CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Sentenza n. 31523 depositata l’ 8 dicembre 2024
Lavoro – Dipendente comunale – Passaggio di categoria mediante selezione conclusa con esito favorevole – Posizione utile nella graduatoria definitiva – Diritto al passaggio a posizione economica C4 – Pagamento differenze retributive – Nullità procedura selettiva in mancanza della necessaria copertura finanziaria e atti formali di impegno di spesa – Accoglimento parziale – la nullità del contratto per violazione di norme imperative, siccome oggetto di un’eccezione in senso lato, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, a condizione che i relativi presupposti di fatto, anche se non interessati da specifica deduzione della parte interessata, siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie, ferma restando l’impossibilità di ammettere nuove prove funzionali alla dimostrazione degli stessi
Fatti di causa
La ricorrente si rivolse al Tribunale di Enna esponendo di essere dipendente del Comune di Agira, categoria C3, e di avere chiesto di passare alla categoria C4 mediante selezione che si era conclusa con esito a lei favorevole, per essersi collocata in posizione utile nella graduatoria definitiva approvata il 30.12.2010.
Chiese quindi che fosse accertato il suo diritto al passaggio alla posizione economica C4 e la condanna dell’ente al pagamento delle relative differenze retributive.
Il Tribunale di Enna, nel contraddittorio delle parti, accolse la domanda.
Il Comune di Agira impugnò la sentenza di primo grado e la Corte d’appello di Caltanissetta accolse il gravame e rigettò, quindi, la domanda della lavoratrice, rilevando la nullità della procedura selettiva in mancanza della necessaria copertura finanziaria e degli atti formali di impegno di spesa.
La lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
Il Comune di Agira si è difeso con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
Con ordinanza interlocutoria n. 15528/2024 ha disposto il rinvio a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.
Nei termini di legge anteriori alla data fissata per l’udienza il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso e le parti hanno depositato ulteriori memorie.
All’udienza la causa è stata discussa dalla rappresentante della Procura Generale e dai difensori delle parti, che hanno tutti ribadito le rispettive conclusioni.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia «violazione dell’art. 113, comma 1, c.p.c. e degli artt. 416, 345 e 437 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.».
La ricorrente si duole che la Corte d’Appello, per rigettare la sua domanda, abbia rilevato la nullità della procedura selettiva «sulla scorta della documentazione depositata all’udienza del 14.11.2018 e il 10.9.2019» (ovverosia nel corso del giudizio di secondo grado), senza che tale nullità fosse stata prospettata e discussa in primo grado, né negli atti introduttivi dell’appello.
In ciò la ricorrente ravvisa una violazione del principio del contraddittorio e delle norme che disciplinano il maturare delle preclusioni assertorie ed istruttorie nel corso dello svolgimento del processo.
2. Il motivo è fondato nei termini di seguito precisati.
2.1. Va premesso che non vi sono dubbi sulla sussistenza, in astratto, con riguardo, fra le altre, alle procedure di mobilità orizzontale degli enti locali, di un obbligo di copertura finanziaria delle stesse e di regolare attestazione di tale copertura.
Né si può dubitare che alla violazione di detto obbligo consegue la nullità delle menzionate procedure.
Il fondamento normativo di questa regola si ricava, principalmente, per quanto riguarda gli enti locali, dal d.lgs. n. 267 del 2000.
L’art. 191, comma 1, prima parte, del d.lgs. n. 267 del 2000 prescrive, nel testo che qui rileva, che «Gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l’impegno contabile registrato sul competente programma del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria di cui all’articolo 153, comma 5».
A sua volta, l’art. 153, comma 5, menzionato, stabilisce che «Il regolamento di contabilità disciplina le modalità con le quali vengono resi i pareri di regolarità contabile sulle, proposte di deliberazione ed apposto il visto di regolarità contabile sulle determinazioni dei soggetti abilitati.
Il responsabile del servizio finanziario effettua le attestazioni di copertura della spesa in relazione alle disponibilità effettive esistenti negli stanziamenti di spesa e, quando occorre, in relazione allo stato di realizzazione degli accertamenti di entrata vincolata secondo quanto previsto dal regolamento di contabilità».
