CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, sentenza n. 5091 depositata il 26 febbraio 2024
Lavoro – Licenziamento per motivi disciplinari – Illegittimità del recesso datoriale – Risoluzione rapporto di lavoro – Pagamento indennità risarcitoria – Accoglimento parziale – la condotta del direttore di ufficio postale che attesti falsamente di avere verificato l’identità del contraente costituisce giusta causa di recesso, trattandosi di comportamento connotato da gravità per il ruolo apicale ricoperto dal lavoratore e per il grado di affidamento correlato alle mansioni dallo stesso svolte
Svolgimento del processo
1.- R.C. era stato dipendente di P.I. spa e da ultimo addetto all’ufficio di Castellammare 1, adibito a mansioni di operatore di sportello, fino al 25/09/2018, data in cui era stato licenziato per motivi disciplinari per i fatti oggetto della contestazione disciplinare del 10/08/2018.
Deduceva l’illegittimità del recesso datoriale perché tutte le condotte contestate, pur materialmente sussistenti, erano prive di rilevanza disciplinare, in quanto conformi a prassi aziendale consolidata e quindi non illecite.
Adìva il Tribunale di Torre Annunziata per ottenere la tutela reintegratoria e le ulteriori conseguenze di legge.
2.- Costituitosi il contraddittorio, all’esito della fase c.d. sommaria il Tribunale accoglieva l’impugnazione.
3.- All’esito dell’opposizione proposta dalla società il Tribunale rigettava l’impugnazione, dichiarava risolto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condannava P.I. spa a pagare all’ex dipendente l’indennità risarcitoria in misura di venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
4.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava sia il reclamo principale proposto dal C., volto ad ottenere la tutela reintegratoria, sia quello incidentale di P.I. spa, volto ad ottenere il completo rigetto della domanda dell’ex dipendente.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) va premesso che dalla complessa istruttoria svolta non è emerso alcun coinvolgimento del C. in truffe assicurative e nondimeno non può sostenersi la liceità e la regolarità delle operazioni da lui poste in essere;
b) va condivisa la tesi del C., ossia che l’apertura di un libretto nominativo di risparmio con contestuale versamento di un assegno che non sia sbarrato costituisce operazione lecita e consentita da P.I. spa;
c) in assenza di riscontri probatori, non può ritenersi che tale operazione si inserisca in un fenomeno di truffa assicurativa, non essendo emerso alcun elemento in tal senso e quindi deve ritenersi consentito il prelievo anche di tutto l’importo versato;
d) del resto è pacifico che il libretto nominativo di risparmio non abbia una durata predeterminata, per cui ben può essere utilizzato per una sola operazione e per un arco temporale ristretto;
e) le operazioni indicate dal n. 1) al n. 8) sono accomunate da una stessa irregolarità, ossia il mancato utilizzo del sistema gestore code;
f) tale violazione è documentalmente provata dalla società e non contestata dal C.;
g) la giustificazione di costui – ossia che tutti i clienti che si presentavano per l’apertura di libretti venivano dirottati alla sua postazione di lavoro – non spiega come mai anche operazioni diverse, come i prelievi successivi all’apertura dei libretti, siano stati posti in essere sempre in assenza del gestore code;
h) non ha trovato conferma l’assunto del C., secondo cui il sistema gestore code poteva non essere utilizzato, avendo anzi deposto in senso contrario il teste C.D., responsabile di Poste;
i) accertata quindi la reiterata violazione, da parte del C., del sistema gestore code, in assenza di riscontri probatori ulteriori non può ritenersi che tale violazione sia indicativa di un intento illecito; ciò che emerge dalle risultanze istruttorie è solo questa violazione procedurale, che, complessivamente considerata, è espressione di un modus operandi improntato a faciloneria ed approssimazione, come correttamente ritenuto dal Tribunale, quindi in contrasto con gli obblighi di servizio facenti capo ad un operatore di sportello;
