CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, sentenza n. 11198 depositata il 26 aprile 2024

Lavoro – Versamento fondo pensione integrativa – Quote TFR non versate dal datore di lavoro – Lavoratrice ammessa al passivo del fallimento – Risorse di natura contributiva – Risorse di natura retributiva – Accoglimento

Fatti di causa

1. La Corte d’appello di Milano, con la sentenza in epigrafe indicata, ha confermato la decisione di prime cure, nel capo relativo all’accoglimento della domanda proposta dall’attuale intimata, nei confronti dell’ INPS, per il versamento al Fondo Pensione Integrativa Cometa, delle quote di TFR non versate dal datore di lavoro cedente – la s.r.l. M. dichiarata fallita – credito per il quale la lavoratrice era stata ammessa al passivo del fallimento; e, in parziale riforma della sentenza gravata, ha dichiarato dovuta, sulla somma liquidata in prime cure, la sola rivalutazione monetaria.

2. Avverso tale sentenza ricorre l’INPS, con ricorso affidato a tre motivi, ulteriormente illustrato con memoria, cui resiste, con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria, L.C.P.G..

Ragioni della decisione

3. Con il primo motivo di ricorso l’INPS lamenta la violazione degli articoli 2112 cod.civ., in relazione agli articoli 1 e 2 legge n. 297 del 1982 e all’art. 4 d.lgs. n.80 del 1992, per avere la Corte di merito, nell’escludere l’applicabilità dell’art. 2112 cod.civ., in ragione del credito, ritenuto non obbligato solidalmente, con il datore di lavoro fallito, il datore di lavoro cessionario ed onerato, della prestazione richiesta, l’ente previdenziale.

4. Con il secondo motivo si denunciano plurime violazioni di legge, per avere la Corte di merito affermato l’estraneità del lavoratore al rapporto contributivo nell’ambito della previdenza complementare.

5. Con il terzo motivo si denunciano plurime violazioni di legge, per avere la Corte di merito ritenuto opponibile, all’ente previdenziale, l’ammissione al passivo pur in assenza dei presupposti per l’erogazione della prestazione previdenziale richiesta.

6. I motivi, esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logica, sono da accogliere.

7. Secondo la recente sentenza di questa Corte n. 19510 del 2023 – resa in una fattispecie in cui veniva in rilievo la questione della natura degli accantonamenti del trattamento di fine rapporto destinati dal lavoratore alla previdenza complementare – il credito del lavoratore al T.F.R. accantonato presso il datore di lavoro, con la finalità di destinazione alla previdenza complementare e in origine di natura «retributiva», assume natura «previdenziale» nel momento di attuazione del vincolo di destinazione, vale a dire con il versamento, al Fondo di previdenza complementare, delle risorse finanziarie del lavoratore – sub specie di contribuzione o di conferimento di quote di T.F.R. – accantonate dal datore di lavoro, su mandato del lavoratore medesimo (v. Cass. n. 19510 del 2023 cit.).

8. Qualora, invece, il datore di lavoro non provveda al versamento, per inadempimento dell’obbligazione assunta verso il lavoratore con il mandato ricevuto, il vincolo di destinazione impresso alle risorse – parte della retribuzione attuale o attesa con la maturazione delle quote di T.F.R. – non si attua, ma si ripristina la disponibilità piena, per il lavoratore, di tali risorse, di natura retributiva.

9. Tale conclusione, come già argomentato da Cass. n.19510/2023 cit., e altre decisioni coeve, è avvalorata dal meccanismo di operatività dell’apposito Fondo di garanzia (istituito presso l’Inps contro il rischio derivante dall’omesso o insufficiente versamento, da parte del datore di lavoro insolvente, dei contributi alle forme di previdenza complementare), introdotto dal d.lgs. 80 del 1992 che, all’art. 5, prevede che, nel caso in cui, «a seguito dell’omesso o parziale versamento dei contributi dovuti per forme di previdenza complementare» (di cui all’art. 9-bis d.l. n. 103/1991, conv., con modif., in L. n. 166/1991) «ad opera del datore di lavoro», non possa essere corrisposta la prestazione alla quale avrebbe avuto diritto, «il lavoratore», ove il suo credito sia rimasto in tutto o in parte insoddisfatto in esito ad una delle procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa ovvero di amministrazione straordinaria, possa richiedere al fondo di garanzia di integrare presso la gestione di previdenza complementare interessata i contributi risultanti omessi (comma 2); in tali casi, il Fondo è surrogato di diritto al lavoratore per l’equivalente dei contributi omessi, versati a norma del comma 2 (comma 3) .

