CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 10385 depositata il 18 marzo 2021
Omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali – Trattamento sanzionatorio – Rateizzazione della pena pecuniaria comminata a seguito di conversione della pena detentiva inflitta
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 26 febbraio 2020 la corte di appello di Milano confermava la sentenza del 13 marzo 2019 del tribunale di Milano con cui C.V. era stato condannato per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali ex art. 2 comma 1 bis D.L. n. 463/83 convertito nella L. 11.11.1983 n. 6 e smi.
2. Ha proposto ricorso per cassazione C.V., a mezzo del proprio difensore, avverso la suindicata sentenza della corte di appello, deducendo quattro motivi di impugnazione.
3. Con il primo motivo ha dedotto il vizio ex artt. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 2 comma 4 cod. pen. e comma 1 bis Dlgs. 211/94. Si rappresenta che considerando le diverse normative succedutesi nel tempo, alla luce dell’epoca dei fatti le ulteriori omissioni intervenute dopo la prima avrebbero dovuto essere poste in continuazione interna, come anche descritto nel capo di imputazione, con conseguente più favorevole trattamento sanzionatorio in presenza di talune mensilità già interessate dalla prescrizione, quali quelle del gennaio 2012 fino ad agosto 2012, rimanendo non prescritta solo la mensilità del settembre 2012. In ogni caso, ove si ritenesse più favorevole la normativa introdotta con Dlgs. n. 8/16, il reato dovrebbe ritenersi perfezionato e consumato nel mese in cui l’importo non versato, calcolato a decorrere dalla mensilità di gennaio dell’anno di riferimento, superi la soglia di punibilità. Qualificandosi tale reato non come unitario a consumazione prolungata come ritenuto dai giudici di merito bensì come reato istantaneo ad effetti eventualmente permanenti. Conseguentemente, le ulteriori omissioni realizzate dopo il superamento della soglia di legge, non contribuirebbero ad accentuare la lesione al bene protetto, da ritenersi pienamente raggiunta già al momento in cui l’importo omesso superi la quota di 10.000 euro. Tale superamento sarebbe avvenuto nel mese di gennaio, con conseguente prescrizione del reato.
4. Con il secondo motivo ha dedotto il vizio ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla dedotta carenza del dolo del reato. Sul punto la corte avrebbe fatto ricorso a clausole di stile, senza considerare la concreta situazione soggettiva del ricorrente, posto che lo stesso è stato titolare di una società che dal 2009 aveva affrontato una crisi economica – con successiva dichiarazione di fallimento intervenuta nel 2013 – oltre che situazioni critiche connesse a condotte di terzi, e si era adoperato per regolarizzare la propria posizione anche facendo ricorso a beni familiari, rinunziando a cospicue somme e risarcendo anche il fallimento. Così da trovarsi nell’impossibilità di assolvere ai propri obblighi tributari, con conseguente insussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
5. Con il terzo motivo ha dedotto il vizio ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla richiesta di applicazione dell’art. 131 bis cod. pen.
Con motivazione contraddittoria, da una parte la corte avrebbe respinto la deduzione circa l’intervenuta prescrizione di alcune mensilità rilevando come con l’intervenuta riforma il reato debba ritenersi unitario a consumazione prolungata, dall’altra avrebbe escluso la fattispecie sopra invocata sul rilievo dell’insussistenza del requisito della non abitualità del comportamento a fronte di omessi versamenti per nove mensilità. Si aggiunge che, anche a volere ritenere sussistente la continuazione e tenuto conto delle modalità della condotta, con versamento di circa 200.000 euro nelle casse della società, può applicarsi la fattispecie invocata in applicazione di conforme giurisprudenza di legittimità. E maggiormente laddove si considerasse invece il reato come unitario. Quanto al danno, si rappresenta come i contributi sarebbero stati pagati in epoca successiva.
6. Con il quarto motivo ha dedotto il vizio ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al quantum della pena e alla mancata concessione della rateizzazione della pena pecuniaria. La corte non avrebbe illustrato le ragioni per cui, pur applicando le attenuanti generiche ha applicato una pena ben lontana dal minimo edittale. Avrebbe poi escluso la rateizzazione della pena pecuniaria comminata a seguito di conversione della pena detentiva inflitta, senza illustrare elementi di supporto al rilievo della gravità della condotta e della personalità, indicate come circostanze ostative alla predetta rateizzazione. Né potrebbe rilevare in tal senso l’intervenuta condanna per bancarotta fraudolenta, cui avrebbe dovuto essere ricondotta la fattispecie contestata in questa sede.
Da tali considerazioni conseguirebbe la violazione rispettivamente degli artt. 133 e 133 ter cod. pen.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo è inammissibile. Si premette che in tema di contributi previdenziali ed assistenziali, l’art. 3, comma sesto, del D.Lgs n. 8 del 2016 ha riformato la fattispecie di cui all’art. 2 del D.L. n. 436 del 1983 – convertito, con modificazioni, in L. n. 638 del 1983 – disponendo la sanzione penale per la condotta di omesso versamento, da parte del datore di lavoro, delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti qualora l’importo superi la soglia di euro 10.000 annui; ne consegue che, ai fini della punibilità, non è rilevante l’eventuale già dichiarata prescrizione delle omissioni mensili ricomprese nell’annualità in contestazione, in quanto la soglia è ora riferita al periodo annuale ed è perciò indipendente da fatti estintivi diversi da quello, satisfattivo, del pagamento (Sez. 3, n. 14729 del 09/02/2016, Ratti, Rv. 266633)
La Corte d’appello si è attenuta a tale principio ed infatti, il reato previsto dall’art. 2, comma primo bis, D.L. 12 settembre 1983 n. 463, conv. in l. 11 novembre 1983, n. 638, di omesso versamento delle ritenute di importo superiore ai 10.000 euro, operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ha una struttura unitaria e la condotta può configurarsi anche attraverso una pluralità di omissioni, compiute nel periodo annuale di riferimento, che possono di per sé anche non costituire reato; ne consegue che la consumazione del delitto può essere istantanea o di durata e, in quest’ultimo caso, ad effetto prolungato sino al termine dell’anno in contestazione (Sez. 3, n. 35589 del 11/05/2016, Di Cataldo, Rv. 268115).