j) alla luce di tali considerazioni non è possibile inquadrare questa condotta nelle fattispecie indicate dal C. come previste e punite dalla contrattazione collettiva con sanzione conservativa;
k) deve infatti procedersi ad un’interpretazione tassativa delle clausole contrattuali che prevedono sanzioni conservative;
l) l’art. 54, capo IV, lett. n) CCNL prevede la sospensione fino a dieci giorni “in genere per qualsiasi negligenza o inosservanza di leggi o regolamenti o degli obblighi di servizio deliberatamente commesse, anche per procurare indebiti vantaggi a sé o a terzi, ancorché l’effetto voluto non si sia verificato sempre che la mancanza non abbia carattere di particolare gravità, altrimenti sanzionabile”;
m) tale clausola sanziona episodiche violazioni di obblighi di servizio o di leggi e regolamenti che non abbiano carattere di particolare gravità, ma non la sistematica violazione delle procedure, come invece è avvenuto nel caso di specie;
n) tuttavia la condotta del C. non rientra neppure nelle ipotesi indicate dalla società nella lettera di licenziamento, di cui all’art. 54, co. VI, lett. a), c) e k) CCNL, mancandone alcuni elementi costitutivi;
o) le violazioni accertate, tranne l’episodico versamento dell’assegno sbarrato riguardano disposizioni regolamentari importanti per il regolare esercizio dell’attività postale, ma non poste a tutela di interessi particolarmente rilevanti (come invece le norme antiriciclaggio);
p) dunque la condotta del C. – priva di intenzionalità e frutto di superficialità ed approssimazione – non è stata di gravità tale da ledere il vincolo fiduciario, sicché la massima sanzione espulsiva si rivela sproporzionata;
q) pertanto va confermata la sentenza del Tribunale, che ha riconosciuto la tutela di cui all’art. 18, co. 5, legge n. 300/1970.
4.- Avverso tale sentenza R.C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.
5.- P.I. spa ha resistito con controricorso ed ha a sua volta proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi. Ha poi depositato memoria.
Motivi della decisione
A) RICORSO PRINCIPALE
1.- Con l’unico motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “falsa applicazione (o violazione)” dell’art. 18, co. 4 e 5, legge n. 300/1970 per non avere la Corte territoriale sussunto la fattispecie nell’ipotesi prevista dall’art. 54, co. IV, lett. n) CCNL, da ciò conseguendo l’erronea applicazione della tutela prevista dal comma 5^ dell’art. 18 legge cit. piuttosto che quella prevista dal comma 4^ del medesimo articolo.
Il motivo è infondato.
Come ammette il ricorrente (v. ricorso per cassazione, p. 17), il principio di tassatività delle clausole contrattual-collettive che prevedono sanzioni conservative impone che, ai fini della loro applicazione, la fattispecie concreta sia perfettamente sovrapponibile a quella astratta delineata dalle parti sociali (Cass. n. 14811/2020; Cass. n. 8621/2020).
Nel caso di specie si rivela corretta la valutazione operata dalla Corte territoriale, atteso che dalla pluralità e sistematicità delle condotte approssimative e superficiali (e quindi pur sempre illecite) del C. ha desunto una gravità tale da escludere la possibilità di ricondurle nell’ambito applicativo della clausola contrattual-collettiva invocata.
Tale giudizio è conforme a diritto.
Infatti, da un lato, l’apprezzamento di gravità appartiene al giudice di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (come nella specie); dall’altro, nel caso in esame la gravità è stata desunta dalla Corte territoriale dalla “non episodicità” delle condotte tenute dal C., laddove la clausola contrattual-collettiva si riferisce chiaramente ad una singola condotta (o, al più, a condotte del tutto episodiche), come si evince dall’uso del singolare “mancanza” nella parte finale di chiusura della clausola (“… sempre che la mancanza non abbia carattere di particolare gravità, altrimenti sanzionabile”).
Ne deriva che esattamente la Corte territoriale ha ritenuto che, qualora le mancanze siano più di una e soprattutto sistematiche – come è risultato accertato in fatto – la fattispecie concreta non possa essere sussunta in quella astratta delineata dalle parti sociali come punibile con sanzione conservativa.
