CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 10874 depositata il 30 marzo 2020
Modifica della misura cautelare degli arresti domiciliari – Autorizzazione a svolgere attività lavorativa presso l’azienda – Permanenza del pericolo, concreto e attuale, di reiterazione della condotta delittuosa – Effettiva sussistenza dello stato di assoluta indigenza ex art. 284, co. 3, c.p.p. – Incompatibilità con le esigenze di controllo
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza resa in data 16.9.2019, il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’appello cautelare, ha confermato il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza aveva rigettato l’istanza avanzata da I. S. volta ad ottenere la modifica della misura cautelare degli arresti domiciliari con l’autorizzazione a svolgere attività lavorativa presso l’azienda A.C.
A ragione della decisione, il Tribunale, dopo avere premesso che misura era stata applicata in relazione al reato di associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di reati di falso, ideologico e materiale, commessi per attestare, in vario modo, l’esistenza delle condizioni e dei presupposti necessari per ottenere la regolarizzazione di cittadini stranieri in violazione della normativa sulla immigrazione nonché in relazione a più reati fine e che l’appellante era stato condannato in primo grado alla pena di anni 5 mesi 10 giorni 20 di reclusione, osservava che permaneva il pericolo, concreto e attuale, di reiterazione della condotta delittuosa alla luce sia delle modalità e circostanze dei fatti reato accertati a carico dell’imputato sia della sua spiccata capacità a delinquere, desunta dai precedenti penali anche per violazioni della disciplina sull’immigrazione, e che detto pericolo poteva essere fronteggiato utilmente solo con la misura degli arresti domiciliari, valutata proporzionata alla pena inflitta, e non, invece, con altre misure meno afflittive. Quanto infine, all’autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio per svolgere attività lavorativa, il Tribunale precisava che, anche a prescindere dall’effettiva sussistenza dello stato di assoluta indigenza di cui all’art. 284, comma 3, cod. proc. pen., essa risultava in concreto del tutto incompatibile con le esigenze di controllo correlate al regime degli arresti domiciliari.
2. Avverso l’ordinanza I. S., per mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
2.1. Con il primo denuncia promiscuamente violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 272, 274 e 299 cod. proc. pen. I giudici della cautela avrebbero formulato il giudizio prognostico sul pericolo attuale e concreto di ricaduta nel reato senza osservare i parametri indicati dalla giurisprudenza di legittimità nella interpretazione dell’art. 274, comma 1 lett. c), come modificato dall’art. 2 della legge n. 47 del 2015; in particolare, avrebbero assunto,quale indice esclusivo del pericolo di reiterazione, la pericolosità sociale del reo, senza fare riferimento ad elementi fattuali indicativi dell’alta probabilità che allo stesso si presentino effettivamente occasioni per compiere ulteriori delitti della stessa specie di quelli per cui è stato applicato il titolo custodiale. Inspiegabilmente, non sarebbero state presi in considerazione dati pacificamente idonei ad escludere detta ultima eventualità, come l’arresto di tutti i pubblici ufficiali ed i professionisti coinvolti nelle operazioni illecite cui era dedita l’associazione criminale e la oggettiva impossibilità per il S. di reperire altre persone dotate delle necessarie qualifiche e della necessaria specializzazione per ripetere le condotte illecite, anche sfruttando le amicizie con altri immigrati bisognosi di essere regolarizzati. Non sarebbe stata neanche adeguatamente valorizzata la circostanza che il S. non era stato mai organicamente inserito in ambienti criminali, ma, come accertato con la sentenza di condanna, aveva solo occasionalmente aderito all’associazione delinquenziale contestata frequentando gli altri associati per ragioni amicali. Neanche i precedenti penali del S. sarebbero significativi, dimostrando che lo stesso in passato, tranne in una occasione in cui era stato fermato in auto con un immigrato irregolare, aveva commesso i reati di violazione della disciplina sull’immigrazione nella qualità di datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività di impresa.
2.2. Con il secondo motivo denunzia violazione e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 299, 284, comma 3, e 275 cod. proc. pen. L’ordinanza impugnata .a proposito dell’autorizzazione a svolgere attività lavorativa, non avrebbe considerato né la documentazione prodotta dal S., sicuramente idonea ad attestare non solo la situazione di assoluta indigenza del suo nucleo familiare, ma anche il requisito delle indispensabili esigenze di vita (legate all’assenza di redditi della moglie e all’esigenza di provvedere al mantenimento di cinque figli in età scolare), né la disponibilità dello stesso ad adeguarsi agli orari e ai limiti imposti dal giudice con la chiesta autorizzazione onde consentire il più agevole controllo da parte delle forze dell’ordine.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti e comunque manifestamente infondati.
2. Va in premessa osservato che, in tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica di sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (ex art. 273 cod. proc. pen.) e delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.) deve riscontrare, nei limiti della devoluzione, la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non può intervenire nella ricostruzione dei fatti né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori a meno che lo stesso sia manifestamente illogico o irrazionale. Di conseguenza, non possono ritenersi ammissibili le censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvono in realtà nella sollecitazione a compiere una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito.