Da ciò deriva che, quanto ai fatti commessi prima della modifica della figura di reato in considerazione, intervenuta con l’art. 3, comma sesto, del D.Lgs n. 8 del 2016, sussistendo continuità normativa tra la previgente e la nuova disposizione, il superamento o meno della soglia va riferito all’annualità nel suo complesso, non potendo detrarsi i periodi per i quali, secondo la legge previgente, sarebbe maturata la prescrizione e, in tal modo, applicando in parte la vecchia legge (alle mensilità ratione temporis prescritte) e in parte la nuova (alla residua parte dell’anno le cui restanti mensilità non superino la somma di 10.000 euro), perché, così facendo, si procederebbe inammissibilmente a una combinazione delle disposizioni più favorevoli della nuova legge con quelle più favorevoli della vecchia, e ciò comporterebbe la creazione di una terza legge, diversa sia da quella abrogata, sia da quella in vigore; cosicché occorre applicare integralmente quella delle due che, nel suo complesso, risulti, in relazione alla vicenda concreta oggetto di giudizio, più vantaggiosa al reo (Sez. 3, n. 23274 del 10/02/2004, Wanderling, Rv. 228728).
Nel caso di specie, la Corte territoriale come anche il primo giudice, alla luce anche del trattamento sanzionatorio che non accenna ad alcuna continuazione tra le varie omissioni mensili, hanno applicato la nuova disciplina invece della previgente e di ciò il ricorrente non si è doluto, lamentandosi di tale scelta per la prima volta solo in questa sede, in assenza anche di specifico gravame sul punto, così formulando una censura che per il suo carattere di novità è inammissibile. Infatti, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017 (dep. 04/04/2017) Rv. 269632 – 01 Costa). Tale è in particolare il tema della individuazione, in concreto, e quindi da svolgersi solo dal giudice di merito, della disciplina più favorevole applicabile, con particolare riguardo in questo caso all’istituto della prescrizione.
2. Inammissibile è anche il secondo motivo. La corte, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, ha esaminato le circostanze dedotte per rappresentare la inimputabilità delle omissioni all’imputato, evidenziando come, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, lo stesso ha deliberatamente scelto di sottrarre le risorse disponibili all’adempimento degli obblighi previdenziali, così potendosi rinvenire il dolo del reato, come desumibile dall’accertato intervenuto pagamento degli stipendi ai dipendenti, previo autofinanziamento della società mediante l’illecita omissione (cfr. in tal senso da ultimo Sez. F – n. 23939 del 11/08/2020 Rv. 279539 – 01 MORETTI). Tanto anche in conformità con il principio per cui, ai fini invocati dalla difesa circa l’assenza di dolo, possono assumere rilievo solo circostanze di forza maggiore, postulanti fatti imponderabili, imprevisti e imprevedibili, come tali del tutto esulanti dalla condotta dell’agente e da qualsiasi sua scelta, così da rendere ineluttabile l’evento.
3. Anche il terzo motivo è inammissibile, a fronte di una motivazione che ha escluso l’invocata causa di non punibilità sul rilievo del notevole sforamento della soglia legislativamente prevista e dell’assenza del requisito di non abitualità a fronte di ben nove mensilità omesse: in conformità alle indicazioni di questa Suprema Corte secondo la quale, ai fini della applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131- bis cod. pen., in relazione al reato di omesso versamento dei contributi previdenziali, il giudice, per verificare la sussistenza del necessario requisito della non abitualità del comportamento, può prendere in considerazione il numero delle mensilità nelle quali la condotta omissiva si è verificata (cfr. Sez. 3, n. 30179 del 11/05/2018 Rv. 273685 – 01 Altobrando). Appare coerente con i limiti di applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. anche il richiamo all’intervenuta condanna per il reato della medesima indole di bancarotta fraudolenta.
4. Diversamente da quanto riportato nel quarto motivo, la corte ha espressamente motivato la scelta sanzionatoria, del resto contenuta, alla luce della entità, non certo irrisoria, del fatto e della pluralità delle omissioni. Risulta congruamente motivato anche il diniego della rateizzazione della pena pecuniaria, sul rilievo della mancata allegazione da parte del ricorrente – non contrastato in questa sede – del disagio economico emergente rispetto alla pena inflitta, oltre che in considerazione della gravità della condotta articolata in plurime omissioni, come già in precedenza chiaramente illustrata, del significativo importo omesso e della personalità del reo desumibile dal certificato penale. Rispetto a tale completa motivazione, immune da vizi, il ricorrente ha opposto censure meramente assertive, rappresentative di argomentazioni non correlate a quelle realmente formulate dalla corte, con cui quindi non ha provveduto a confrontarsi, così incorrendo anche in palesi difetti di specificità, causa di inammissibilità (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568)
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.