Con riguardo poi al pubblico impiego in generale, l’art. 40, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, nel disposto applicabile, afferma che «La contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore privato, la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi, la struttura contrattuale e i rapporti tra i diversi livelli, le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione.
La contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere ambito territoriale e riguardare più amministrazioni.
Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione.
Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate».
La contrattazione collettiva nazionale conferma questa impostazione.
L’art. 31, commi 1 e 2, del CCNL del personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali per il quadriennio normativo 2002-2005 e il biennio economico 2002-2003, prescrive che «1. Le risorse finanziarie destinate alla incentivazione delle politiche di sviluppo delle risorse umane e della produttività (di seguito citate come: risorse decentrate) vengono determinate annualmente dagli enti, con effetto dal 31.12.2003 ed a valere per l’anno 2004, secondo le modalità definite dal presente articolo.
2. Le risorse aventi carattere di certezza, stabilità e continuità determinate nell’anno 2003 secondo la previgente disciplina contrattuale, e con le integrazioni previste dall’art. 32, commi 1 e 2, vengono definite in un unico importo che resta confermato, con le stesse caratteristiche, anche per gli anni successivi.
Le risorse del presente comma sono rappresentate da quelle derivanti dalla applicazione delle seguenti disposizioni: art. 14, comma 4; art. 15, comma 1, lett. a, b, c, f, g, h, i, j, l, comma 5 per gli effetti derivati dall’incremento delle dotazioni organiche, del CCNL dell’1.4.1999; art. 4, commi 1 e 2, del CCNL 5.10.2001.
L’importo è suscettibile di incremento ad opera di specifiche disposizioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro nonché per effetto di ulteriori applicazioni della disciplina dell’art. 15, comma 5, del CCNL dell’1.4.1999, limitatamente agli effetti derivanti dall’incremento delle dotazioni organiche».
Il successivo art. 34 chiarisce, ai commi 1 e 2, che «1. Si conferma che gli oneri relativi al pagamento dei maggiori compensi spettanti al personale che ha beneficiato della disciplina sulle progressioni economiche orizzontali, di cui all’art. 5 del CCNL del 31.3.1999, sono interamente a carico delle risorse decentrate previste dall’art. 31, comma 2. 2. Gli oneri di cui al comma 1 sono calcolati su base annua e sono comprensivi anche della quota della tredicesima mensilità».
Da quanto sopra esposto si evince l’esistenza, con riferimento alle procedure di mobilità orizzontale degli enti locali, di un obbligo di copertura finanziaria e di attestazione della stessa imposto sia da legislazione sia da contrattazione collettiva nazionale vigente.
A confermare questa conclusione è la giurisprudenza della Suprema Corte, la quale ha chiarito – in un caso scaturito dalla medesima procedura selettiva per progressione economica orizzontale – che anche in tema di rapporti di lavoro nel pubblico impiego privatizzato, le decisioni datoriali che incidano sul costo del personale e comportino spese a carico della Pubblica Amministrazione devono essere assunte in presenza della necessaria copertura finanziaria e di spesa, in mancanza della quale gli atti e le procedure eventualmente svolte sono prive di effetti e non consentono il sorgere di diritti delle parti, a ciò facendo eccezione soltanto i casi riportabili alla fattispecie di cui all’art. 2126 c.c. e, quindi, caratterizzati dallo svolgimento di fatto di prestazioni di lavoro subordinato chieste e ricevute dal datore di lavoro pubblico pur in violazione di norme di legge o di contrattazione collettiva (Cass. n. 15364/2023).
Questa decisione ha confermato, quindi, che il principio della necessaria copertura della spesa, quanto agli enti locali, ha fondamento normativo, attualmente, nel combinato disposto degli artt. 191 e 153, comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000, secondo cui (art. 191, comma 1, cit.) «gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l’impegno contabile registrato sul competente programma del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria di cui all’articolo 153, comma 5».
