CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, sentenza n. 16065 depositata il 10 giugno 2024

Licenziamento – Comportamenti di rilievo disciplinare – Illegittimità – Valutazione della gravità dell’inadempimento imputato – Ipotesi di insubordinazione

Fatti di causa

La Corte di appello di Catanzaro aveva rigettato l’appello proposto da V.A. spa avverso la decisione con cui il tribunale, confermando la decisione resa in fase sommaria, ex lege n. 92/2012, aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato dalla società a J.I. per aver la lavoratrice tenuto una serie di comportamenti di rilievo disciplinare.

In particolare erano addebitati i seguenti fatti così complessivamente indicati: la illegittima presenza della J. all’interno del P.G., parte della struttura datoriale, in giornate di assenza per ferie della lavoratrice, con interlocuzione della stessa con medici ed altro personale; l’insubordinazione rispetto ad altra dipendente con cui era sorta una discussione; la sottrazione di un farmaco di cui la lavoratrice aveva chiesto la consegna adducendo di esserne stata autorizzata ed infine la richiesta ad altra dipendente di testimoniare una falsa circostanza quale l’aver ricevuto una telefonata in cui la J. comunicava la propria assenza dal lavoro in quella giornata.

La Corte territoriale, confermando il tribunale, aveva valutato la non rilevanza di taluni addebiti e l’insussistenza di altri anche per l’assenza di prova certa circa alcune delle circostanze denunciate dalla datrice di lavoro.

Avverso detta decisione la società proponeva ricorso cui resisteva la lavoratrice con controricorso anche contenente ricorso incidentale condizionato. La società depositava controricorso avverso il ricorso incidentale. Entrambe le parti depositavano successive memorie.

Ragioni della decisione

Preliminarmente la società ha sottolineato la ammissibilità del ricorso in quanto le decisioni dei giudici sono fondate in parte su valutazioni differenti, almeno con riferimento a due degli addebiti (sottrazione del farmaco e l’induzione a falsa testimonianza) con esclusione, pertanto, della applicabilità al caso de quo, dell’art. 348 ter c.p.c.

Ricorso principale:

1) – Con primo motivo si denuncia la violazione degli artt. 2104 e 2106 c.c. e art. 3 l.n. 604/66 per non aver la corte di merito valorizzato la natura del licenziamento intimato per giustificato motivo soggettivo.

E’ lamentata la mancata valutazione complessiva degli addebiti che, in considerazione del ruolo rivestito dalla lavoratrice (responsabile risorse umane), avrebbe dovuto fa considerare la maggiore gravità della condotta tenuta in quanto lesiva dell’affidamento fatto sulla stessa.

La censura è inammissibile poiché, in sostanza, la società, dolendosi della mancata complessiva valutazione delle condotte, in realtà insiste per una rivalutazione di quanto giudicato dal giudice del merito, non consentita in questa sede di legittimità.

Peraltro, il giudizio complessivo invocato deve avere come essenziale presupposto che i fatti addebitati siano singolarmente esistenti sul piano giuridico quali violazioni e siano di rilievo disciplinare.

 Nel caso in esame l’analisi svolta dal giudice d’appello ha condotto ad escludere rilievo e addebitabilità ai fatti contestati.

Si rammenta che in tema di licenziamento individuale per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo ai sensi dell’art. 2119 cod. civ. o dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che l’inadempimento, ove provato dal datore di lavoro in assolvimento dell’onere su di lui incombente ex art. 5 della citata legge n. 604 del 1966, deve essere valutato tenendo conto della specificazione in senso accentuativo a tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 cod. civ., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria – durante il periodo di preavviso – del rapporto (Cass.n. 16864/2006; Cass.n. 14257/2000).

Siffatti risalenti principi esplicitano la necessità che nel giudizio, anche complessivo, delle condotte, si faccia espressa attenzione intanto alla prova dell’inadempiente comportamento nelle sue singole componenti e che a tale accertamento segua una valutazione di gravità tale da rendere evidente la definitiva lesione del vincolo fiduciario. Nel caso in esame la corte di merito ha singolarmente valutato gli addebiti considerandoli insussistenti o irrilevanti così escludendo in radice la antigiuridicità degli stessi e di conseguenza, ogni possibile valutazione unitaria degli stessi.

2) – Con secondo motivo è dedotta la violazione degli artt. 21 Cost., 1175, 1375, 2094, 2104, 2106 c.c., art. 1 l. n. 300/70 e 41 lett.f) CCNL con riguardo all’episodio della “insubordinazione/diverbio”, ritenuto dalla ricorrente società mal valutato perché considerato in modo riduttivo il concetto di insubordinazione.