10. Tali disposizioni confermano, invero, che quand’anche il lavoratore abbia aderito a forme di previdenza complementare, egli resta titolare del diritto di credito nei confronti del datore di lavoro al pagamento dei contributi – anche sotto forma di quote di T.F.R. – non versate al fondo di previdenza complementare e, del pari, in caso di suo fallimento, qualora il lavoratore attivi il Fondo di garanzia, la surrogazione di quest’ultimo, al primo, nell’ammissione al passivo per i contributi omessi.

11. Va, dunque, ribadita la distinzione dei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro – da cui il primo trae, con una parte della propria retribuzione, le risorse per la contribuzione o il conferimento delle quote di T.F.R. maturando – e tra lavoratore e Fondo di Previdenza Complementare – di natura contrattuale per il conseguimento, da parte del lavoratore medesimo, attraverso l’investimento da parte del Fondo, di una prestazione previdenziale integrativa – per cui il datore di lavoro assume l’obbligo, sulla base di un mandato ricevuto dal lavoratore e salvo che non risulti dallo statuto del Fondo una cessione del credito, di accantonare e versare ad esso la contribuzione o il T.F.R. maturando conferito.

12. Fino al compimento del versamento da parte del datore di lavoro, la contribuzione o le quote di T.F.R. maturando conferite, accantonate presso il datore di lavoro medesimo, hanno natura retributiva, mentre ha natura previdenziale la prestazione previdenziale integrativa erogata al lavoratore dal Fondo di previdenza complementare.

13. Il mancato versamento, da parte del datore di lavoro insolvente, della contribuzione o delle quote di T.F.R. maturando conferite, accantonate su mandato del lavoratore con il vincolo di destinazione del loro versamento al Fondo di previdenza complementare, comporta, per la risoluzione per inadempimento del mandato, il ripristino della disponibilità piena in capo al lavoratore delle risorse accantonate, di natura retributiva: posto che esse assumono natura previdenziale, soltanto all’attuazione del vincolo di destinazione, per effetto del suo adempimento.

14. Il fallimento del datore di lavoro, quale mandatario del lavoratore, comporta lo scioglimento del contratto di mandato, ai sensi dell’art. 78, comma 2, l. fall. e il ripristino della titolarità, spettante, di regola, al lavoratore, così legittimato ad insinuarsi allo stato passivo, salvo che dall’istruttoria emerga che vi sia stata una cessione del credito in favore del Fondo di previdenza complementare, cui in tal caso spetta la legittimazione attiva ai sensi dell’art. 93 l. fall.

15. In continuità, pertanto, con la più recente giurisprudenza di questa Corte va riaffermato che, nel caso in cui il datore di lavoro non abbia versato, al Fondo di previdenza complementare, le quote di T.F.R. che avrebbe dovuto versare secondo la scelta del lavoratore, quest’ultimo resta creditore del corrispondente importo nei confronti del datore di lavoro, di natura «retributiva», atteso che il mancato versamento al Fondo di previdenza complementare non gli ha impresso natura «previdenziale».

16. Conseguentemente, il datore di lavoro cessionario dell’azienda subentra, ex art. 2112 cod.civ., nel debito del datore cedente ed è, pertanto, tenuto ad adempierlo nei medesimi termini.

17. Quanto alla possibilità di invocare l’intervento del Fondo di Garanzia, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 80 del 1992, va ribadito il consolidato principio secondo cui il diritto all’intervento del Fondo, sia per quanto concerne il T.F.R. che le ultime tre mensilità, presuppone l’«insolvenza» del «datore di lavoro».

18. Nella vicenda all’esame, quando la lavoratrice ha presentato all’INPS domanda d’intervento ex art. 5 cit. per le quote di T.F.R. accantonate ma non versate al Fondo di previdenza complementare dall’ex datrice di lavoro M. s.r.l., fallita il 6 marzo 2014, era già passata, dal 1° giugno 2013, alle dipendenze di F.B. s.r.l., cessionaria dell’azienda M., e, perciò, subentrata nel debito, da M. non adempiuto, di versamento delle quote di T.F.R.

19. Non sussistono, pertanto, i presupposti dell’intervento del Fondo di garanzia, non essendo il datore di lavoro cessionario – tenuto al versamento delle quote di T.F.R. a suo tempo non versate dal datore cedente – sottoposto a una delle procedure di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 80 del 1992.

20. La sentenza impugnata, che non si è uniformata ai predetti principi, va cassata e, per non essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa, nel merito, con il rigetto dell’originaria domanda.

21. La novità della questione trattata consiglia la compensazione delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda; spese compensate dell’intero processo.