CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Sentenza n. 30259 depositata il 25 novembre 2024
Lavoro – Domanda intervento Fondo di Garanzia per ultime mensilità, quote non versate al Fondo complementare e TFR – Crisi aziendale – Cessione ramo d’azienda – Esclusione responsabilità cessionaria per tutti i debiti maturati, compresi crediti di lavoro – Domanda ammissione al passivo per i crediti maturati sino al trasferimento del ramo d’azienda – Rigetto
Svolgimento del processo
Con sentenza del 18.5.22 n. 484, la Corte d’appello di Milano accoglieva il gravame dell’Inps avverso la sentenza del tribunale di Monza che aveva accolto la domanda proposta da D.B., M.C., A.M. volta ad ottenere l’intervento del Fondo di Garanzia con riferimento alle ultime mensilità, alle quote non versate al Fondo complementare e al TFR, somme maturate alle dipendenze, i primi due, della L. srl e il M. della C.E. spa, società che a seguito di crisi aziendale (successivamente sfociata in amministrazione straordinaria) formalizzavano una cessione di ramo d’azienda in favore di C.G.F. che avrebbe costituito all’uopo una NewCo.
Nel programma di cessione relativo alle due procedure di a.s. si prevedeva l’esclusione della responsabilità della cessionaria per tutti i debiti maturati, compresi anche i crediti di lavoro, prima dell’affitto del ramo d’azienda alla C.G.F.
Con verbale di conciliazione in sede sindacale, i ricorrenti rinunciavano alla solidarietà, ex art. 2112 c.c., presentavano, poi, domanda di ammissione al passivo per i crediti maturati sino al trasferimento del ramo d’azienda e tali domande venivano accolte, ma l’Inps poi respingeva le domande di accesso al Fondo di Garanzia, con la motivazione che il rapporto di lavoro era proseguito con l’azienda cessionaria, senza soluzione di continuità.
Il tribunale ha ritenuto la fondatezza della domanda, precisando anche che in riferimento all’accesso al Fondo di garanzia per le quote di TFR attinenti al fondo di previdenza complementare, non fosse necessaria la cessazione del rapporto di lavoro e che l’intervenuto accordo, ex art. 47 della legge n. 428/90, escludesse la responsabilità solidale della società cessionaria.
La Corte d’appello, da parte sua, a sostegno delle proprie ragioni di accoglimento del gravame dell’Inps, ha ritenuto, da una parte, che l’ammissione allo stato passivo non è mai decisivo e non preclude all’Inps la possibilità di contestare la sussistenza dei presupposti per l’accesso al fondo di garanzia e dall’altro, che per l’intervento del fondo di garanzia è necessario che sussista l’insolvenza e l’ammissione alla procedura concorsuale deve riguardare il datore di lavoro che è tale al momento in cui la domanda di insinuazione al passivo venga proposta: infatti, nelle vicende circolatorie dell’azienda, nell’ambito di procedure concorsuali, è preclusa la possibilità di azionare il fondo di garanzia laddove l’insolvenza riguardi la precedente impresa cedente e non l’impresa cessionaria, con la quale il rapporto di lavoro è continuato, atteso che opinare diversamente significherebbe azionare il fondo quando lo scopo solidaristico che lo ispira non sussiste.
Nella specie, il rapporto di lavoro era proseguito con la società cessionaria e la procedura di amministrazione straordinaria aveva riguardato la società cedente.
Infine, in riferimento alle somme non corrisposte dal datore di lavoro al fondo previdenza complementare, poiché le stesse hanno natura previdenziale e non retributiva, non era configurabile l’automatica estensione di responsabilità all’acquirente, ex art. 2112 comma 2 c.c. e, quindi, anche la domanda proposta dai lavoratori, ex art. 5 del d.lgs. n. 80/92 andava rigettata, perché è esclusa l’erogazione diretta in favore del lavoratore di tali prestazioni erogate dal Fondo di Garanzia.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, D.N., M.C., A.M. hanno proposto ricorso in cassazione, sulla base di un motivo (distinto in due profili aventi analoga rubrica), mentre l’Inps resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il PG ha rassegnato le proprie conclusioni in udienza nel senso del rigetto del ricorso.
Il Collegio riserva sentenza, nel termine di novanta giorni dall’adozione della presente decisione in camera di consiglio.
