Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 21520 depositata il 31 luglio 2024

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.G., G.V. e M.E. hanno esposto, con ricorso depositato presso il Tribunale di Roma, il 6 marzo 2013, che:

erano dipendenti dell’Azienda ospedaliera San Camillo Forlanini con la qualifica di Dirigenti Avvocati;

il Regolamento dell’Avvocatura dell’Azienda prevedeva che, in caso di sentenze favorevoli con spese compensate, ai menzionati Dirigenti Avvocati dovessero essere corrisposti i compensi professionali nella misura minima prevista dal Regolamento del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma del 29 settembre 2004;

in seguito a transazione del 25 gennaio 2011, avevano stipulato con l’ente dei contratti individuali in data 31 gennaio 2011, i quali prevedevano, all’art. 6 lett. B3, come nella richiamata transazione, la rinuncia alla retribuzione di risultato in cambio della corresponsione degli onorari professionali nelle vertenze patrocinate con esito favorevole;

la controparte aveva adempiuto all’accordo fino ad ottobre 2012, per poi sospendere il pagamento dei detti onorari per le cause con esito favorevole e spese compensate.

Essi hanno chiesto la condanna della P.A. resistente a pagare a ciascuno di loro € 67.077,42, ammontare derivante dalle notule non pagate di novembre e dicembre 2012 e di gennaio e febbraio 2013, riferite a controversie concluse con esito favorevole alla detta P.A. e con spese compensate, ai sensi dell’art. 10 del Regolamento aziendale n. 1044 del 10 maggio 2010.

Con successivo ricorso hanno avanzato analoga richiesta concernente i mesi da marzo a giugno 2013.

Il Tribunale di Roma, riuniti i ricorsi, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 5875/2014, li ha rigettati.

I ricorrenti hanno proposto appello che la Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 5430/2017, ha rigettato

I ricorrenti hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.

L’Azienda ospedaliera San Camillo Forlanini si è difesa con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Preliminarmente, si evidenzia che i ricorrenti, avvocati interni dell’azienda ospedaliera controricorrente, hanno agito per ottenere il pagamento dei compensi professionali a loro asseritamente dovuti con riferimento a delle sentenze favorevoli all’ente patrocinato, con spese compensate, come previsto dall’art. 10 del Regolamento aziendale 1044 del 10 maggio 2010, per il quale i dirigenti avvocati, in simili casi, avevano diritto a ricevere tali compensi nella misura minima stabilita dalle tariffe approvate con il Regolamento del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma adottato il 28 ottobre 2004.

I giudici del merito hanno dato loro torto in quanto il CCNL di settore (art. 64 Comparto sanità, area dirigenti non medici 1994-1997, confermato dall’art. 52, u.c., CCNL 1998-2001, rimasto inalterato nei successivi contratti collettivi 2002- 2005 e 2006-2009) prevedeva che ai dirigenti avvocati e procuratori appartenenti al ruolo professionale spettavano i compensi professionali previsti dal regio decreto n. 1578 del 27 novembre 1933, recuperati a seguito di condanna della parte avversa soccombente.

Gli importi richiesti derivavano dalle notule non pagate di novembre e dicembre 2012 e di gennaio e febbraio 2013.

2) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e 1419 c.c. e 2 e 45 d.lgs. n. 165 del 2001 perché la corte territoriale avrebbe erroneamente affermato che i loro contratti individuali sarebbero stati nulli nella parte (art. 6, lettera B2) in cui, prevedendo il loro diritto al pagamento degli oneri professionali nelle vertenze conclusesi con esito favorevole senza distinguere le ipotesi in cui le spese erano state compensate, avrebbero violato il detto art. 45 e il conseguente contratto collettivo che, al contrario, tale diritto ammetteva solo ove la parte avversa fosse stata condannata a rifondere le spese.

Essi sostengono che detti contratti individuali sarebbero validi in quanto avrebbero derogato in melius alle disposizioni collettive.

La doglianza è infondata.

Infatti, in tema di pubblico impiego privatizzato, il principio di pari trattamento di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 165 del 2001 vieta trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva (Cass., Sez. L, n. 6553 del 6 marzo 2019).

In particolare, l’atto con cui venga attribuito ad un dipendente un trattamento economico non conforme alle previsioni di legge o del contratto collettivo è nullo ed obbliga la P.A. all’azione di recupero di quanto indebitamente corrisposto (Cass., Sez. L, n. 6715 del 10 marzo 2021).

