CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, sentenza n. 5209 depositata il 27 febbraio 2024
Lavoro – Licenziamento inefficace – Mancata contestazione disciplinare – Attività di lavoro svolta in favore di altri soggetti – Accoglimento parziale
Fatti di causa
La Corte di appello di Genova, parzialmente riformando la decisione del locale tribunale, aveva dichiarato inefficace il licenziamento intimato a Claudio Surace con obbligo della società G.C. di C.G., L.P. & C. Sas, datrice di lavoro, di riassumerlo o, in difetto, di risarcirgli il danno con una indennità pari a sei mesi dell’ultima retribuzione globale di fatto. Nel resto confermava la decisione del tribunale.
La corte territoriale aveva ritenuto che fosse mancata una contestazione disciplinare che presentasse il requisito della specificità dell’addebito, tale non potendo essere qualificata la lettera inviata al Surace (26-28 aprile 2016), per il carattere interlocutorio della stessa. La Corte aveva quindi ritenuto ingiustificato il licenziamento, riformando sul punto la decisione del tribunale, che invece confermava con riguardo al risarcimento del danno riconosciuto alla ditta C., per il nocumento arrecato dal Surace a seguito dell’attività di lavoro svolta in favore di altri soggetti estranei, durante l’orario di lavoro.
Avverso detta decisione Il Surace proponeva ricorso affidato a due motivi cui resisteva la Ditta C. con controricorso anche contenente ricorso incidentale cui resisteva con controricorso il Surace. La società C. depositava successiva memoria.
Ragioni della decisione
Ricorso principale
1)- Con il primo motivo il Surace denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c., con riferimento alle prove testimoniali raccolte, alla ctu contabile di parte ed alla lettera riservata spedita dal Surace al titolare della ditta.
Il ricorrente, in particolare, si duole della valutazione delle risultanze testimoniali, che, a suo dire, non risulterebbero tali da provare il lavoro prestato dal Surace, per due ore giornaliere, in favore di soggetti estranei alla ditta.
Con riguardo alla perizia informatica deduce la sua inutilizzabilità quale elemento probatorio perché di provenienza di parte e inoltre priva del necessario contraddittorio nella sua formazione e peraltro effetto di una occulta attività di controllo sul computer del dipendente.
Il ricorrente ritiene infine priva di valore probatorio la lettera riservata inviata al datore di lavoro, al più confessoria solo dello svolgimento di attività in favore di terzi, ma non della concomitanza con l’orario di lavoro.
2) Con il secondo motivo è denunciata la violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 co.1 n. 3 e 5 c.p.c., per la insussistenza di presupposti probatori oggettivi per la determinazione del quantum risarcitorio mediante ctu e conseguente inefficacia probatoria della ctu.
Il ricorrente lamenta la modalità di determinazione del quantum risarcitorio e del criterio utilizzato per porre a base della valutazione le due ore giornaliere in cui il lavoratore, durante l’orario di lavoro, svolgeva lavoro in favore di ditte terze. In particolare, evidenzia che da nessuna delle testimonianze possa essere evincibile il dato delle ore giornaliere, e che anche il ctu avvalora la difficoltà di riscontrare l’esatto ammontare del tempo dedicato alla attività in questione. Lamenta infine che la perizia informatica disposta dal datore di lavoro abbia in sostanza raccolto dati con grave intrusione nella posta e violazione della privacy del dipendente.
Ricorso Incidentale
1)- La società “C.”, con un primo motivo ha denunciato la violazione dell’art.112 c.p.c. per la non corrispondenza tra quanto ritenuto dalla corte di merito in ordine alla violazione dell’art. 7 St. Lav., per assenza della contestazione e quanto sostenuto dal Surace nel motivo di appello. Quest’ultimo non avrebbe infatti contestato la assenza di garanzie ai sensi dell’art. 7 richiamato, invece, allegando di aver risposto alla lettera di contestazione disciplinare ricevuta e quindi di non essere stato reticente e silenzioso, come sostenuto dal giudice d’appello.
