CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Sentenza n. 31620 depositata il 9 dicembre 2024
Lavoro – Domanda all’INPS pagamento TFR maturato – Cessione lavoratrice ai sensi dell’art. 2112 c.c. – Ammissione al passivo fallimentare del credito per TFR – Accordo sindacale – Rigetto
Fatti di causa
In riforma della pronuncia di primo grado, la Corte d’appello di Palermo rigettava la domanda di I.G. proposta nei confronti dell’Inps e avente ad oggetto il pagamento del t.f.r. maturato alle dipendenze della Ge.Si.P. s.p.a.
La lavoratrice era stata ceduta ai sensi dell’art. 2112 c.c. alla società Re.Se.T. S.C.p.a. e, negli anni 2014 e 2015, in sede sindacale era stato pattuito ex art. 47, co.5 l. n.428/90 che il t.f.r. maturato presso la cedente rimanesse in capo esclusivo alla stessa, senza obbligo di solidarietà della cessionaria. In seguito, la Ge.Si.P. s.p.a. era stata dichiarata fallita e la lavoratrice aveva ottenuto l’ammissione al passivo fallimentare del suo credito per t.f.r.
Riteneva la Corte d’appello che l’Inps, tramite il Fondo di Garanzia, non dovesse intervenire poiché il t.f.r. era divenuto esigibile quando il rapporto di lavoro era già in essere presso la società cessionaria, la quale non era stata dichiarata fallita.
Né poteva applicarsi l’art. 47, co.5 l. n.428/90 poiché al tempo della stipula dell’accordo sindacale, la cedente non era stata ancora dichiarata fallita.
Avverso la sentenza I.G. ricorre per un motivo, illustrato da memoria.
L’Inps resiste con controricorso, illustrato da memoria.
L’ufficio della Procura Generale ha concluso in udienza per il rigetto del ricorso.
In sede di camera di consiglio il collegio riservava termine di 90 giorni per il deposito del presente provvedimento.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di ricorso, I.G. deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 47, co.4-bis e 5 l. n.428/90 in relazione agli artt.3 e 5 della Direttiva 2001/23/CE.
Argomenta che l’art. 47, co.5 l. n.428/90 deve ritenersi applicabile anche al caso in cui la procedura concorsuale volta alla liquidazione dei beni sia aperta successivamente all’accordo sindacale di deroga dell’art. 2112 c.c. quando i due atti (accordo sindacale e dichiarazione di fallimento) intervengano entro un arco temporale ragionevole a garantire il loro collegamento funzionale.
Il motivo chiede di rinviare pregiudizialmente alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione interpretativa degli articoli da 3 a 5 della Direttiva 2001/23/CE nel senso per cui sia applicabile la possibilità di deroga ai diritti del lavoratore prevista dall’art.5 al caso in cui il trasferimento di un’impresa in tutto o in parte avente l’obiettivo principale di salvaguardare per quanto possibile, lo standard occupazionale sia predisposto anteriormente all’apertura della procedura fallimentare, allorché i due eventi (trasferimento dell’impresa e procedura fallimentare) si verifichino in un arco di tempo ragionevole volto a garantire il loro collegamento funzionale.
Il motivo è infondato.
In fatto è pacifico che, al tempo del fallimento, la ricorrente era passata alle dipendenze della cessionaria, e il rapporto di lavoro era proseguito senza soluzione di continuità in forza del fenomeno successorio di cui all’art. 2112 c.c.
Dato questo quadro fattuale, e considerato che l’obbligazione di pagamento del t.f.r. diviene esigibile solo alla data di risoluzione del rapporto, la Corte d’appello ha correttamente richiamato il costante orientamento di questa Corte (Cass.19277/18, Cass. 4897/21, Cass. 38696/21, Cass. 39698/21) secondo cui non sussiste un obbligo in capo al Fondo di garanzia ove, come nel caso, l’insolvenza riguardi non il datore di lavoro con cui è in essere il rapporto al momento in cui diviene esigibile il t.f.r.
Non osta a tale conclusione il fatto che il credito dei lavoratori per t.f.r. sia stato accertato e riconosciuto in sede concorsuale nei confronti dell’impresa affittante.
Infatti, il lavoratore che fa valere la garanzia del Fondo, fa valere un diritto discendente dal rapporto previdenziale sorto con l’Inps, distinto e autonomo dal rapporto di lavoro intercorrente con il datore di lavoro sottoposto a procedura concorsuale, l’unico ad essere accertato in sede concorsuale con il riconoscimento e la condanna al pagamento del t.f.r.
La Corte d’appello ha poi escluso la rilevanza dell’accordo sindacale raggiunto ai sensi dell’art.47, co.5 l. n.428/90 siccome all’epoca non era ancora stata dichiarato il fallimento della cedente.
Sul punto il ricorso deduce che sia conforme alla Direttiva 2001/23/UE (ndr Direttiva 2001/23/CE) l’interpretazione dell’art.47, co.5 l. n.428/90 in forza della quale esso è applicabile anche al caso in cui la procedura concorsuale volta alla liquidazione dei beni sia aperta successivamente al trasferimento d’impresa e all’accordo sindacale di deroga dell’art. 2112 c.c. quando i due atti (trasferimento d’impresa con relativo accordo sindacale e dichiarazione di fallimento) intervengano entro un arco temporale ragionevole a garantire il loro collegamento funzionale. Viene chiesto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE sull’interpretazione degli artt.3 e 5 della citata Direttiva.
La questione non è rilevante ai fini della decisione.
