Corte di Cassazione, sezione penale, ordinanza n. 7337 depositata il 25 febbraio 2020

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. in data 02/07/2019, su richiesta delle parti, applicava a F.M., C.F. e T.P. le pene di giustizia in relazione ai reati di rapina aggravata in concorso (capo A, ascritto a tutti e tre gli imputati) e di tentata estorsione reato in concorso (capo B, ascritto al F.M. e alla C.F.).

Gli imputati, tramite difensore, hanno proposto ricorso per cassazione.

Ricorso nell’interesse di T.P..

Si censura, con unico motivo, la violazione di legge per erronea qualificazione giuridica del fatto di cui al capo A) ex art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen.

Il motivo è manifestamente infondato.

In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche successivamente alla introduzione della previsione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione giuridica del fatto è limitata ai soli casi — qui non ricorrenti — di qualificazione palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 3, n. 23150 del 17/04/2019, El Zitouni, Rv. 275971).

Ricorso cumulativo nell’interesse di F.M. e di C.F..

Si censura, con unico motivo, l’inosservanza della legge penale in ordine alla mancanza dei requisiti della sentenza previsti dall’art. 546 lett. e) cod. proc. pen. Il motivo è manifestamente infondato.

Costituisce principio costantemente affermato dalla Suprema Corte, in tema di patteggiamento, la sentenza richieda una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione — anche implicita — che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (cfr., Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202270; Sez. 1, n. 4688 del 10/01/2007, Brendolin, Rv. 236622). Nel caso di specie, la sentenza impugnata si è attenuta correttamente al suddetto principio escludendo espressamente la sussistenza di una delle cause di cui all’art. 129 cod. proc. pen.

Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila ciascuno a favore della cassa delle ammende

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno alla cassa delle ammende.