Nessun rilievo ha il riferimento – compiuto dai giudici del reclamo – alla “non particolare gravità” rispetto alle fattispecie delineate dalla contrattazione collettiva come meritevoli di licenziamento. Contrariamente all’assunto del ricorrente, nell’economia della sentenza di secondo grado quel riferimento è servito solo a motivare l’impossibilità di sussumere la fattispecie concreta in quella astratta punita con la massima sanzione espulsiva, fermo restando che il fatto – in quanto integrato da condotte plurime e sistematiche – non era sussumibile neppure nella fattispecie astratta punita con la sanzione conservativa.
B) RICORSO INCIDENTALE.
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente incidentale lamenta “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 2119 c.c. per avere la Corte territoriale escluso la sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta delineata dalla norma come giusta causa di licenziamento.
Il motivo è inammissibile, perché sollecita a questa Corte una inammissibile rivalutazione degli elementi fattuali sui quali i giudici del reclamo hanno fondato e giustificato il proprio convincimento circa l’insussistenza di una giusta causa ex art. 2119 c.c.
2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente incidentale lamenta “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 54, co. 6, lett. a), c) e k) CCNL P.I. del 30/11/2017 per avere escluso la riconducibilità della fattispecie concreta ad una delle previsioni della contrattazione collettiva come meritevoli di licenziamento. Al riguardo invoca un precedente specifico di questa Corte (Cass. n. 20083/2018).
Il motivo è infondato con riguardo alla lett. a) dell’invocata clausola, atteso che – come esattamente ritenuto dalla Corte territoriale – si tratta di ipotesi (illecito uso, manomissione, distrazione o sottrazione di somme o beni di spettanza o di pertinenza della società o ad essa affidati, o infine connivente tolleranza di abusi commessi da dipendenti o da terzi) del tutto estranee ai fatti di causa.
Il motivo è invece fondato con riguardo alle lettere c) e k) del medesimo art. 54, co. 6, CCNL cit.
Per entrambe le fattispecie la Corte territoriale ha escluso la prova di un pregiudizio, potenziale o reale, evidenziando che “in assenza di denunce o di coinvolgimenti del C. in procedimenti penali, non può neppure ipotizzarsi un danno all’immagine della società, né risultano danni economici”.
Da questa motivazione si evince che i giudici del reclamo, dopo aver esattamente interpretato la clausola contrattual-collettiva sul piano delle condotte punibili, hanno poi erroneamente preteso la prova di un pregiudizio effettivo e reale, invece non necessario, con la conseguente “falsa applicazione” della medesima clausola, per aver ritenuto elemento costitutivo della fattispecie il “pregiudizio effettivo”, invece non previsto.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che “la condotta del direttore di ufficio postale che attesti falsamente di avere verificato l’identità del contraente costituisce giusta causa di recesso, trattandosi di comportamento connotato da gravità per il ruolo apicale ricoperto dal lavoratore e per il grado di affidamento correlato alle mansioni dallo stesso svolte, a nulla rilevando l’assenza di concreto pregiudizio per la parte datoriale a fronte della potenzialità lesiva delle operazioni irregolarmente compiute, quale elemento costitutivo dell’ipotesi di cui all’art. 54, comma 6, lett. c), del c.c.n.l. del 2011” (Cass. ord. n. 20083/2018). Nel contesto della clausola contrattual-collettiva, in definitiva, ai fini dell’integrazione dell’illecito disciplinare è sufficiente l’esposizione a pericolo derivante dalla condotta del dipendente (Cass. n. 12746/2022, che ha precisato: “… In relazione, poi, alla questione sul “pregiudizio” deve osservarsi, in punto di diritto, che è stato affermato, proprio con riferimento all’art. 54 del c.c.n.l. Poste, che la nozione di pregiudizio alla società o a terzi, ossia eventualmente agli utenti del servizio postale, non comprende soltanto il danno patrimoniale ma anche l’imminente pericolo per l’interesse dei soggetti coinvolti (cfr. Cass. 5/8/2015, n. 16464) …)”.
In conclusione, le parti sociali non hanno affatto richiesto il verificarsi di un danno (Cass. ord. n. 27082/2018; Cass. n. 28962/2017), la cui prova resta dunque del tutto irrilevante, contrariamente all’assunto della Corte territoriale, la cui decisione va pertanto sul punto cassata con rinvio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale;
accoglie parzialmente il secondo motivo di tale ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso principale a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
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