Questo orientamento, peraltro, è consolidato presso la giurisprudenza di legittimità proprio in casi come quelli in esame, nei quali si tratta del compenso spettante ai dipendenti-avvocati degli enti del comparto sanità (Cass., Sez. L, n. 12332 del 18 maggio 2018; Cass., Sez. L, n. 12333 del 18 maggio 2018; Cass., Sez. L, n. 6553 del 6 marzo 2019; Cass., Sez. L, n. 8168 del 24 aprile 2020; Cass., Sez. L, n. 8169 del 24 aprile 2020; Cass., Sez. L, n. 9793 del 26 maggio 2020; Cass., Sez. L, n. 26156 del 17 novembre 2020).

3) Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 414 c.p.c. in quanto la corte territoriale avrebbe errato nell’esaminare una causa petendi (il Regolamento del 2010, dichiarandolo nullo) diversa da quella dedotta nel ricorso introduttivo di primo grado (contratti individuali).

Per l’esattezza, i citati contratti individuali non avrebbero mai menzionato il Regolamento del 2010, ma solo la transazione del 25 gennaio 2011.

La doglianza è inammissibile in quanto la corte territoriale ha fondato la sua decisione essenzialmente sulla non corrispondenza fra il trattamento economico reclamato dai ricorrenti e la contrattazione collettiva nazionale.

4) Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e 1419 c.c., 45 d.lgs. n. 165 del 2001 e 21 septies della legge n. 241 del 1990 perché la corte territoriale avrebbe erroneamente affermato che il Regolamento approvato con delibera n. 1044 del 10 maggio 2010 sarebbe stato nullo nella parte in cui avrebbe violato il menzionato art. 45, nonostante quest’ultima disposizione autorizzasse le pubbliche amministrazioni a derogare in melius le disposizioni collettive.

La doglianza è infondata per le stesse ragioni che hanno condotto al rigetto del primo motivo.

5) Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 All. E della legge n. 2248 del 1865 e degli artt. 21 septies e nonies della legge n. 241 del 1990, atteso che la corte territoriale avrebbe errato ad accogliere l’eccezione avversaria di disapplicazione degli artt. 10 e 11 del Regolamento adottato con deliberazione n. 1044 del 10 maggio 2010.

La doglianza è inammissibile, non avendo i ricorrenti colto la ratio principale della sentenza impugnata, ossia il contrasto della loro pretesa economica con la contrattazione collettiva, che si è tradotto nella dichiarazione di nullità del Regolamento de quo.

6) Con il quinto motivo i ricorrenti contestano la violazione e falsa applicazione degli 3 e 57 ss. del r.d.l. n. 1578 del 1933, della legge n. 247 del 2012, dell’art. 1, comma 457, della legge n. 147 del 2013, dell’art. 9 della legge n. 114 del 2014 in quanto la corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che la disciplina speciale dell’ordinamento della professione di avvocato non avrebbe potuto trovare applicazione nel rapporto di pubblico impiego.

La doglianza è infondata, dovendosi tenere conto, comunque, che i ricorrenti, pur se avvocati, sono pubblici impiegati, con l’effetto che il loro rapporto con l’ente di appartenenza è inderogabilmente regolato dalla normativa sul pubblico impiego e dalla relativa contrattazione collettiva.

7) Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c. e dell’art. 416, comma 2, c.p.c. in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che l’eccezione di nullità fondata sul contratto collettivo, proposta tempestivamente davanti al Tribunale di Roma nel primo giudizio da loro azionato, potesse essere esaminata anche nel secondo giudizio, pur se tardivamente proposta in quest’ultima sede.

La doglianza è inammissibile, in quanto i ricorrenti non tengono conto che la ratio decidendi della controversia consiste nel contrasto fra il trattamento economico richiesto e la contrattazione collettiva applicabile.

In ogni caso, si rileva che ben poteva il giudice di primo grado rilevare anche d’ufficio le nullità derivanti da violazioni della citata contrattazione collettiva.

8) Il ricorso è rigettato.

Le spese di lite sono compensate ex art. 92 c.p.c., in ragione del fatto che l’orientamento giurisprudenziale qui applicato si è consolidato solo di recente.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto

della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M. 

La Corte,

– rigetta il ricorso;

– compensa le spese di lite;

– ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.