2)- Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 7 St.Lav. per aver, la corte di merito, ritenuto che la contestazione disciplinare non presentasse il requisito della specificità dell’addebito. Contrariamente a ciò, la società ricorrente evidenziava invece come, a seguito della contestazione di illecita trattazione di affari per terzi e di richiesta di chiarimenti, cui era seguita dapprima la negazione degli stessi e poi una confessione mediante uno scritto, la società avesse ritenuto definitivamente leso il vincolo fiduciario senza necessità di proseguire ulteriormente il procedimento disciplinare, resosi non più necessario per accertare fatti già confessati.
3)- Il terzo motivo riguarda la violazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 co.1 n. 4 c.p.c., per l’irragionevole condanna a sei mensilità. La società denuncia la non comprensibilità dell’iter logico seguito per la determinazione delle sei mensilità, anche ravvisando l’omessa motivazione.
4)- Con ultimo motivo è dedotta la violazione dell’art. 8 l.n. 604/1966 in riferimento ai criteri di determinazione, asseritamente omessi nella determinazione del danno liquidato.
In sede di controricorso al ricorso incidentale il Surace eccepiva la tardività ricorso incidentale in quanto vertente su capo della decisione non oggetto di ricorso principale.
5)-Per ragione di antecedenza logica devono essere preliminarmente valutati i motivi del ricorso incidentale in quanto afferenti alla statuizione sul licenziamento ed in tale contesto occorre ancor prima valutare l’eccezione di tardività del ricorso incidentale proposta dal Surace. Quest’ultimo ha dedotto che trattandosi di ricorso incidentale avverso un capo autonomo della sentenza d’appello non impugnato dal ricorso principale, ed anche proveniente da autonomo ricorso, successivamente riunito, il ricorso incidentale avrebbe dovuto essere proposto con riferimento al termine “lungo” semestrale di cui all’art. 327 c.p.c. e dunque entro i sei mesi successivi alla pubblicazione della sentenza avvenuta 12.7.2019. La avvenuta notifica del ricorso in questione in data 7 febbraio 2020 ne attestava la tardività . L’eccezione non è fondata.
Come affermato da questa Corte in pronunce oramai consolidate il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 cod. proc. civ., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi. Tale principio non trova deroghe riguardo all’impugnazione di tipo adesivo che venga proposta dal litisconsorte dell’impugnante principale e persegue il medesimo intento di rimuovere il capo della sentenza sfavorevole ad entrambi, né nell’ipotesi in cui si intenda proporre impugnazione contro una parte non impugnante o avverso capi della sentenza diversi da quelli oggetto della già proposta impugnazione (Cass. n. 36057/2021; conf. Cass.n.15695/2015; Cass. n. 11602 del 02/08/2002; Cass. n. 2516 del 09/02/2016; Cass. n. 27680 del 12/10/2021).
Dandosi continuità al principio esposto, l’eccezione deve essere rigettata.
6)-Trattando le censure proposte deve affermarsi la fondatezza della seconda censura. Occorre preliminarmente rammentare che con lettera del 26 aprile 2016 la società datrice di lavoro, successivamente ad una comunicazione in tal senso del Surace, aveva chiesto allo stesso, spiegazioni circa l’attività dichiaratamente svolta, nel corso del rapporto di lavoro, per conto di altri studi professionali. In tale lettera la società si riservava di assumere tutte le azioni necessarie a tutelare la società ed anche di assumere iniziative disciplinari nei confronti del dipendente.
Quest’ultimo, con missiva del 3.5.2016, rispondeva alla richiesta escludendo di aver svolto attività in concorrenza o di essere venuto meno ai doveri derivanti dal rapporto di lavoro con la società. Successivamente la società comunicava il licenziamento, richiamando la contestazione del 26-28 aprile e la risposta del lavoratore, ritenendo che quest’ultimo non avesse fornito idonei chiarimenti.
