CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 11034 depositata il 13 marzo 2018
Tributi – Dichiarazioni – Evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto – Violazioni – Sanzioni
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 17.3.2016 la Corte di Appello di Firenze, a parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Livorno, ha ridotto ad un anno di reclusione la pena inflitta a R.S. ritenuto colpevole dei reati di cui all’art. 2 ed 8 d.lgs. 74/2000 per aver nella qualità di legale rappresentante della B. s.r.l. utilizzato fatture inesistenti al fine di evadere le imposte IRES ed IRAP e l’imposta sul valore aggiunto dell’anno 2009 per complessivi € 49.858 e per aver nella qualità di legale rappresentante della B.V. e s.r.l. emesso fatture per operazioni inesistenti per importi pari ad € 97.000, oltre IVA al fine di consentire alla B. l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Avverso la suddetta sentenza l’imputato ha proposto, per il tramite del difensore, ricorso per Cassazione articolando quattro motivi. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 9 d. Igs 74/2000, che coniugandosi nella sua persona la posizione di emittente e di utilizzatore delle false fatture, deve escludersi, in conformità a quanto ritenuto dalla giurisprudenza e dalla dottrina maggioritarie, il concorso tra i reati di cui agli artt. 2 ed 8 d.lgs. 74/2000 attesa peraltro l’identità del periodo di imposta in applicazione dell’art. 9, espressione del principio dell’assorbimento fissato al fine dell’irrogazione di una pena congrua. Sostiene in sintesi il ricorrente che in tal caso, essendo l’un reato prodromico all’altro, occorre individuare il reato più grave quale fattispecie esaustiva, risultando quello restante assorbito dal primo, con le ineludibili conseguenze in punto di pena.
2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 163 c.p. e al vizio motivazionale, che del tutto incongruo, a fronte della propria condizione di incensurato, è il riferimento a pendenze per fatti bagattellari in precedenza commessi non accertati, sia perché in contrasto con la funzione rieducatrice della pena che deve essere tesa alla rieducazione del reo e non alla sua anticipazione per fatti che potrebbero non sfociare in una sentenza di condanna, sia perché in contrasto con il principio di presunzione di innocenza.
3. Con il terzo motivo deduce, in relazione alla carenza motivazionale, che nessuna valutazione sia stata effettuata in relazione al valore di mercato del bene immobile confiscato che doveva essere rapportato al valore dell’evasione contestatagli, nulla evincendosi al riguardo né dalla sentenza impugnata né da quella di primo grado, peraltro neppure richiamata.
4. Con il quarto motivo contesta in relazione al vizio di cui all’art. 606 lett. e) c.p.p. l’insussistenza del dolo specifico, essendo la finalità di evadere le imposte, cui doveva essere orientata la condotta incriminata, esclusa dal fatto che entrambe le società amministrate dall’imputato fanno parte dello stesso gruppo, la cui società capo aveva presentato per l’anno di imposta cui è riferita l’imputazione un consolidato fiscale nazionale, ovverosia una dichiarazione di imposta unica nella quale rientrano tutti gli utili e tutte le perdite delle varie società del gruppo, con un’unitaria liquidazione di imposta. In tale specifica ipotesi è esclusa la possibilità per ciascuna delle società del gruppo di conseguire un vantaggio proprio venendo questo utilizzato da altra società del gruppo che lo compensa con gli eventuali crediti di imposta, senza che alcuna motivazione sia stata resa sul punto.
Considerato in diritto
1. Non può essere ritenuto meritevole di accoglimento il primo motivo fondato su una fuorviante interpretazione dell’art. 9 d.lgs. 74/2000. Secondo l’impianto del decreto legislativo in esame l’emissione di fatture per operazioni inesistenti è ipotesi autonoma e distinta da quella, ad essa speculare, dell’utilizzazione fraudolenta delle medesime fatture che, trasposte nelle dichiarazioni dei redditi o sul valore aggiunto, consentono un illecito risparmio di imposta.
Quantunque le due ipotesi delittuose siano caratterizzate da un’evidente complementarietà, che si manifesta sia sotto il profilo della condotta materiale, atteso che all’emissione del documento fittizio corrisponde la relativa ricezione ed il conseguente utilizzo in dichiarazione, sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo posto che al fine di consentire a terzi l’evasione corrisponde il dolo specifico di evasione in capo all’utilizzatore, sia sotto il profilo sanzionatone attesa l’identità delle pene in ragione tanto dei perniciosi effetti sul gettito tributario quanto delle significative interferenze nelle funzioni di accertamento degli organi competenti, ciò nondimeno le due condotte criminose risultano, a differenza della unificazione normativa operata nella previgente l. 516/1982 che le racchiudeva entrambe nell’art. 4 lett. d), ontologicamente incompatibili nelle rispettive strutture precettive, così da escludere qualsivoglia possibilità di concorso dell’emittente con l’utilizzatore. La responsabilità penale conseguente alla violazione del precetto tanto dell’art. 2 quanto dell’art. 8 è sempre una responsabilità diretta, tanto è vero che secondo interpretazione giurisprudenziale univoca per l’emittente la successiva utilizzazione della fattura inesistente ai fini della dichiarazione fraudolenta costituisce un post factum penalmente non rilevante, così come l’emissione della fattura falsa rappresenta per l’utilizzatore un antecedente prodromico alla successiva condotta di evasione, ma altrettanto privo di pregio penale.
