CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Sentenza n. 32123 depositata il 12 dicembre 2024

Lavoro – Rapporto contributivo e previdenziale – Attività notarile svolta esclusivamente in Germania – Trasferimento in Italia prima della maturazione del trattamento pensionistico – Trattenuta sulla pensione da procedura concorsuale pendente in Germania – Riconoscibilità in Italia della procedura d’insolvenza straniera – Rigetto

Fatti di causa

Con sentenza depositata il 9.8.2019, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato le domande proposte da R.R.R., già notaio in Germania e adesso residente in Italia, volte all’accertamento dell’illegittimità delle trattenute sulla pensione effettuate in suo danno da N. a far data dal 9.3.2002 e alla consequenziale condanna dell’ente previdenziale a restituirgli la somma di € 373.551,62, oltre accessori.

I giudici territoriali, in particolare, hanno dato atto che sulla questione della giurisdizione del giudice italiano doveva reputarsi caduto il giudicato interno, non avendo N. provveduto alla notifica dell’appello incidentale con cui aveva censurato la decisione resa sul punto dal giudice di prime cure; indi, venendo alla questione della legge applicabile, hanno ritenuto che essa dovesse identificarsi in quella tedesca, essendo il rapporto contributivo e quello previdenziale sorti in dipendenza dell’attività notarile svolta esclusivamente in Germania, e hanno escluso che in contrario potesse rilevare l’attuale residenza in Italia del pensionato; ad abundantiam, inoltre, i giudici territoriali hanno rilevato che i termini della questione non sarebbero mutati allorché si fosse ritenuta applicabile la legge italiana, dal momento che, rivenendo la trattenuta sulla pensione da una procedura concorsuale pendente in Germania e della quale l’ente previdenziale tedesco si era limitato a prendere atto, senza esserne in alcun modo beneficiario, la vicenda relativa al rapporto contributivo e previdenziale svoltosi tra un notaio tedesco e la sua cassa di previdenza non sarebbe stata riconducibile ad alcun istituto civilistico di diritto interno.

Avverso tale pronuncia R.R.R. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura. N. ha resistito con controricorso, successivamente illustrato con memoria.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 444 c.p.c., dell’art. 3, comma 2, l. n. 218/1995, degli artt. 43 e 47 del Regolamento CE n. 1346/2000, dell’art. 1182 comma 3° c.c. e degli artt. 26-bis e 324 c.p.c. per avere la Corte di merito ritenuto, pur dando atto della formazione del giudicato interno sulla questione della giurisdizione del giudice italiano, che la legittimità della ripetizione dell’indebito sulla sua pensione non postulasse la preventiva verifica della riconoscibilità in Italia della procedura d’insolvenza alla quale egli era stato assoggettato in Germania: a suo avviso, infatti, il senso del Regolamento CE n. 1346/2000 (come del successivo n. 848/2015) sarebbe precisamente quello di consentire la verifica della conformità all’ordine pubblico della procedura d’insolvenza straniera, tenendo conto del fatto che egli risiede in Italia e che in questo Paese è da identificarsi sia il luogo di adempimento dell’obbligazione pensionistica che quello dell’espropriazione forzata del credito avente ad oggetto la pensione.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del Regolamento UE n. 1215/2012, dell’art. 13 del Regolamento UE n. 593/2008 e degli artt. 43 e 47 del Regolamento CE n. 1346/2000 per avere la Corte territoriale ritenuto che non potesse più rimettersi in discussione la legittimità delle trattenute da operarsi sulla sua pensione in ragione del giudicato formatosi sul punto in Germania a seguito delle sentenze dell’Oberlandesgericht München 6 U 2047/08 e del Bundesgerichtshof IX ZR 130/10.

Con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 14, l. n. 218/1995, dell’art. 324 c.p.c., dell’art. 12 prel. c.c. per non avere la Corte di merito comunque accertato quale fosse la legge tedesca applicabile alla questione di merito.