6.a)-Rispetto a tale quadro di circostanze di fatto la corte territoriale aveva ritenuto ingiustificato il licenziamento perché carente la contestazione del necessario requisito di specificità dell’addebito. Aveva infatti valutato che la lettera del 28 aprile sopra richiamata avesse carattere meramente interlocutorio in quanto non ancora precisati gli addebiti e richieste spiegazioni al dipendente. Inoltre il giudice d’appello aveva ritenuto non corrispondente l’addebito originariamente contestato con l’addebito poi posto a ragione del licenziamento.
Occorre anche chiarire che la lettera del 26-28 aprile trovava il suo presupposto nella dichiarazione verbale resa dal Surace al dott. C. Sergio circa lo svolgimento di attività in favore di società terze (coinvolte in indagini penali) all’insaputa della datrice di lavoro. Tale dichiarazione era stata inoltre ribadita con lettera successiva inviata personalmente al C..
6.b)-Siffatto svolgimento dei fatti evidenzia la fondatezza della censura posta dalla società.
Questa Corte ha ripetutamente statuito che “La specificità della contestazione degli addebiti – prescritta dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970 per il licenziamento disciplinare del lavoratore(…) implica che la contestazione inviata al lavoratore debba, pur senza essere analitica, contenere la esposizione dei dati e degli aspetti essenziali del fatto materiale posto a base del licenziamento (Cass.n. 1000/1993); ha pure soggiunto che “ la previa contestazione dell’addebito, necessaria in funzione dei licenziamenti qualificabili come disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 cod. civ.. L’accertamento relativo al requisito della specificità della contestazione costituisce oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito. (Cass.n. 1562/2003).
6.c)-I principi posti danno conto di due elementi essenziali al fine di inverare, con dati concreti, il disposto dell’art. 7 l.n. 300/70; il primo di essi è la necessità di attribuire alla contestazione un contenuto di dati ed aspetti essenziali del fatto materiale contestato tale da consentire l’esatta conoscenza delle circostanze addebitate, pur non essendo richiesta una analiticità degli stessi.
L’accertamento dei fatti in questione è certamente rimesso al giudice del merito che, peraltro, deve valutarli con ragioni che rispondano a criteri di logicità e congruenza.
6.d)-La contestazione oggetto di controversia è stata valutata dalla corte territoriale priva di specificità, ma tale giudizio risulta incongruente rispetto ai principi posti perchè non considera il contesto in cui l’addebito si è formato – dichiarazione confessoria del lavoratore- che costituisce integrazione fattuale della specificazione dell’addebito essendo anche richiamata nella lettera del 26-28 aprile. Se infatti, come sopra richiamato, la specificità della contestazione è requisito essenziale ai fini della conoscenza da parte del lavoratore e della conseguente possibilità di ragionata difesa, non può non evidenziarsi che una dichiarazione confessoria di un fatto oggetto di contestazione ( attività di lavoro per terzi soggetti estranei al datore) non necessiti di particolari definizioni o specificazioni, attesa la piena consapevolezza del lavoratore.
Un giudizio di carente specificazione risulta pertanto disancorato rispetto al quadro fattuale ed ai principi giuridici che lo governano e dunque irragionevole e privo di congruità. Anche illogica risulta poi la valutazione di non corrispondenza tra la prima contestazione e la ragione del licenziamento, atteso il legame conseguenziale che tiene insieme una denuncia di un fatto già valutato grave (come indicato nella lettera del 26-28 aprile) e la richiesta di ulteriori chiarimenti che, non forniti dal lavoratore, non possono che essere considerati parte ulteriore e sequenziale del comportamento già addebitato.
In conclusione il secondo motivo di ricorso incidentale, per quanto esposto, deve essere accolto e di conseguenza rigettata la domanda di declaratoria di illegittimità del licenziamento in origine proposta dal Surace.
L’accoglimento di tale motivo rende assorbite le altre censure poste in sede di ricorso incidentale.