D’altronde, sulla base della normativa prima vigente e di portata sostanzialmente analoga (art. 55, comma 5, legge n. 142 del 1990, secondo cui «i provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l’apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria») la Corte di cassazione, aveva già affermato che «la delibera …. è valida e vincolante nei confronti dell’ente soltanto se il relativo impegno di spesa sia accompagnato dall’attestazione, da parte del responsabile del servizio finanziario, della copertura finanziaria» e che «l’inosservanza di tale prescrizione determina la nullità della delibera …. comportando l’esclusione di qualsiasi responsabilità od obbligazione dell’ente pubblico in ordine alle spese assunte senza il suddetto adempimento» (Cass. S.U. n. 13831/2005).
Non diversamente, secondo Cass. n. 24303/2011, in tema di contratti stipulati dai comuni, già ai sensi degli artt. da 284 a 288 del r.d. n. 383 del 1934, e successive modificazioni, era principio inderogabile quello della necessità dell’impegno di spesa, la cui violazione comportava radicale nullità.
Similmente, ad avviso di Cass. S.U. n. 26657/2014, in materia di obbligazioni della Pubblica Amministrazione, all’ente non era consentito di derogare alle procedure di spesa di cui all’art. 23, commi 3 e 4, del d.l. n. 66 del 1989, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 144 del 1989, art. 1, comma 1, (oggi sostituito dall’art. 191 del d.lgs. n. 267 del 2000) sicché, in mancanza, il rapporto obbligatorio non era riferibile all’ente.
In ambito di lavoro autonomo convenzionato, poi, Cass. n. 17358/2019 ha parimenti ritenuto che «l’esigenza di prevedere la copertura economica di qualunque spesa per la P.A. contraente è presupposto per la formazione di una valida volontà negoziale dell’amministrazione.
Pertanto, ove la delibera di conferimento di un incarico professionale di consulenza sia stata adottata senza la necessaria copertura finanziaria, è legittima la delibera di cessazione dell’incarico assunta dall’ente pubblico».
Tali principi valgono, per la giurisprudenza di legittimità citata, data la generale portata delle norme, anche rispetto ad impegni destinati ad incidere su rapporti preesistenti (qui, rapporti di lavoro di pubblico impiego privatizzato) e, dunque, a vicende, come una progressione economica orizzontale, che, evidentemente, comportano il maturare di costi.
Ciò perché la produzione di effetti di quegli impegni, quali, nel caso di specie, derivanti dall’indizione di una procedura utile ad individuare il personale che potrebbe godere della progressione de qua, in tanto può dispiegare effetti e tradursi in un reale obbligo della Pubblica Amministrazione datrice di lavoro di adempiere, in quanto quella copertura di spesa vi sia.
In senso contrario non vale richiamare quella giurisprudenza che, nel contesto dell’indirizzo del tutto uniforme di cui sopra, esclude l’invalidità o l’inefficacia quando l’attività negoziale sia fonte di costi non ancora certi e definiti (Cass. n. 13913/2019), non potendo questo affermarsi con riferimento ai costi del personale, soprattutto a quelli relativi a un aumento di trattamento di personale in forza, in ordine ai quali la copertura rispetto ai fondi destinati alla relativa sovvenzione non può non essere determinabile.
2.2. Premessa dunque, sul piano del diritto sostanziale, la nullità della progressione economica orizzontale priva di certificata copertura finanziaria, deve essere esaminata la tematica processuale oggetto di causa, ovverosia la definizione dei limiti in cui la nullità può essere per la prima volta eccepita dalla parte e rilevata d’ufficio dal giudice, con particolare riferimento al grado d’appello.
Infatti, nel caso di specie della menzionata nullità non si era discusso in primo grado e la Corte d’appello ha dichiarato di averla rilevata «sulla scorta della documentazione depositata all’udienza del 14.11.2018 e il 10.9.2019», ovverosia sulla scorta di documenti prodotti nel corso del giudizio di secondo grado.
La correttezza di questa conclusione deve essere valutata alla luce delle considerazioni di seguito esposte.
2.2.1. La corte territoriale si è trovata ad essere richiesta di esaminare una questione di validità negoziale, come tale rilevabile d’ufficio.
Come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, nel giudizio di appello e in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo (Cass. S.U. n. 26242/2014; Cass. n. 20170/2022).