Questa Corte, a far data da Cass.19277/18, cit., ha infatti già chiarito, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che gli ambiti delle tutele previste dalla Direttiva 987/80/CEE e dalla Direttiva 2001/23/CE si pongono tra loro in netta alternativa, la prima intendendo proteggere i lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro e la seconda garantire i diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, stabilimenti o loro parti (così specialmente Cass. 39698/21, Cass.1861/22, che in motivazione hanno rimarcato come deponga chiaramente in tal senso la previsione dell’art. 5, comma 2, lett. a, della Direttiva 2001/23/CE, secondo cui la possibilità che gli Stati membri introducano deroghe al principio che gli obblighi del cedente sono normalmente trasferiti al cessionario dipende per un verso dall’assoggettamento del cedente ad una procedura di insolvenza gestita da una pubblica autorità e dall’altro che tale procedura metta capo “ad una protezione almeno equivalente a quella prevista nelle situazioni contemplate dalla direttiva 80/987/CEE”); e dovendo pertanto escludersi che una qualunque risposta della Corte di Giustizia circa l’interpretazione della Direttiva 2001/23/CE possa aver rilievo ai fini dell’intervento del Fondo di garanzia, i cui presupposti risultano invece scolpiti nella Direttiva 80/987/CEE, la richiesta di rinvio pregiudiziale non può che risultare irrilevante.
Invero, la Direttiva 80/987/CEE ha scopo di assicurare una copertura del Fondo di garanzia per i crediti insoddisfatti che siano maturati in quel determinato periodo di tempo in cui si può ragionevolmente presumere che l’inadempimento datoriale sia conseguenza della sua condizione di insolvenza, non anche la copertura di un qualsiasi inadempimento verificatosi in danno del lavoratore (così, in motivazione, Cass.4897/21); ed è per contro evidente che, ammettendo l’intervento del Fondo anche in fattispecie come quella per cui è causa, in cui il rapporto di lavoro è proseguito alle dipendenze del cessionario e il lavoratore ceduto ha semplicemente rinunciato alla solidarietà passiva di quest’ultimo per il TFR maturato alle dipendenze del cedente, si graverebbe il Fondo del pagamento di una prestazione che non può considerarsi dovuta né dal punto di vista oggettivo (perché il credito al TFR non è ancora sorto, essendo il lavoratore transitato alle dipendenze del cessionario), né dal punto di vista soggettivo (perché ad essere fallito o comunque sottoposto a procedura concorsuale è colui che non è più datore di lavoro dell’assicurato); e mancando in radice il legame necessariamente postulato dalla Direttiva 80/987/CEE tra l’insolvenza datoriale e l’inadempimento del credito retributivo, si verrebbe necessariamente a sviare il patrimonio del Fondo di garanzia dalla causa che ne ha determinato l’istituzione, in contrasto con la precisa lettera dell’art. 2, comma 8°, l. n. 297/1982, che vieta d’impiegare le disponibilità del Fondo “al di fuori della finalità istituzionale del fondo stesso” (così ancora Cass. n.19277/18, cit., nonché da ult. Cass. 37789/22).
In coerenza con i suesposti principi questa Corte ha affermato che l’accordo sindacale di deroga ex art.47, co.5 l. n.428/90 non è opponibile all’Inps (Cass.6842/23, Cass. 37789/22).
Tanto deriva dal principio di relatività degli effetti del contratto ex art.1372 c.c. Come detto, infatti, l’Inps è obbligato verso il lavoratore in forza del distinto e autonomo rapporto previdenziale che si instaura tra lavoratore e Inps, avente ad oggetto l’intervento del Fondo di garanzia in caso di insolvenza.
Tale rapporto previdenziale e il discendente obbligo di prestazione restano soggetti alla sola disciplina imperativa di legge, distinta da quella civilistica che regola, ai sensi dell’art. 2112 c.c., i rapporti tra lavoratore, cedente e cessionario dell’azienda.
L’accordo sindacale concluso ai sensi dell’art.47, co.5 l. n.428/90 incide su tali rapporti, non sul rapporto previdenziale.
Nemmeno è applicabile il nuovo comma 5-bis dell’art.47 l. n.428/90, introdotto dall’art.368 d.lgs. n.14/19, in base al quale: “Nelle ipotesi previste dal comma 5, non si applica l’articolo 2112, comma 2, del codice civile e il trattamento di fine rapporto è immediatamente esigibile nei confronti del cedente dell’azienda.
Il Fondo di garanzia, in presenza delle condizioni previste dall’articolo 2 della legge 29 maggio 1982, n.297, interviene anche a favore dei lavoratori che passano senza soluzione di continuità alle dipendenze dell’acquirente; nei casi predetti, la data del trasferimento tiene luogo di quella della cessazione del rapporto di lavoro, anche ai fini dell’individuazione dei crediti di lavoro diversi dal trattamento di fine rapporto, da corrispondere ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n.80.
I predetti crediti per trattamento di fine rapporto e di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n.80 sono corrisposti dal Fondo di Garanzia nella loro integrale misura, quale che sia la percentuale di soddisfazione stabilita, nel rispetto dell’articolo 85, comma 7, del codice della crisi e dell’insolvenza, in sede di concordato preventivo.”
Trattasi infatti di una disciplina innovativa (v. Cass. 27789/22), come tale non applicabile retroattivamente ad un accordo sindacale del 2014-2015, ovvero antecedentemente alla sua entrata in vigore.
Conclusivamente il ricorso va respinto con compensazione delle spese di lite, atteso che i citati orientamenti di questa Corte si sono consolidati successivamente alla proposizione del ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; compensa le spese di lite del presente giudizio di cassazione;
dà atto che, atteso il rigetto, sussiste il presupposto processuale di applicabilità dell’art.13, co.1 quater, d.P.R. n.115/02, con conseguente obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.