Motivi della decisione
Con il motivo di ricorso (suddiviso in due profili aventi analoga rubrica), i ricorrenti deducono il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 2 del d.lgs. n.80/92, con riferimento all’art.2112 c.c. e all’art. 47 della legge n. 428/90, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché, erroneamente, la Corte del merito non aveva ritenuto che fosse intervenuta la deroga all’art. 2112 c.c. (sulla solidarietà tra la società cedente e società cessionaria di ramo d’azienda), in presenza di accordi ex art. 47 della legge n. 428/90, nei quali la società cedente è in amministrazione straordinaria.
Il ricorso è infondato.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “l’art. 2 della legge n. 297 del 1982 e l’art. 2 del d.lgs. n. 80 del 1992 (che istituiscono e regolano il Fondo di Garanzia presso l’Inps) si riferiscono all’ipotesi in cui sia stato dichiarato insolvente ed ammesso alle procedure concorsuali il datore di lavoro che è tale al momento in cui il TFR diviene esigibile e in cui la domanda d’insinuazione al passivo viene proposta ed, inoltre, poiché il TFR diventa esigibile solo al momento della cessazione del rapporto, il fatto che (erroneamente) il credito maturato per TFR fino al momento della cessione d’azienda sia stato ammesso allo stato passivo nella procedura fallimentare del datore di lavoro cedente non può vincolare l’Inps, che è estraneo alla procedura e che perciò deve poter contestare il credito per TFR, sostenendo che esso non sia ancora esigibile, neppure in parte, e quindi non opera ancora la garanzia della legge n. 297 del 1982, art. 2” (Cass. n. 4897/21, in motivazione).
Pertanto, la tutela previdenziale apprestata dal Fondo di Garanzia (che è distinta dall’obbligazione retributiva che nasce in forza del rapporto di lavoro) interviene, per definizione, nel caso di bisogno, allorché il credito lavorativo non è, in concreto, provvisto di tutela nell’ambito del rapporto di lavoro nei confronti del datore di lavoro: pertanto, tale rapporto previdenziale sorge soltanto allorché il lavoratore perde la possibilità di tutela ordinaria dei suoi crediti retributivi nell’ambito del predetto rapporto di lavoro, proprio per l’insolvenza del datore di lavoro.
Nella specie, la presente vicenda è caratterizzata dal trasferimento d’azienda, ex art. 2112 c.c., tra le società L. srl ed E.I. spa (precedenti datori di lavoro dei lavoratori, successivamente ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria) e la società C.G.S. (successivo datore di lavoro, cessionario dell’azienda) coobbligato solidale nell’adempimento dell’obbligazione della corresponsione del TFR e che era pacificamente in bonis al momento dell’insolvenza, ancorché la società cedente e la società cessionaria avessero stipulato il patto (avente mera efficacia tra le parti) che il debito per TFR e le ultime mensilità maturati presso la cedente dovesse essere adempiuto esclusivamente da quest’ultima.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “l’inderogabilità della materia previdenziale – giustificata dalla natura degli interessi tutelati come si evince dal disposto degli artt. 2114 e 2115 c.c. – osta alla validità di ogni patto, che valga a modificare la normativa legale sulle forme di previdenza e di assistenza obbligatorie e sulle contribuzioni e prestazioni relative, o che sia suscettibile di eludere gli obblighi delle parti attinenti alle suddette materie” (Cass. n. 24828/11, 37789/22 non massimata).
Pertanto, le prestazioni che l’Inps è tenuto a riconoscere quale gestore del Fondo di Garanzia non possono essere determinate alla stregua di accordi privatistici, ma devono corrispondere a quanto effettivamente il lavoratore non ha potuto ottenere a titolo di TFR e di ultime mensilità per l’insolvenza del proprio datore di lavoro, che è insussistente nel caso di specie, potendo il lavoratore rivolgersi alla società cessionaria quale coobbligata in solido.
In riferimento alle somme non corrisposte dal datore di lavoro al fondo previdenza complementare e che hanno natura previdenziale e non retributiva e che per esse non è, quindi, configurabile l’automatica estensione di responsabilità all’acquirente del ramo d’azienda, ex art. 2112 comma 2 c.c., va tuttavia precisato che i ricorrenti non hanno proposto alcun motivo di ricorso avverso tale capo della decisione d’appello (avendo la Corte d’appello già rilevato nuova – cfr. foglio 13 della sentenza impugnata – la domanda di condanna del Fondo di Garanzia in favore del fondo complementare Cometa), così che appare evidente il passaggio in giudicato di tale capo della decisione della Corte territoriale.
Il recente formarsi della giurisprudenza giustifica la compensazione delle spese di lite.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al doppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Spese compensate.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.