Più precisamente, si è affermato che la rilevazione d’ufficio delle nullità negoziali – sotto qualsiasi aspetto, anche diverso da quello allegato dalla parte, e, altresì, per le ipotesi di nullità speciali o di protezione – è sempre obbligatoria, purché la pretesa azionata non venga rigettata in base a una individuata ragione più liquida, e va intesa come indicazione alle parti di siffatto vizio (Cass. n. 3308/2019).
In questa ottica, il giudice di appello è tenuto a procedere al rilievo officioso di una nullità contrattuale, nonostante ne sia mancata la rilevazione in primo grado e l’eccezione di nullità sia stata sollevata in sede di gravame, venendo in questione un’eccezione in senso lato, come tale proponibile in appello a norma dell’art. 345, comma 2, c.p.c. (Cass. n. 19161/2020).
Secondo la Corte di cassazione, il potere di rilievo officioso della nullità del contratto spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di una pretesa che supponga la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione – e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato tali validità ed efficacia, né le parti ne abbiano discusso – trattandosi di profilo afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c. (Cass. nn. 19251/2018; 26495/2019).
2.2.2. Detta rilevabilità d’ufficio non può però prescindere dalla emergenza ex actis degli elementi fattuali sulla cui base quella eccezione possa essere rilevata d’ufficio o dedotta dalla parte interessata (Cass. S.U. n. 10531/2013; Cass. n. 23721/2021), «assumendo rilevanza, sotto il profilo delle preclusioni all’introduzione dei fatti stessi, il momento in cui, secondo la legge processuale, è previsto che nel processo possano essere dedotti fatti, tuttavia con la relatività derivante dalla possibilità che i fatti integratori di eccezioni in senso lato possano eventualmente emergere, in base al c.d. principio di acquisizione processuale, pure dall’espletamento delle prove ammesse» (Cass. n. 4867/2024).
In altri termini, l’accertamento della nullità negoziale implica l’applicazione di una certa regola di diritto ad un determinato substrato fattuale.
E mentre i presupposti giuridici della nullità possono essere dedotti e rilevati senza condizioni in qualsiasi stato e grado del processo, la deducibilità e la rilevabilità dei presupposti di fatto dipende dalla corretta applicazione delle norme sulle preclusioni assertorie e istruttorie che disciplinano ciascun tipo di processo.
Non è necessaria la tempestiva allegazione dei fatti rilevanti ai fini del rilievo della nullità (intendendosi per «allegazione» l’affermazione di determinati fatti a sostegno di domande ed eccezioni), ma occorre comunque che quei fatti emergano dagli atti o dai documenti legittimamente formati e introdotti nel processo dalle parti e dal giudice.
In questo senso la citata giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la nullità del contratto per violazione di norme imperative, siccome oggetto di un’eccezione in senso lato, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, a condizione che i relativi presupposti di fatto, anche se non interessati da specifica deduzione della parte interessata, siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie, ferma restando l’impossibilità di ammettere nuove prove funzionali alla dimostrazione degli stessi (Cass. n. 4867/2024; conf. Cass. nn. 28983/2023; 20713/2023).
Sulla base di queste considerazioni, la Corte di cassazione ha evidenziato che la valutazione della eccezione di nullità del contratto in sede di legittimità presuppone che, durante il giudizio di merito siano stati accertati i relativi presupposti di fatto, ossia risultino introdotti e acquisiti quei fatti, anche se non ne sia stata rilevata la valenza in iure né dalla parte interessata né dallo stesso giudice del merito.
La nullità può, quindi, essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del processo, ma solo ove siano acquisiti agli atti del giudizio tutti gli elementi di fatto dai quali possa desumersene l’esistenza (Cass. n. 4175/2020), vale a dire quando «il fatto posto a fondamento della eccezione in senso lato» è «già legittimamente acquisito sul piano probatorio».
In definitiva la nullità può e deve essere dichiarata, anche dopo la scadenza delle preclusioni, ed anche in appello, valorizzando tutti i fatti tempestivamente documentati e provati (anche se emersi dalle prove ritualmente ammesse), sebbene alla stregua di eccezione non formulata dalla parte interessata nella fase procedimentale deputata all’esercizio dei poteri assertivi.