Con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3, paragrafo 1, lett. d), e dell’art. 11, paragrafi 1 e 3, del Regolamento CE n. 883/2004, per non averne la Corte territoriale ritenuto l’applicabilità nel caso di specie ancorché il diritto alla sua pensione di vecchiaia fosse maturato quando egli era già residente in Italia: a suo avviso, infatti, la circostanza che egli abbia esercitato la propria attività lavorativa in Germania non potrebbe ostare all’applicazione della legge italiana per ciò che concerne il limite di pignorabilità della pensione e la non assoggettabilità a fallimento delle persone fisiche, trattandosi di legislazione propria dello Stato membro dove egli ha trasferito la propria residenza.

Con il quinto motivo, infine, il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per non avere la Corte di merito adeguatamente esaminato la circostanza dell’avvenuto suo trasferimento in Italia prima della maturazione del trattamento pensionistico, ciò che – a suo avviso – implicherebbe l’impossibilità di assoggettare quest’ultimo alla massa fallimentare tedesca senza il previo riconoscimento della procedura d’insolvenza straniera.

Ciò posto, risulta definitivamente accertato, in punto di fatto, che l’odierno ricorrente, “già notaio in Germania ed attualmente pensionato, residente in Italia e titolare di prestazione erogata dalla […] N. quale Cassa di previdenza dei notai in Germania, ha subito nel periodo in questione una trattenuta sulla pensione suddetta, pari a circa la metà dell’importo a lui spettante, per effetto di una procedura di insolvenza aperta a suo carico dal Tribunale fallimentare di Monaco di Baviera in data 18.5.2001” (così la sentenza impugnata, pag. 2).

Tanto premesso, i motivi possono essere esaminati congiuntamente, tutti involgendo la questione della legge (italiana o straniera) applicabile in caso di richiesta di restituzione di somme percepite da un cittadino straniero residente in Italia e percettore di un reddito derivante da pensione estera sottoposto a trattenuta in virtù di una procedura concorsuale pendente nello Stato estero, e sono infondati.

È noto che la legge n. 218/1995, recante riforma della disciplina del diritto internazionale privato, assume come proprio fine la regolamentazione di fattispecie che presentano elementi di estraneità rispetto all’ordinamento dal cui punto di vista dev’essere giudicata una data vicenda e che, a cagione di tali elementi di estraneità, rivelano l’esistenza di uno o più collegamenti con ordinamenti stranieri; e non meno noto è che l’oggetto della disciplina propria del diritto internazionale privato consiste nel determinare l’ambito della giurisdizione italiana, nell’individuare il diritto applicabile alla fattispecie che presenti elementi di estraneità rispetto all’ordinamento interno e nel regolare l’efficacia delle sentenze e degli altri atti degli ordinamenti stranieri (cfr. art. 1, l. n. 218/1995).

È però altrettanto noto che l’aggettivo “privato”, che figura nella denominazione anche legale della disciplina, si deve alla circostanza che il suo oggetto è costituito da fattispecie qualificabili per mezzo di istituti giuridici regolati dal codice civile e dalle norme ad esso complementari (capacità e diritti delle persone fisiche, artt. 20 ss.; persone giuridiche, art. 25; rapporti familiari, artt. 26 ss.; adozione, artt. 38 ss.; protezione degli incapaci e obblighi alimentari, artt. 42 ss.; successioni, artt. 46 ss.; diritti reali, artt. 51 ss.; donazioni, art. 56; obbligazioni contrattuali, art. 57; obbligazioni non contrattuali, ivi incluse quelle nascenti dalla legge come la gestione di affari altrui, l’arricchimento senza causa e il pagamento dell’indebito, artt. 58 ss.), restando escluso il trattamento delle fattispecie di natura pubblicistica, come appunto le obbligazioni pensionistiche: prova ne sia che l’art. 11, comma 2, del Regolamento CE 883/2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale degli Stati membri dell’Unione Europea, nel prevedere che, ai fini della determinazione della legislazione applicabile, “le persone che ricevono una prestazione in denaro a motivo o in conseguenza di un’attività subordinata o di un’attività lavorativa autonoma sono considerate come se esercitassero tale attività”, espressamente aggiunge, per quanto qui interessa, che tale principio “non si applica alle pensioni di invalidità, di vecchiaia o di reversibilità”, così confermando che, per queste ultime, resta ferma la regola generale che individua la legislazione applicabile in quella propria dello Stato membro che è obbligato a corrispondere la prestazione previdenziale.

