CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, ordinanza n. 10666 depositata il 19 marzo 2021
Omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali – Retribuzioni del personale dipendente – Prescrizione delle violazioni – Prova dell’avvenuta corresponsione delle relative retribuzioni – Assoluta mancanza di liquidità a causa dell’improvvisa crisi economica
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di Appello di Roma ha confermato la penale responsabilità di G.C., in qualità di legale rappresentnate della C.C., per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. 463/1983 conv. nella L. 638/1983 per omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni del personale dipendente riferite alle mensilità di luglio ed agosto 2007, rideterminando tuttavia la pena inflittagli all’esito del giudizio di primo grado, stante l’accertata estinzione per prescrizione delle violazioni riferite alle mensilità antecedenti, in trenta giorni di reclusione ed € 200,00 di multa.
2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione formulando un unico pluriarticolato motivo con il quale contesta, invocando il vizio motivazionale, in primo luogo l’affermazione di responsabilità per le residue due mensilità in mancanza della prova dell’avvenuta corresponsione delle relative retribuzioni al personale dipendente, costituente il presupposto per la configurabilità del reato, retribuzioni che non erano stata affatto versate dall’imputato che versava nell’assoluta mancanza di liquidità a causa dell’improvvisa crisi economica che la aveva colpita ed in secondo luogo l’omessa notifica della diffida ad adempiere da parte dell’INPS dalla quale derivava l’improcedibilità dell’azione penale per essere stata la raccomandata spedita ad un indirizzo diverso da quello della sede legale della società.
Considerato in diritto
Il ricorso, compendiandosi in censure in relazione alle quali l’asserita illogicità della motivazione della sentenza impugnata deve essere esclusa in ragione della esauriente disamina delle risultanze probatorie così come delle lucide e coerenti argomentazioni che la supportano, deve dichiararsi inammissibile per manifesta infondatezza.
La contestazione relativa alla mancanza di prova della corresponsione al personale dipendente delle retribuzioni corrispondenti al mancato versamento delle ritenute in esame risulta smentita dalla presentazione da parte dell’imputato all’istituto previdenziale dei Modelli DM 10 i quali, avendo natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro, sono valutabili secondo l’univoco indirizzo giurisprudenziale come attestazione dell’avvenuto pagamento, in assenza di elementi di segno contrario, degli emolumenti salariali in relazione ai quali è stato omesso il versamento dei contributi (Sez. 3, n. 42715 del 28/06/2016 – dep. 10/10/2016, Franzoni, Rv. 267781). Pertanto il valore indiziario nel senso indicato della suddetta documentazione, unitamente alle dichiarazioni rese nel corso delle indagini dallo stesso imputato, rimasto poi contumace durante la celebrazione del processo, che si era limitato a contestare di aver ricevuto alcuna richiesta di pagamento da parte dell’INPS è stato coerentemente valutato dai giudici di merito come dimostrazione dell’eseguita corresponsione da parte di costui delle retribuzioni, corrispondenti a quelle contestate, ai propri dipendenti.
Quanto all’ulteriore profilo di doglianza, formulato peraltro in termini assolutamente generici posto che neppure viene indicato il diverso indirizzo di residenza del prevenuto né quello della sede dell’impresa, è sufficiente rilevare che entrambe le raccomandate contenenti la diffida ad adempiere spedite dall’INPS risultano essere state ricevute da soggetti presenti sul luogo, circostanza questa che consente di ritenere perfezionata la comunicazione.
Premesso che la libertà di forma che caratterizza la comunicazione suddetta esclude che la stessa debba presentare i requisiti formali della notificazione essendosi a tal fine univocamente ritenuto che la spedizione a mezzo di raccomandata ne costituisca idoneo equipollente offrendo ampie garanzie circa il recapito del plico al destinatario, della sua consegna al destinatario o a un suo delegato e della possibilità di ritiro in caso di assenza, presso l’ufficio postale, deve rilevarsi che, una volta in cui la missiva sia giunta all’indirizzo del destinatario, è irrilevante ove la stessa non sia ricevuta personalmente da quest’ultimo la impossibilità di risalire alla identità del consegnatario del plico in mancanza di concreti e specifici dati obiettivi idonei a dimostrare che la comunicazione non sia stata portata a conoscenza del destinatario senza sua colpa). La natura ricettizia di tale atto consente infatti di ritenere operante la presunzione di conoscenza di cui agli artt. 1334 e 1335, cod. civ., che scatta al momento in cui lo stesso è recapitato all’indirizzo del destinatario, sul quale si riversa conseguentemente – non essendo l’agente postale chiamato a svolgere alcun ulteriore indagine sul soggetto che lo prenda in consegna purché rinvenuto all’indirizzo indicato – l’onere di provare di esser stato impossibilitato, non per sua colpa, ad averne notizia.
Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza del 13.6.2000 n.186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità” all’esito del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
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