129 della legge n. 190/14 e connesso D.P.R. del 27.2.2015 (ndr D.P.C.M. del 27.2.2015), 4 bis, comma 1 bis, 5, commi 8.1 e 8.2 e 9 e dodicesimo comma, lett. c), 43 e 44 del d.lgs. n. 286/98, in relazione all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, dell’art. 3 comma 2 dir. 2011/98/UE, recepita con l’art. 1 comma 1 lett. b) del d.lgs. n. 40/14 che ha inserito all’art. 5 del predetto d.lgs. n. 286/98 il comma 8.2 lett. c) e, di conseguenza, dell’art. 3 del reg. CE n.883/2004, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente la Corte d’appello aveva riconosciuto il diritto del cittadino extracomunitario titolare di permesso per motivi familiari in quanto coniuge di altro cittadino extracomunitario titolare di permesso per lavoro autonomo, a percepire la provvidenza a titolo di assegno di natalità di cui all’art. 1 commi 125-129 della legge n. 190/14, per la figlia nata in data 21 aprile 2016, pur in presenza del disposto di cui all’art. 3 comma 2 lett. k) della dir. 2011/98/UE, recepito con l’art. 1comma 1 lett. b) del d.lgs. n.40/14 che ha inserito all’art. 5 del d.lgs. n. 286/98, il comma 8.2 lett. c), definendo discriminatoria la condotta tenuta dal medesimo istituto. Secondo l’Istituto previdenziale non è invocabile il diritto alla parità di trattamento di cui all’art. 12 della dir. 13 dicembre 2011 n. 98 che compete ai cittadini dei paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), tra i quali non sono ricompresi i cittadini di paesi terzi che soggiornano come lavoratori autonomi (ovvero i loro familiari) e che si trovano nel territorio nazionale transitoriamente e, comunque, per periodi più brevi di 5 anni, che sono contemplati nel successivo paragrafo 2 del medesimo articolo 3.
Con il secondo motivo di ricorso, l’istituto previdenziale, in via subordinata rispetto al primo motivo, deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, del combinato disposto degli artt.1 commi da 125 a 129 della legge n. 190/14 e connesso D.P.C.M. del 27.2.2015, 4 bis, comma 1 bis, 5, commi 8.1 e 8.2 e 9 e dodicesimo comma, lett. c), 43 e 44 del d.lgs. n. 286/98, in relazione all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, dell’art. 12 dir. 2011/98/UE, recepita con l’art. 1 comma 1 lett. b) del d.lgs. n. 40/14 e dell’art. 3 del reg. (CE) n. 883/2004, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente la Corte d’appello aveva riconosciuto al coniuge di cittadino extracomunitario, titolare di permesso di soggiorno per lavoro autonomo e privo di permesso di soggiorno di lungo periodo il diritto a percepire la provvidenza a titolo di assegno di natalità di cui all’art. 1 commi 125-129 della legge n. 190/14, per la figlia nata in data 21.4.2016, pur in assenza di una specifica previsione normativa al riguardo da parte del combinato disposto delle disposizioni indicate in rubrica del presente motivo di ricorso, condannando l’Istituto alla prestazione richiesta e definendo discriminatoria la condotta tenuta dall’Inps.
In buona sostanza, con i suddetti motivi di ricorso, l’Istituto previdenziale evidenzia come dalla disciplina dell’assegno di natalità, si evince in modo inequivocabile che si tratta di una sorta di bonus espressamente previsto per i figli nati da cittadini italiani o di uno Stato membro dell’unione europea o da cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno di lungo periodo. La prestazione economica, secondo l’assunto dell’Inps costituisce un premio diretto ad incentivare la natalità nell’ambito del territorio nazionale; per tale motivo l’assegno di natalità non può essere ricompreso tra le misure poste a tutela della sicurezza sociale, tenendo conto dei vincoli di spesa annuali e degli obblighi di rendicontazione dello stesso Istituto previdenziale: in buona sostanza, secondo l’Inps, riconoscere detto assegno anche a quei genitori che temporaneamente si trovano nel territorio nazionale, vanificherebbe del tutto lo scopo perseguito dal legislatore.
Il primo e secondo motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto sono infondati.
Infatti, secondo la Giurisprudenza di questa Corte, “Al cittadino extracomunitario, privo di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, spetta l’indennità di natalità ex art. 1, comma 125, della l. n. 190 del 2014, a seguito della sentenza n. 54 del 2022 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della suddetta norma (nella formulazione vigente “ratione temporis” e, dunque, antecedente alle modificazioni introdotte dall’art. 3, comma 4, della l. n. 238 del 2021), nella parte in cui esclude dalla concessione dell’assegno di natalità i cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi nello Stato a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale e i cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del Regolamento (CE) n. 1030 del 2002” (Cass. n. 32606/22).
Nella specie al ricorrente – pur non essendo un soggiornante di lungo periodo, ma titolare in un permesso unico che gli consentiva, in ogni caso, di svolgere attività di lavoro autonomo – spettava l’assegno di natalità per la figlia, in quanto gli assunti dell’Inps – secondo cui dalla disciplina dell’assegno di natalità, si evincerebbe in modo inequivocabile che si tratta di una sorta di bonus espressamente previsto per i figli nati da cittadini italiani o di uno Stato membro dell’unione europea o da cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno di lungo periodo, che siano radicati sul territorio nazionale e che la prestazione economica costituirebbe un premio diretto ad incentivare la natalità nell’ambito del territorio nazionale -si basano in effetti su un’interpretazione dell’art. 1 comma 125 della legge n. 190 del 2014, che è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 54 del 2022 (nella formulazione vigente ratione temporis e dunque antecedente alle modificazioni introdotte dalla L. n. 238 del 2021, art. 3, comma 4), nella parte in cui esclude dalla concessione dell’assegno di natalità i cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi nello Stato a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale e i cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002.
Essendo stato il motivo di censura fondato su di una norma dichiarata costituzionalmente illegittima, il ricorso, corretta negli anzidetti termini la motivazione della sentenza impugnata, va senz’altro rigettato.
La mancata predisposizione di difese scritte da parte dell’intimata esonera il Collegio dal provvedere sulle spese.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, rispetto a quello già versato a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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