CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, Ordinanza n. 16637 depositata il 16 aprile 2018
Reati tributari – Omessa presentazione della dichiarazione dei redditi – Ricorso per cassazione – Nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito – Esclusione nel giudizio di legittimità – Inammissibilità del ricorso
Ritenuto in fatto
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno del 30/5/2014, con cui M.S. era stato condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, in relazione al reato di cui all’art. 5 d.lgs. 74/2000 (per avere, quale amministratore della S.r.l. I.T., omesso di presentare le dichiarazioni sulle imposte dei redditi per l’anno 2009 pur essendovi obbligato, così evadendo imposte per euro 77.468,50).
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando vizio della motivazione riguardo alla affermazione della propria responsabilità, non essendo stati adeguatamente indicati gli elementi posti a fondamento della sua condanna e il criterio seguito dalla Corte d’appello nella valutazione della sua posizione, in quanto l’accertamento fiscale era stato svolto con metodo induttivo e non erano state svolte indagini sulla sussistenza dell’elemento psicologico.
Ha inoltre lamentato l’eccessività della pena, distante dal minimo edittale in misura non giustificata dai propri precedenti penali e dall’ammontare dell’imposta evasa.
Considerato in diritto
Il ricorso, peraltro affidato a motivi generici, riproduttivi dell’atto d’appello e privi di autentico confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, è articolato mediante censure non consentite nel giudizio di legittimità, in quanto volte a sindacare la ricostruzione del fatto compiuta dai giudici di merito e l’esercizio del potere di determinazione delle sanzioni.
Alla Corte di cassazione è, infatti, preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 2, n. 7380 in data 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Inoltre, è opportuno ribadire che il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti in sede di impugnazione e motivatamente respinti da parte del giudice del gravame deve ritenersi inammissibile, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, solo apparentemente, denunciano un errore logico o giuridico determinato (in termini v. Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altro, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708).
Nel caso in esame la Corte d’appello ha dato atto della esaustività degli accertamenti svolti per addivenire all’accertamento del reddito dell’impresa amministrata dall’imputato (attraverso l’esame delle comunicazioni Iva, dei contributi pagati per i dipendenti, dei versamenti Inail e dei redditi conseguiti negli anni precedenti) e della sua consapevolezza dello stesso, nonché della adeguatezza della pena, tenendo conto della entità dell’imposta evasa e della personalità dell’imputato: si tratta di motivazione adeguata e immune da vizi logici, con la quale il ricorrente ha omesso di confrontarsi, tantomeno in modo critico, proponendo una diversa considerazione delle risultanze di fatto correttamente valutate dai giudici di merito e censurando le loro valutazioni in ordine alla determinazione della pena, formulando, dunque, censure non consentite nel giudizio di legittimità.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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