CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Sentenza n. 26892 depositata il 16 ottobre 2024

Lavoro – Cambio appalto – Sinistro stradale – Periodo di malattia – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Danno non patrimoniale – Assegno ordinario di invalidità – Nullità licenziamento – Pagamento indennità risarcitoria – Rigetto

Fatti di causa

1. A.N., già in servizio presso la società C. (…) spa, in data 1.6.2016 era assunto dalla società A.S.M. spa, a seguito di cambio appalto avente ad oggetto “la Gestione del Servizio di Igiene Urbana del Comune di Sesto San Giovanni”; il 2 luglio 2019 il N. veniva coinvolto in un sinistro stradale nel quale riportava gravi lesioni, con un periodo di convalescenza fino al 1° agosto 2020; durante il periodo di malattia, in data 1.1.2020, avveniva un avvicendamento dell’appalto del servizio di gestione di igiene del Comune di Sesto San Giovanni con il subentro della I.S.G. e C. srl; le due società, nel regolare il cambio appalto, richiamavano l’art. 6 CCNL FISE/AMBIENTE che disciplinava la sorte dei lavoratori interessati, stabilendo che la impresa subentrante, dal 1° gennaio 2020, avrebbe assunto tutto il personale in forza a tempo indeterminato nei 240 gg. antecedenti l’accordo e, per quanto riguardava il personale in malattia o infortunio alla data di inizio del servizio, lo stesso sarebbe rimasto in carico all’Azienda cessante che, al termine degli eventi, avrebbe informato la subentrante ai fini di perfezionare l’assunzione.

Fissate le visite mediche, la prima per il giorno 3 agosto, poi rinviata, la seconda per il 1° settembre 2020 e la terza, a seguito dei disposti accertamenti, per il 1° ottobre 2020, il N. veniva dichiarato idoneo con prescrizioni e limitazioni. Il 5 ottobre 2020, A.S.M. spa comunicava al lavoratore il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, precisando che il contratto di appalto, ove il dipendente era addetto, era cessato il 31 dicembre 2019 ed il Comune di Sesto San Giovanni aveva affidato il servizio di igiene urbana, con decorrenza dal 1° gennaio 2020, alla società S.G. e C. Il recesso veniva impugnato in sede stragiudiziale e poi giudiziale.

Nelle more il N. aveva convenuto, in un separato giudizio, anche l’impresa subentrante -che si era rifiutata di assumerlo- con la quale, però, conciliava nel gennaio del 2022 la controversia con la erogazione in suo favore della somma di euro 8.700,00 a titolo di danno non patrimoniale e, a seguito di un precedente rifiuto del 19.1.2021, il N. stesso aveva ottenuto dall’INPS l’assegno ordinario di invalidità dall’agosto del 2020.

2. Il Tribunale di Monza, in relazione al recesso intimato da A.S.M. spa, ritenuta la propria competenza per territorio ed ammissibile il ricorso, ha dichiarato la nullità del licenziamento, intimato dalla citata società ad A.N. con effetto dal 4.8.2020, per violazione del disposto di cui all’art. 14 D. l. n. 104/2020, e ha condannato la società alla reintegrazione del dipendente nello stesso posto di lavoro nonché al pagamento di una indennità risarcitoria pari alle retribuzioni medio tempore maturate, commisurate all’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori e regolarizzazione contributiva assistenziale e previdenziale.

3. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 618/2023 del 25.5.2023, ha rigettato il gravame proposto da A.S.M. spa, confermando la pronuncia di prime cure.

4. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che:

 a) correttamente la competenza territoriale era del Tribunale di Monza in considerazione dell’unico dato fattuale oggettivo e pacifico, costituito dall’inizio della prestazione lavorativa in Sesto San Giovanni, identificabile come luogo di conclusione del contratto di lavoro, in difetto di contratto scritto o di difforme elemento probatorio;

b) nonostante fosse stato il giudizio incardinato con il rito ordinario, in difformità con il rinvio pattizio all’art. 18 St. lav. contenuto nell’accordo di cambio appalto, il procedimento era ammissibile dovendosi il richiamo alla suddetta disposizione intendersi esclusivamente sul piano sostanziale e non ravvisandosi alcuna lesione del diritto di difesa riconducibile alla scelta del rito, per la società che aveva sollevato l’eccezione;