Si tratta di un principio che, diversamente da quanto assunto da parte ricorrente nel primo motivo di censura, non può soffrire eccezioni nemmeno allorché la giurisdizione del giudice italiano sia stata – come nella specie – affermata con efficacia di giudicato: e ciò per la troncante ragione che – come si evince chiaramente dall’art. 11, paragrafo 1, del Regolamento CE n. 883/2004, secondo il quale “le persone alle quali si applica il presente regolamento sono soggette alla legislazione di un singolo Stato membro” – la fattispecie costitutiva del diritto alla pensione resta sempre regolata soltanto dalla legge del luogo in cui essa è maturata, pur quando l’avente diritto abbia scelto di risiedere in uno Stato differente.

Né soccorre, in contrario, la previsione di cui all’art. 11, comma 3, lett. e), del Regolamento CE n. 883/2004, sul quale parte ricorrente pretende di fondare gli assunti posti a fondamento delle censure di cui al quarto e quinto motivo: è infatti evidente che l’interpretazione che il ricorso propone dell’inciso secondo cui, ai fini della legislazione applicabile al rapporto previdenziale, sono soggette “alla legislazione dello Stato membro di residenza” le persone che non esercitano attività lavorativa subordinata o autonoma, che non sono pubblici dipendenti, che non ricevono indennità di disoccupazione e che non sono richiamate alle armi o al servizio civile, implicherebbe l’assoggettamento alla legge italiana di un rapporto previdenziale interamente costituitosi all’estero, laddove la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nell’interpretare la norma in esame, ha avuto modo di chiarire che la sua applicazione presuppone pur sempre la regola di unicità della legislazione sociale sancita all’art. 11, paragrafo 1, del Regolamento n. 883/2004, e implica piuttosto che una persona fisica, che non sia più affiliata alla sicurezza sociale del proprio Stato membro di origine, dopo avervi cessato l’esercizio dell’attività lavorativa e aver trasferito la propria residenza in un altro Stato membro, non appartenga più al sistema di sicurezza sociale del proprio Stato di origine bensì in quello dello Stato di residenza (cfr. CGUE, 5.3.2020, C-135/19, punto 52): che è situazione affatto opposta a quella per cui è causa, in cui invece l’appartenenza dell’odierno ricorrente al sistema di sicurezza sociale tedesco, dal quale riceve il trattamento pensionistico, non può seriamente essere messa in discussione.

Chiarito, pertanto, che non si verte nella presente vicenda né in alcuna delle ipotesi disciplinate dal diritto internazionale privato interno né in alcuna delle fattispecie tipizzate dalle norme di diritto dell’Unione nell’ottica di evitare che la libera circolazione delle persone tra gli Stati membri sia disincentivata in ragione di effetti sfavorevoli sul piano della sicurezza sociale, affatto erronea si palesa l’invocazione delle norme che disciplinano il riconoscimento di sentenze e procedure d’insolvenza straniere: rimanendo il rapporto previdenziale per cui è causa interamente regolato dal diritto tedesco, le pronunce giurisdizionali rese dai giudici tedeschi vanno considerate alla stregua di particolari concretizzazioni di quell’ordinamento e dunque in quanto regole del caso concreto che partecipano della medesima natura dei comandi giuridici di quell’ordinamento, rispetto alle quali non può logicamente porsi alcun problema di riconoscimento d’efficacia del tipo di quello disciplinato dagli artt. 64 ss., l. n. 218/1995, o dai regolamenti di diritto dell’Unione invocati nel primo e nel secondo motivo di ricorso, che invece presuppongono, come detto, fattispecie caratterizzate da elementi di estraneità, rispetto alle quali si propongono di dettare norme di conflitto. Di talché, avendo i giudici territoriali accertato che la legittimità delle trattenute sulla pensione dell’odierno ricorrente è stata acclarata nell’ordinamento tedesco in esito ad un giudizio definito con autorità di giudicato, nessun dubbio che tale giudicato debba considerarsi, analogamente al giudicato esterno di cui all’art. 2909 c.c., alla stregua di una regolamentazione del caso concreto alla quale anche il giudice italiano non può che restare vincolato.

Il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza. Tenuto conto del rigetto del ricorso, va inoltre dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 11.200,00, di cui € 11.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.