7)- Con il ricorso principale, con i due motivi da trattare congiuntamente, il Surace si duole della decisione della Corte territoriale confermativa del disposto del tribunale circa il danno arrecato dal lavoratore alla ditta per il lavoro prestato in favore di terzi durante l’orario di lavoro.
In particolare, si duole della valutazione delle risultanze testimoniali, che, a suo dire, non risulterebbero tali da provare il lavoro prestato dal Surace, per due ore giornaliere, in favore di soggetti estranei alla ditta.
Con riguardo alla perizia informatica deduce la sua inutilizzabilità quale elemento probatorio perché di provenienza di parte e inoltre priva del necessario contraddittorio nella sua formazione e peraltro effetto di una occulta attività di controllo sul computer del dipendente.
Il ricorrente ritiene infine priva di valore probatorio la lettera riservata inviata al datore di lavoro, al più confessoria solo dello svolgimento di attività in favore di terzi, ma non della concomitanza con l’orario di lavoro.
7-a)-Le doglianze così articolate risultano sostanzialmente dirette a sollecitare una nuova valutazione del materiale probatorio già esaminato in sede di merito. È stato più volte chiarito che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass.nn. 8758/017-18721/2018). Risultano pertanto inammissibilmente proposte le censure relative ad una errata valutazione delle risultanze testimoniali e della lettera riservata inviata al datore di lavoro in quanto oggetto del giudizio valutativo espresso nelle sedi di merito.
7-b)-Quanto alla perizia informatica, deve sottolinearsi come la stessa abbia avuto lo scopo solo di contribuire a quantificare il danno subito dal datore di lavoro e non di collaborare alla individuazione degli addebiti, già chiari.
Sulla possibilità di controlli a distanza, con riguardo al computer del dipendente, questa Corte ha chiarito che in tema di cd. sistemi difensivi, sono consentiti, anche dopo la modifica dell’art. 4 st.lav. ad opera dell’art. 23 del d.lgs. n. 151 del 2015, i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto (Cass. n. 34092/2021).
La legittimità dei controlli cd. difensivi in senso stretto presuppone dunque il “fondato sospetto” del datore di lavoro circa comportamenti illeciti di uno o più lavoratori; ne consegue che spetta al datore l’onere di allegare, prima, e di provare, poi, le specifiche circostanze che l’hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico “ex post”, sia perché solo il predetto sospetto consente l’azione datoriale fuori del perimetro di applicazione diretta dell’art. 4 st. lav., sia perché, in via generale, incombe sul datore, ex art. 5 l. n. 604 del 1966, la dimostrazione del complesso degli elementi che giustificano il licenziamento (Cass.n. 18168/2023; Cass.n.32760/2021; Cass.n. 25732/2021).
7-c)-I principi posti evidenziano il delicato equilibrio che deve osservarsi tra esigenze contrapposte quali la tutela della sfera privata del dipendente e la necessità di accertare eventuali comportamenti illeciti. La demarcazione tra tali ambiti viene ad essere la presenza di un “fondato sospetto” che legittimi il controllo ex post e sulle cui connotazioni il datore di lavoro è chiamato a fornire adeguate allegazioni. Nel caso in esame la dichiarata ammissione del comportamento illecito ha certamente costituito elemento di legittimazione per la individuazione della sussistenza ed entità del danno subito.
Le censure sono pertanto da disattendere con il conseguente rigetto del ricorso principale.
In conclusione deve rigettarsi il ricorso principale; deve accogliersi il secondo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento degli ulteriori motivi; deve cassarsi la sentenza sul motivo accolto e, decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, deve rigettarsi l’originaria domanda del lavoratore in punto di licenziamento.
Le spese del giudizio si liquidano, in ragione del principio di soccombenza come da dispositivo.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri motivi. Cassa la sentenza con riguardo al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda di Surace Claudio sul licenziamento.
Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese dell’intero giudizio che liquida per il primo grado del giudizio in E. 6.000,00 oltre spese ed accessori; per il secondo grado in E. 4.500,00 oltre spese ed accessori e per il giudizio di legittimità in E. 5.500,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
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