3. i 3 motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, propongono censure non in linea con il contenuto del provvedimento impugnato, in parte meramente confutative o versate in fatto nei termini chiariti in premessa.
L’odierno ricorrente non ha chiesto al Giudice per le indagini preliminari la revoca della misura degli arresti domiciliari, deducendo l’insussistenza delle esigenze cautelari, ma una modifica delle condizioni della misura in atto applicatagli, con la concessione dell’autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio coatto per svolgere, dalle ore 14 alle ore 22, l’attività di commercio di autovetture meglio specificata nella istanza deposita in data 9.8.2019 (acquisto in conto vendita di autovetture, trasporto presso la carrozzeria e rivendita delle stesse tramite internet nonché disbrigo delle relative pratiche amministrative, soccorso stradale). Egli, conseguentemente, prima con l’appello e, poi, con il presente ricorso, può dolersi unicamente della ritenuta incompatibilità o inadeguatezza della chiesta autorizzazione a svolgere attività lavorativa rispetto alla natura e all’intensità del pericolo di recidivanza, comunque ritenuto persistente. D’altra parte, i giudici dell’appello cautelare, stante la natura devolutiva del giudizio previsto dall’art. 310 cod. proc. pen. e la conseguente limitazione della loro cognizione, non superabile ex officio, entro il solco segnato non solo dai motivi dedotti dall’impugnante, ma anche dal «decisum» del provvedimento gravato, per quanto di interesse in questa sede potevano legittimamente occuparsi non della questione relativa alla sussistenza o meno di esigenze cautelari, attuali e concrete, ma esclusivamente della loro natura ed intensità al solo fine di valutare la correttezza o meno del rigetto della richiesta di modifica del regime degli arresti domiciliari nei limiti segnati dal provvedimento appellato (Sez. 1, n. 43913 del 02/07/2012, Xu, Rv. 253786).
Tanto posto, non vi è dubbio che il Tribunale, seguendo un iter argomentativo logico, abbia non solo delineato un pericolo di recidivanza particolarmente intenso, ma lo abbia, anche esplicitamente, ritenuto idoneo a giustificare il rigetto delle chieste modifiche del regime degli arresti domiciliari con l’allontanamento prolungato dell’imputato dal domicilio, sia pure finalizzato a consentire all’arrestato lo svolgimento di attività lavorativa; ha, infatti, ritenuto esistente, a prescindere dalla situazione di indigenza del suo nucleo familiare e di altre indispensabili esigenze di vita, il rischio concreto che il S., il quale ha dimostrato nel recente passato una considerevole abilità nel settore delle falsificazioni ed ha goduto per un lungo periodo di una rete di conoscenze specie nella pubblica amministrazione, nel corso e in occasione dell’attività lavorativa eventualmente autorizzata, possa porre in essere nuove ed ulteriori condotte di falso, approfittando dell’allentamento del regime dei controlli. Correttamente detto specifico rischio è stato desunto, oltre che dai precedenti penali, specifici e no, del S., dalla gravità dei reati cautelati per cui è intervenuta condanna, ossia la partecipazione ad un’associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di reati di falso, ideologico e materiale, commessi per attestare, in vario modo, l’esistenza delle condizioni e dei presupposti necessari per ottenere la regolarizzazione di cittadini stranieri in violazione della normativa sulla immigrazione nonché la consumazione di più reati fine. Dalla ricostruzione dei fatti oggetto della decisione di merito, era, infatti, emerso che l’imputato non solo era al vertice dell’organizzazione criminale, rimasta operativa nel territorio per un periodo prolungato di tempo, ma che, in tale qualità, al fine di eseguire il programma delinquenziale, aveva mantenuto stabili rapporti con pubblici ufficiali ed altri soggetti coinvolti nelle attività illecite, così acquisendo una rete di conoscenze ed una comprovata abilità nella falsificazione da rendere irrilevante la disarticolazione del sodalizio criminale,. anche con l’arresto dei principali protagonisti della vita associativa.
La difesa ricorrente rispetto a dette ineccepibili valutazioni, invero, oppone considerazioni di segno contrario, non solo implicanti apprezzamenti di merito ed inidonee, sul piano logico, a metterle in crisi, ma che non considerano nemmeno l’applicazione nel caso in esame – in cui il S. è chiamato a rispondere del reato di associazione a delinquere finalizzata al compimento di più delitti di cui all’art. 12 TU immigrazione (reato compreso nell’elenco di cui art. 51 comma 3 bis cod. proc. pen) – della presunzione relativa prevista dall’art. 275, comma 3 cod. proc. pen., sicché il giudice della cautela non deve motivare in positivo sulla sussistenza delle esigenze cautelari, ma deve prendere in esame gli elementi, anche addotti dalla difesa, da cui risulti la loro insussistenza così da rendere inoperante la presunzione normativa.
4. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro tremila.
5. La cancelleria curerà la trasmissione del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario in cui è ristretto il ricorrente, nel rispetto dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
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