La corte d’appello sul punto aveva ritenuto che la discussione sorta tra la lavoratrice ed altra dipendente non potesse integrare una ipotesi di insubordinazione (accesso alla struttura non autorizzato), in assenza di una disposizione specifica impartita alla lavoratrice rimasta inadempiuta. L’episodio era stato considerato quale diverbio.

Si tratta all’evidenza di una valutazione svolta dal giudice del merito su un fatto che lo stesso ha considerato alla luce dei principi rilasciati da questa Corte di legittimità in tema di insubordinazione quale ipotesi integrata da ogni comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di disposizioni datoriali nel quadro della organizzazione aziendale (Cass. n. 9736/2018; Cass. n. 7795/2017).

La corte d’appello aveva infatti accertato che era risultata insussistente una regola aziendale che impedisse l’accesso alla struttura in questione e che dunque il comportamento della lavoratrice, presente nella detta struttura, non poteva considerarsi violativo di un divieto. Il motivo è pertanto inammissibilmente diretto a richiedere una nuova valutazione di merito non consentita in questa sede.

3) – Con il terzo motivo è denunciata la violazione di legge in riferimento agli artt. 246 c.p.c. e 2697 c.c. per l’episodio di sottrazione del farmaco. Anche in tal caso è lamentata la errata valutazione circa l’assenza di una autorizzazione a prelevare il farmaco richiesto dalla lavoratrice; si deduce che la corte avrebbe dovuto disporre l’audizione dell’amministratore della società.

4) – Il quarto motivo denuncia l’omesso esame su fatto decisivo quale il complessivo addebito circa la sottrazione del farmaco in riferimento all’utilizzo personale del farmaco prelevato. Deduce a riguardo la società che su tale punto la sentenza non abbia pronunciato.

I motivi possono essere trattati congiuntamente.

Deve premettersi che questa Corte ha chiarito che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. nn. 8758/017-18721/2018).

La censura proposta mira invero a stimolare una nuova valutazione rispetto ad una circostanza ed una situazione processuale (mancata audizione del teste), già affrontata e valutata nella sentenza impugnata.

Quanto poi alla denuncia di omesso esame rispetto all’addebito di prelievo del farmaco per uso personale, deve sottolinearsi che, una volta che la corte d’appello aveva escluso, con giudizio, come detto, di merito insindacabile in questa sede, che la lavoratrice fosse priva di autorizzazione, risultava irrilevante accertate l’uso personale del farmaco in questione.

5) – Con il quinto motivo è dedotta la violazione degli artt.115, 116 e 421 c.p.c., 2697 c.c. per l’induzione alla falsa testimonianza.

La sentenza impugnata, trattando quest’ultimo episodio contestato, ha accertato con valutazione di merito l’insussistenza dello stesso esaminando gli elementi istruttori raccolti ed in particolare le dichiarazioni dei testi escussi. Anche in tal caso il motivo in esame è diretto a richiedere una nuova valutazione non consentita in questa sede di legittimità

6) – Il sesto motivo lamenta la mancata applicazione della recidiva ai fini del giudizio di proporzionalità della sanzione espulsiva.

Il motivo deve essere assorbito da quanto sopra rilevato, poiché assume la provata sussistenza di addebiti, invece, come detto, esclusi.

7) – L’ultimo motivo del ricorso principale denuncia la violazione degli artt. 2106 e 2697c.c., artt.115 e 116 e 437 c.p.c. art. 18 l. n. 300/70 e art. 4.5 codice etico. E’ denunciata la mancata valutazione del codice etico relativamente all’utilizzo personale di beni aziendali (sottrazione farmaco). Il motivo deve essere dichiarato inammissibile per quanto già espresso con riguardo all’episodio in questione ai punti 3) e 4).

Si tratta, ancora una volta, di una valutazione di merito già svolta dalla corte territoriale, peraltro rispetto ad una disposizione contenuta nel codice etico richiamato in questa sede per la prima volta e comunque riferito a sottrazione di beni aziendali “che possano essere causa di danno o di riduzione di efficienza o comunque in contrasto con l’interesse dell’azienda”; circostanze, queste ultime, mai provate dalla società. Per quanto detto il ricorso principale deve essere rigettato.

Ricorso incidentale

1) – Con ricorso incidentale condizionato la J. ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 co,.1 l.n.300/70 e 3 l.n. 108/2009, al fine dell’accertamento, in caso di accoglimento del ricorso principale, della nullità del licenziamento perché discriminatorio, rivestendo la stessa, la funzione di esponente sindacale.

Il ricorso risulta assorbito dal rigetto del ricorso principale. In conclusione, deve rigettarsi il ricorso principale e ritenersi assorbito l’incidentale.

Le spese seguono il principio di soccombenza.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, ove dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 5.500,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.