Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 10389 depositata il 20 marzo 2020
reati tributari – omessa dichiarazione – sequestro preventivo
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 29 maggio 2019 il Tribunale di Lucca, quale Giudice del riesame delle misure cautelari reali, ha rigettato la relativa richiesta proposta da M.D. nella qualità di titolare della ditta T.E. Petroli di M.D. – indagato per il reato di cui all’art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, stante l’omessa presentazione di dichiarazioni fiscali per gli anni 2016 e 2017 – nei confronti del decreto di sequestro preventivo del 12 aprile 2019 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, emesso per un complessivo ammontare di euro 399.278,03.
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su quattro complessi motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo, quanto all’omessa dichiarazione Iva per l’anno 2016, il ricorrente ha osservato che l’omessa dichiarazione non annullava il credito precedentemente maturato dal contribuente e, una volta fornita la prova della sussistenza del credito, l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto operare la compensazione di legge. In specie, era stata regolarmente presentata la dichiarazione Iva 2015 recante un credito di euro 129.721, ed in ogni caso sussisteva il diritto di vedere riconosciuto il proprio non contestato credito, atteso che comunque era stata presentata la relativa dichiarazione, e non vi era stata invece compensazione del credito attesa la successiva omissione dichiarativa. Del credito 2015, ed ai fini dell’applicazione della misura cautelare, andava pertanto tenuto conto.
2.2. Col secondo motivo, quanto all’applicazione del sistema dell’inversione contabile, esso avrebbe condotto all’esclusione del debito Iva quanto all’anno 2016 e, in relazione all’anno 2017, ad un debito inferiore alla soglia di punibilità, con la conseguente illegittimità della disposta misura cautelare.
2.3. Col terzo motivo, in conseguenza, il ricorrente ha sostenuto che non sussisteva neppure il fumus del delitto.
2.4. Col quarto motivo, infine, quanto all’omessa dichiarazione Irpef, non era stato tenuto conto di costi (personale, affitti e locazioni, utenze e servizi, ammortamenti) che comunque non erano evincibili dalla dichiarazione Iva, ma avevano in ogni caso adeguata documentazione ancorché non fossero stati compresi nelle scritture contabili. In ragione di ciò, non era stata superata la soglia di punibilità.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’annullamento con rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
4.1. Per quanto concerne il primo motivo di censura, correttamente il provvedimento impugnato ha osservato che, spirata la possibilità di invocare in detrazione il credito Iva apparentemente risultante in relazione al periodo d’imposta 2015, il ricorrente – che ha invero omesso la presentazione della dichiarazione Iva quanto all’anno d’imposta 2016 – avrebbe dovuto proporre istanza di rimborso per vedere riconosciute le proprie eventuali ragioni a norma dell’art. 30 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ed in tale sede sarebbe stata valutata la spettanza o meno del credito.
4.2. In relazione al secondo motivo, che va esaminato unitamente al terzo in ragione della stretta connessione esistente, anzitutto il Giudice per le indagini preliminari e quindi il Tribunale del riesame hanno inteso comunque accreditare al ricorrente l’Iva sugli acquisti a prescindere dal rispetto delle formalità e dei termini previsti dalla normativa fiscale, in tal modo operando una valutazione sostanziale del rilievo della condotta.
In relazione invece agli acquisti operati in regime di cd. reverse charge ovvero di inversione contabile, è nozione comune nella dottrina tributaria e nella pratica commerciale che il meccanismo di inversione contabile dell’Iva è nato come strumento finalizzato alla lotta contro le frodi sull’imposizione indiretta, in modo da impedire che chi effettua la cessione di un bene e chi lo acquista non versino l’imposta di valore aggiunto o ne chiedano il rimborso all’Erario.
Come è stato ricordato anche dall’ordinanza impugnata, senza il reverse charge il fornitore o venditore avrebbe emesso una fattura con Iva, che sarebbe stata versata dall’acquirente al fornitore, col successivo versamento della somma ad opera di quest’ultimo in favore dello Stato, e con detrazione da parte dell’acquirente.
In virtù invece dell’applicazione dell’inversione contabile, entrambe le operazioni vengono effettuate dall’acquirente, il quale infine addebiterà l’Iva sulla cessione al consumatore finale, in quanto soggetto passivo effettivo dell’imposta (come appare essere avvenuto in specie, cfr. pag. 10 del ricorso). In tal modo, neutralizzata l’operazione per l’acquirente (il quale ha evidenziato l’Iva sia in dare che in avere), non vi è spazio per una, ormai insussistente, detrazione.
Tenuto conto di ciò, pertanto, le operazioni contabili da un lato, ed il conseguente fumus dall’altro, non appaiono revocabili in dubbio nei loro aspetti anche quantitativi.
4.3. Per quanto invece concerne il quarto motivo di censura, in effetti il provvedimento impugnato ha sostenuto di avere tenuto in considerazione i costi documentati sostenuti dal contribuente come ricavabili dal Registro Iva. Va da sé, peraltro, che in tal modo non appaiono conteggiate le voci che in detti registri non sono comprese, e che il ricorrente ha inteso evidenziare in costi del personale, in costi per affitti e locazioni, in costi per utenze e servizi ed ammortamenti.
Al riguardo, pertanto, di siffatte voci non vi è traccia nell’ordinanza impugnata e quindi nella determinazione della base imponibile, laddove anzi non è spesa parola in proposito, benché lo stesso provvedimento (cfr. pag. 2) avesse dato atto della questione allorché era stato illustrato il contenuto della richiesta di riesame.
Infatti, ai fini della configurabilità dei reati in materia di Iva, la determinazione della base imponibile, e della relativa imposta evasa, deve avvenire solo sulla base dei costi effettivamente documentati, non rilevando l’eventuale sussistenza di costi non documentati, mentre è possibile tenere conto di questi ultimi nelle ipotesi di reati concernenti le imposte dirette (l’Iva è invero collocata in un sistema chiuso di rilevanza sovranazionale, che prevede la tracciabilità di tutte le fatture, attive e passive, emesse nei traffici commerciali, a nulla rilevando l’eventuale sussistenza di costi effettivi non registrati che, invece, possono essere considerati con riferimento alle imposte dirette, non vincolate al rispetto di stringenti oneri documentali)(Sez. 3, n. 53980 del 16/07/2018, Tirozzi, Rv. 274564; cfr. altresì Sez. 3, n. 38684 del 04/06/2014, Agresti, Rv. 260389).
In proposito, pertanto, l’ordinanza va annullata, con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Lucca, che dovrà procedere alle dovute verifiche tenendo presenti i principi appena richiamati.
5. Alla stregua dei rilievi che precedono, pertanto, l’ordinanza impugnata va annullata, con rinvio al Tribunale di Lucca per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Lucca per nuovo esame.
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