CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 10106 depositata il 16 marzo 2021
Reati tributari – Rifiuto di esibire la documentazione tributaria – Indisponibilità della documentazione – Successiva consegna – Occultamento e/o distruzione di documenti contabili ex art. 10 D.Lgs n. 74 del 2000 – Configurabilità – Responsabilità dell’amministratore
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza della Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto – del 7 ottobre 2019 è stata confermata la decisione del Tribunale di Taranto (giudizio abbreviato) del 28 novembre 2017, che aveva condannato Francesco Trombacca alla pena di anni 1 di reclusione per il reato di cui all’art. 10 d. lgs 74 del 2000, perché in qualità di amministratore unico […] al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, occultava e/o distruggeva tutti i documenti contabili della stessa relativi all’anno di imposta 2011, in modo da non consentire la ricostruzione degli affari o del loro volume.
2. L’imputato ha proposto ricorso in cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2. 1. Violazione di legge (art. 56 comma 3 cod. proc. pen.). Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, sulla responsabilità e sul mancato accertamento del ravvedimento operoso.
Il verbale dell’Agenzia delle Entrate (prodotto dalla difesa) evidenzia l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato in accertamento. Al momento dell’attività di ispezione della Guardia di Finanza il 17 aprile 2015 non veniva fornita la documentazione contabile, non avendone a tale data il ricorrente la disponibilità; tuttavia, in seguito recuperata la documentazione la stessa veniva consegnata all’Agenzia delle Entrate, prima della definizione dell’accertamento tributario. Tale concreto dato era ritenuto dalla Corte di appello irrilevante per la configurabilità del reato, con motivazione apodittica. Il ricorrente recuperava la documentazione solo in un secondo momento e la consegnava all’Agenzia che la valutava anche in relazione all’art. 52, comma 5, d.P.R. 633 del 1972. Il procedimento fiscale veniva definito con un accertamento con adesione, e i redditi erano ricostruiti esattamente in base alla documentazione consegnata, come espressamente riconosciuto dall’Agenzia delle Entrate (“Non ha costituito ostacolo alla ricostruzione dei redditi e del volume di affari della stessa società”).
L’Agenzia delle Entrate non è stata impedita, quindi, nella ricostruzione dei redditi; conseguentemente nessun evento pregiudizievole si è verificato. Per la configurabilità del reato la norma richiede il dolo specifico e l’impossibilità o difficoltà della ricostruzione dei redditi.
La Corte di appello poi omette qualsiasi motivazione relativamente alla desistenza volontaria ex art. 56, comma 3, cod. proc. pen.
2. 2. Omessa valutazione delle circostanze indicate con l’appello; contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, relativamente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Ha chiesto pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
3. Il ricorso risulta inammissibile perché i motivi di ricorso sono manifestamente infondati, generici, e ripetitivi dei motivi di appello, senza critiche specifiche alle motivazioni della sentenza impugnata. La decisione della Corte di appello (e la sentenza di primo grado, in doppia conforme) contiene adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente per il reato contestatogli rilevando la sussistenza del dolo e dell’elemento oggettivo del reato, in quanto al momento del controllo della Guardia di Finanza non erano esibite le scritture contabili obbligatorie per l’anno di imposta 2011 e l’imputato, del resto, non forniva nessun elemento di giustificazione; egli solo successivamente consegnava all’Agenzia delle Entrate la documentazione.
Il reato di pericolo si configura al rifiuto di esibire la documentazione tributaria richiesta per la ricostruzione dei redditi e l’occultamento risulta un reato permanente.
Infatti, “In tema di reati tributari, il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili di cui all’art. 10 del d. lgs n. 74 del 2000 costituisce un reato di pericolo concreto, che è integrato, nel caso della distruzione, dall’eliminazione della documentazione o dalla sua alterazione con cancellature o abrasioni, e, nel caso dell’occultamento, dalla temporanea o definitiva indisponibilità dei documenti, realizzata mediante il loro materiale nascondimento, configurandosi, in tale ultima ipotesi, un reato permanente” (Sez. 3, n. 46049 del 28/03/2018 – dep. 11/10/2018, CARESTIA CHRISTIAN, Rv. 27469702).
Basta, quindi, anche la temporanea indisponibilità della documentazione per la consumazione del reato. La successiva produzione della documentazione all’Agenzia delle entrate (il 17 marzo 2017) ha fatto solo cessare la permanenza del reato.
4. La desistenza volontaria ex art. 56, terzo comma, cod. pen. si può configurare solo nel tentativo, ovvero il delitto non deve essere consumato: “In tema di tentativo, ricorre l’ipotesi di desistenza volontaria solo qualora l’agente abbia ancora l’oggettiva possibilità di consumare il reato in quanto ancora nel pieno dominio dell’azione in atto. Fattispecie relativa al delitto di tentata estorsione” (Sez. 6, n. 40678 del 11/10/2011 – dep. 09/11/2011, P.M. in proc. Rinaldi, Rv. 25105801).
4. Del tutto generico il motivo sul riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche avendo la Corte di appello (unitamente alla decisione di primo grado) valutata la pena adeguata ai fatti e rilevato l’assenza di elementi positivi per il riconoscimento delle circostanze ex art. 62 bis cod. pen.
La Corte di appello valuta anche la tardiva consegna della documentazione rilevando come la stessa fosse solo una strategia per la definizione della controversia in sede tributaria (poi effettivamente definita con l’accertamento con adesione).
Del resto, «La decisione sulla concessione o sul diniego delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che nell’esercizio del relativo potere agisce con insindacabile apprezzamento, sottratto al controllo di legittimità, a meno che non sia viziato da errori logico-giuridici» (Sez. 2, n. 5638 del 20/01/1983 – dep. 14/06/1983, ROSAMILIA, Rv. 159536; Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013 – dep. 15/02/2013, P.G. in proc. La Selva, Rv. 254716; Sez. 6, n. 14556 del 25/03/2011 – dep. 12/04/2011, Beliuso e altri, Rv. 249731).
5. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
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