c) l’intimato licenziamento era illegittimo perché adottato in contrasto con il diritto di cui all’art. 14 co. 1 e 3 D. l. 14.8.2020 n. 104 convertito con modificazioni nella legge n. 126/2020, da non interpretarsi in modo restrittivo, come sosteneva la società, per la assenza di presupposti soggettivi e oggettivi, che avrebbero determinato l’inapplicabilità della disposizione;

d) corretta era stata la mancata detraibilità, dalla tutela indennitaria riconosciuta, dell’importo percepito dal lavoratore a seguito della conciliazione avvenuta con la società subentrata nell’appalto ovvero delle somme erogategli a titolo di assegno di invalidità.

5. Avverso la decisione di secondo grado A.S.M. spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso l’intimato.

6. Negli atti è stato evidenziato che il N., con lettera del 6.3.2023, ha rinunciato alla reintegrazione chiedendo la indennità sostitutiva della reintegra che gli veniva erogata a seguito di procedura monitoria.

7. Nelle more del giudizio, con verbale di conciliazione del 24.5.2024 redatto innanzi al Tribunale di Milano, le parti, a seguito di accordo, hanno rinunciato al giudizio instaurato dal lavoratore per ottenere quanto statuito in suo favore dai giudici di merito, specificando però espressamente che la rinuncia non si estendeva al presente processo di legittimità dinanzi a questa Corte.

8. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

9. Le parti hanno depositato memorie.

Ragioni della decisione

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo, articolato in relazione a diversi profili, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 D. l. n. 104/2020 per avere i giudici del merito erroneamente sostenuto l’applicazione del divieto di licenziamento sulla base di due circostanze:

a) il N. non era stato riassunto dall’impresa subentrante dopo il licenziamento;

b) la Società avrebbe potuto fare ricorso alla cassa integrazione, disciplinata dall’art. 1 del D.l. n. 104/2020, in assenza di riassunzione da parte dell’I.S.

La società deduce la violazione della richiamata disposizione di cui all’art. 14 citato prima di tutto sotto il profilo temporale, in quanto la norma di cui al 1° comma era rivolta alle ipotesi di licenziamento collettivo ancora pendenti successivamente alla data del 23.2.2020 ma soprattutto a quelle avanzate dopo il 23.2.2020 mentre, nella fattispecie in esame, la procedura di cambio appalto si era esaurita il 19 dicembre 2019, tanto è che il nominativo di N. risultava inserito nell’elenco del personale da assumere da parte dell’Impresa subentrante; precisa, inoltre, che anche il secondo comma dell’art. 14 non era applicabile perché riguardava comunque procedure avviate dopo il 23.2.2020.

La società obietta, anche, la violazione dell’art. 14 del D.l. n. 14/2020 (ndr art. 14 del D.l. n. 104/2020),sotto il profilo soggettivo, anche in combinato disposto con gli artt. 1 e  3 stesso decreto-legge.

Essa sottolinea che non avrebbe potuto neanche ricorrere alla cassa integrazione o all’esonero contributivo, per ragioni riconducibili all’emergenza Covid, perché:

a) la motivazione del recesso era collegata ad un cambio appalto preceduto da uno scioglimento giudiziale del contratto in essere con il Comune di Sesto San Giovanni;

b) A.S. era una società pubblica che svolgeva un servizio pubblico di igiene urbana che non poteva avere riduzioni o sospensioni dell’attività lavorativa in ragione della pandemia.

La ricorrente rileva, poi, la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del D.l. n. 14/2020 (ndr art. 14 del D.l. n. 104/2020), con riguardo alla garanzia occupazionale, per non avere considerato la Corte territoriale che la suddetta disposizione prevedeva l’esclusione del divieto nei casi di cambio appalto quando il personale fosse stato riassunto a seguito di subentro di altra azienda, senza richiedere la riassunzione effettiva ma solo la previsione della garanzia occupazionale, come avvenuto nel caso de quo.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 co. 2 della legge n. 300 del 1970, in combinato disposto con l’art. 1 della legge n. 222/84, per non avere valutato la Corte distrettuale che, dalla documentazione in atti, il riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità al N. era stato riconosciuto fin dall’agosto 2020 per cui, essendo la prestazione previdenziale compatibile con qualsiasi attività lavorativa del beneficiario, di esso se ne doveva tenere conto ai fini del risarcimento del danno ex art. 18 co. 2 St. lav.

4. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 cc perché i giudici di seconde cure, pur avendo riconosciuto che il lavoratore licenziato era onerato della diligente ricerca di una nuova occupazione, tuttavia, poi, avevano ritenuto irrilevante che il N. avesse volontariamente rinunciato ad ogni qualsivoglia domanda di risarcimento del danno patrimoniale, come da accordo conciliativo, nel giudizio intrapreso nelle more nei confronti dell’I.S. nonché nulla avesse fatto per reperire una nuova occupazione confacente al suo stato di salute.

5. Il primo motivo non è fondato.

1. L’art. 14 commi 1, 2 e 3 testualmente recita: “1. Ai datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 di cui all’articolo 1 ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’art. 3 del presente decreto resta precluso l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223 e restano altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto.

 2. Alle condizioni di cui al comma 1, resta, altresì, preclusa al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604, e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all’art. 7 della medesima legge.

3. Le preclusioni e le sospensioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento di azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 cc ovvero nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato alle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo, a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’art. 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 22.

 Sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione.

Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo di azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso”.

2. La ratio della norma era evidentemente quella di mantenere stabili i livelli occupazionali nazionali a causa dei problemi economici connessi alla grave pandemia che aveva interessato tutto il Paese.

3. La struttura della disposizione fu articolata, pertanto, in modo da disciplinare il divieto di intimare i licenziamenti (con la previsione delle possibili deroghe) in relazione alle tre potenziali fattispecie di recesso di natura economica: i licenziamenti collettivi; i cambi appalto e i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.

4. Per quello che interessa in questa sede, ove non si discute dell’eventuale applicazione del comma 3, per i licenziamenti collettivi furono previsti, in ordine alla operatività della deroga al divieto di licenziare, alcune condizioni soggettive (avere fruito di trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID -19 di cui all’articolo 1 ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’art. 3 sempre del decreto) nonché temporali (la non pendenza delle relative procedure alla data del 23.2.2020 e il non avvio delle stesse dopo tale data).

5. Per i cambi appalto, in relazione ai quali la giurisprudenza (Cass. n. 25653/2017) ha qualificato i recessi della azienda uscente quali licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo, la normativa ha previsto, invece, quale limite al divieto di licenziare, la riassunzione del lavoratore, già impiegato nell’appalto, da parte del nuovo appaltatore.

6. Per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sono state richiamate le condizioni di cui al comma 1 dell’art. 14 n. 104/2020: quelle cioè previste per i licenziamenti collettivi e per i cambi appalto cui si è fatto cenno.

7. Nella fattispecie in esame il N., che rientrava nella platea dei lavoratori oggetto di un cambio appalto del 31.12.2019 ma che non era stato ancora riassunto, perché in malattia, in virtù del combinato disposto dell’art. 6 CCNL FISE/ASSOAMBIENTE e dell’accordo sindacale del 19.12.2019, è stato licenziato il 5.10.2020 (nel periodo del divieto) con la seguente nota dell’A.S.M. spa: “Il Contratto di Appalto intercorrente tra la scrivente Società ed il Comune di Sesto San Giovanni, ove Lei era addetto, è cessato, a tutti gli effetti, il 31 dicembre 2019.

 Il Comune di Sesto San Giovanni, con determinazione n. 1581/2019, ha affidato il servizio di igiene urbana con decorrenza dal 1° gennaio alla Società S.G. & C. che è subentrata all’appalto. Pertanto, il rapporto di lavoro con Lei intercorrente cessa con effetto immediato al ricevimento della presene comunicazione per licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 6 del CCNL Fise Assoambiente applicato al suo rapporto di lavoro”.