Ciò che non è concesso, al contrario, è che i fatti rilevanti ai fini della dichiarazione della nullità negoziale siano introdotti nel processo e che ne sia offerta la prova successivamente allo spirare delle preclusioni assertorie e istruttorie, fermo restando che le preclusioni sono diversamente regolate nei vari tipi di processo, così come sono differenziati i poteri di iniziativa istruttoria ufficiosa del giudice, e che vige in generale l’istituto della rimessione in termini, sussistendone i rigorosi presupposti di legge (art. 153, comma 2, c.p.c.).
2.2.3. Di tali principi non ha fatto corretta applicazione la Corte d’Appello di Caltanissetta nella sentenza impugnata, avendo desunto la nullità della procedura di progressione economica orizzontale «sulla scorta della documentazione» depositata dal Comune di Agira soltanto nel corso del giudizio d’appello, senza interrogarsi sulla ritualità dell’introduzione nel processo dei fatti rilevanti e sulla tempestività della produzione documentale rispetto al regime delle preclusioni.
3. Con l’accoglimento del primo motivo di ricorso restano assorbiti il secondo («Violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – Falsa applicazione dell’art. 13 della legge regionale 3.12.1991, n. 44, e dell’art. 191 del d.lgs. 23.3.2001, n. 165 [recte: 267 del 2000], in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.») e il terzo motivo («Violazione ed errata applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.»), in quanto volti anch’essi a rimettere in discussione la nullità rilevata dalla Corte d’Appello sotto il profilo della regolarità processuale della decisione assunta.
4. Il quarto motivo di ricorso è rubricato «Violazione dell’art. 112 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.» ed è volto a denunciare l’omessa pronuncia sulla domanda subordinata di condanna del Comune di Agira al risarcimento del «danno corrispondente alla mancata percezione del differenziale di retribuzione con la medesima decorrenza dal 1°.1.2004» (ovverosia dalla data prevista nel bando di selezione quale decorrenza della progressione economica).
5. Il quarto motivo è inammissibile, perché la ricorrente richiama le conclusioni da lei precisate nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, senza allegare di avere riproposto la domanda anche al giudice d’appello (art. 346 c.p.c.).
Deve essere qui ribadito che la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, pur non avendo l’onere di proporre appello incidentale in relazione alle proprie domande o eccezioni non accolte (perché superate o non esaminate in quanto assorbite), deve tuttavia riproporle espressamente nel giudizio di impugnazione, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un contegno omissivo (v. Cass. S.U. 13195/2018; Cass. n. 33649/2023).
6. Alla luce delle considerazioni che precedono, la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Caltanissetta, in diversa composizione, la quale provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità, uniformandosi ai seguenti principi di diritto:
«In tema di pubblico impiego contrattualizzato, le decisioni datoriali che incidono sul costo del personale e comportano spese a carico della Pubblica Amministrazione richiedono la necessaria copertura finanziaria e di spesa, in mancanza della quale gli atti adottati e le procedure svolte sono privi di effetti e non producono il sorgere di diritti delle parti, eccezion fatta per i rapporti di lavoro di fatto, stipulati in violazione sia della legge sia della contrattazione collettiva, che devono essere comunque remunerati per effetto del disposto dell’art. 2126 c.c. e dei principi sanciti dagli artt. 35 e 36 della Costituzione; in tema di pubblico impiego contrattualizzato, le decisioni datoriali che comportano spese a carico della P.A., incidendo sul costo del personale, e che sono state adottate in assenza della necessaria copertura finanziaria e di spesa sono nulle e la relativa invalidità deve essere rilevata d’ufficio dal giudice anche in appello, pur se non sia stata prospettata né in primo grado né al momento dell’impugnazione, purché i relativi presupposti di fatto siano stati dimostrati tempestivamente, eventualmente emergendo dalle prove ritualmente ammesse, e fatti salvi, comunque, i poteri istruttori esercitabili d’ufficio dal giudice del merito, le esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione e la possibilità di rimessione in termini, sussistendone i requisiti di legge».
7. Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, non sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo e dichiarato inammissibile il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.