8. Orbene, se la finalità della norma era quella sopra indicata, è chiaro che il riferimento “alle condizioni di cui al comma 1 dell’art. 14” per la deroga al divieto dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo a seguito di cambio appalto, può riguardare solo le condizioni soggettive e non anche quelle temporali della pendenza al 23.2.2020 o dell’avvio dopo tale data, le quali, per la loro specificità, possono riguardare solo le procedure di licenziamento collettivo che sono articolate in più fasi.

9. Per il cambio appalto, invece, l’evento ben poteva essersi verificato anche prima ma se la posizione del lavoratore non era stata ancora definita per la sussistenza di un fatto sospensivo (per es. malattia), questi era ancora alle dipendenze della impresa cessante, seppure con la titolarità di una situazione giuridica soggettiva finalizzata alla sua assunzione da parte del subentrante e, pertanto, non si rientrava chiaramente nella ipotesi di deroga al divieto.

10. Per concludere, quindi, nel caso che interessa l’odierno controricorrente, può rilevarsi e statuirsi quanto segue: la deroga al divieto di licenziamento per cambio appalto, sebbene concluso il 31.12.2019, non era ipotizzabile perché, alla data del 5.10.2020, la riassunzione del lavoratore, da parte del nuovo appaltatore, non era formalmente ancora avvenuta; la deroga al divieto del licenziamento, per giustificato motivo oggettivo, non era altresì possibile perché non sussistevano le condizioni di esonero soggettivo dell’impresa cessante (è questo un dato accertato nei giudizi di merito, con valutazione di cd. “doppia conforme” e che non può essere sindacato in questa sede); il riferimento temporale alla data del 23.2.2020, previsto dall’art. 14 co. 1 D. l. n. 104/2020, deve essere inteso riguardante solo i licenziamenti collettivi.

11. L’interpretazione delle disposizioni in materia, da parte della Corte territoriale, che ha fatto proprie quelle del Tribunale, è, quindi, corretta in punto di diritto e condivisibile con riferimento alle condizioni di fatto poste a base del procedimento di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta prevista dalla legge.

12. Il secondo motivo è parimenti infondato.

13. Il risarcimento del danno spettante ex art. 18 legge n. 300 del 1970 può essere diminuito, in virtù dell’aliunde perceptum, solo in ragione di un debito conseguito attraverso l’impiego della medesima capacità lavorativa e non in ragione di qualsiasi reddito percepito, come nel caso di specie, con l’assegno di invalidità ex lege n. 222/84 (cfr. Cass. n. 16136/2018; Cass. n. 14301/2024).

14. Infine, anche il terzo motivo non è meritevole di accoglimento in quanto, come giustamente richiamato dal Procuratore Generale presso questa Corte nella sua requisitoria scritta, in ipotesi di licenziamento illegittimo cui consegua la tutela reintegratoria piena di cui all’art. 18 co. 1 legge n. 300 del 1970, non trova applicazione l’aliunde percipiendum poiché il successivo comma 2 del medesimo articolo prevede che vada detratto solo l’aliunde perceptum, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altra attività lavorativa e non anche quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione, come invece previsto dal successivo comma 4 in materia di tutela obbligatoria attenuata (Cass. n. 1602/2023).

15. La scelta del lavoratore di rinunciare, poi, alla domanda giudiziale di risarcimento dei danni patrimoniali nei confronti della datrice di lavoro potenzialmente obbligata ad assumerlo, costituisce espressione tipica del principio dell’autonomia negoziale privata, con l’unico limite che non osti un espresso divieto di legge ovvero che non si tratti di un diritto irrinunciabile o indisponibile (per tutte Cass. n. 1573/1974), di talché, nel caso in esame, non sussistendo le menzionate condizioni ostative, la scelta del lavoratore di transigere la controversia con la Impresa S.G. & C. srl relativamente ai danni non patrimoniali e di azionare i propri diritti patrimoniali nei soli confronti di A.S.M. spa non può influire sulla determinazione e quantificazione del danno in ipotesi di declaratoria di nullità del licenziamento da quest’ultima intimato.

16. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

17. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore dei Difensori del controricorrente.

18. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

 Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori del controricorrente.

 Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.