E’ proprio la possibile interpretazione in chiave di complementarietà tra le due fattispecie che ha indotto il legislatore ad introdurre un esplicito divieto: l’art. 9 del decreto 74/2000, nel fissare un’esplicita deroga ai principi generali in tema di concorso di persone nel reato disciplinato dagli artt. 110 ss. cod. pen., dispone che l’utilizzatore non possa essere chiamato a concorrere col diverso soggetto che ha accettato di provvedere all’emissione delle fatture inesistenti necessarie alla successiva realizzazione della frode che l’utilizzatore intende concretizzare mediante la presentazione di dichiarazioni infedeli e, di converso, che la persona che ha emesso le fatture inesistenti non possa essere chiamata a rispondere a titolo di concorso con la diversa condotta di utilizzazione posta in essere dal soggetto che le fatture ha ricevuto, iscritto in contabilità e incluso nella dichiarazione annuale.
Pertanto il divieto imposto dall’art. 9, presupponendo la diversità delle persone fisiche dell’emittente e dell’utilizzatore, non potrebbe mai trovare applicazione nella fattispecie in esame in cui la persona fisica che procede all’emissione delle fatture oggettivamente inesistenti e alla loro utilizzazione nelle dichiarazioni di imposta è la medesima. Risulta infatti dall’impugnata sentenza che l’imputato non era un concorrente in reati materialmente commessi da altri, bensì il soggetto che, da un lato, ha direttamente prodotto le fatture false, quale legale rappresentante o amministratore di fatto di una società, e, dall’altro, ha direttamente indicato tali fatture quali elementi passivi fittizi nella dichiarazione annuale di un’altra società, della quale era del pari amministratore Come già affermato da questa Corte ciò che detta disposizione intende evitare non è la “doppia” punibilità della medesima condotta sostanziale, ma la punibilità della medesima persona una volta a titolo diretto per la propria condotta di utilizzazione delle fatture inesistenti e una seconda volta per concorso nella condotta di emissione delle medesime fatture posta in essere da altri, e viceversa (Sez. 3, n. 19025 del 20/12/2012 – dep. 02/05/2013, Cetti Serbelloni, Rv. 255396; Sez. 3, n. 19247 del 08/03/2012 – dep. 21/05/2012, P.M. in proc. Desiati e altro, Rv. 25254501).
2. Infondato è anche il secondo motivo.
Il diniego, così come la concessione della sospensione condizionale della pena, la cui ratio è sottesa alla tutela di superiori esigenze sociali a tutela della collettività, mirando l’istituto, attraverso la prospettata minaccia di esecuzione della pena inflitta, a distogliere il reo dalla commissione di ulteriori reati, è inscindibilmente connesso ad un giudizio prognostico sul futuro comportamento dell’imputato, da effettuarsi sulla base degli elementi di cui all’art. 133 c.p. (ex multis Sez. 2, Sentenza n. 37670 del 18/06/2015 – dep. 17/09/2015, Cortopassi Rv. 264802).
Pertanto pur essendo la condizione di incensuratezza dell’imputato un elemento di indubbia valenza positiva ai fini del suddetto giudizio prognostico, il giudice può ciò nondimeno pervenire al diniego del beneficio individuando elementi di valutazione di segno contrario che ben può trarre dalla sussistenza di pendenze per essere egli(come nella specie(inquisito per analoghi fatti, in quanto espressione della condotta del reo antecedente al reato e significativi della sua personalità. Del resto è stato espressamente affermato da questa Corte che il giudizio prognostico negativo circa la futura astensione del soggetto dalla commissione di nuovi reati sulla capacità a delinquere dell’imputato possa essere desunto in via esclusiva o prevalente da precedenti giudiziari non definitivi (Sez. 3, n. 44458 del 30/09/2015 – dep. 04/11/2015, Pomposo, Rv. 265613, in motivazione essendo stato precisato che l’utilizzazione, ai fini del diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, della posizione di indiziato di altro reato a carico dell’imputato, non contrasta con il principio della presunzione di innocenza dello stesso sino alla condanna definitiva, rilevando esclusivamente ai sensi e per gli effetti dell’art. 133, comma secondo, cod. pen.).
3. In relazione al terzo motivo, va in primo luogo rilevato che le censure svolte, con cui viene contestata la mancata valutazione del prezzo di mercato dell’immobile confiscato, non risultano aver costituito motivo di appello, nel quale l’imputato si è limitato a richiamare “quanto delineato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza del 5.3.2014 n.10561”, senza ulteriori precisazioni o contestazioni. A tale rilievo, che comporta ex se l’inammissibilità del motivo in esame in forza del combinato-disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen., il quale trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame, venendo altrimenti meno la funzione propria del sindacato di legittimità cui è sotteso il giudizio demandato a questa Corte (Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012 – dep. 07/03/2013, Bonaffini, Rv. 256631; Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013 – dep. 02/07/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577), si aggiunge il fatto che trattasi di censure del tutto generiche: non è infatti ammissibile la contestazione di un’ipotetica sproporzione fondata esclusivamente sulla mancata stima dei beni sottoposti a sequestro, di cui neppure il ricorrente è in grado di indicare il valore, occorrendo invece un’esplicita censura che specifichi gli elementi da cui desumere una evidente violazione del principio di proporzionalità.
4. In ordine al quarto motivo si osserva quanto segue.
La disciplina del consolidato nazionale di cui all’art. 117 T.U.I.R., costituente così come denominata dal legislatore una “tassazione di gruppo”, che consente di determinare in modo aggregato la base imponibile, ai fini dell’imposizione diretta, da parte di una pluralità di società tra loro avvinte da un rapporto di controllo, prevede che ciascuna società aderente al consolidato, compresa la consolidante, presenti una propria dichiarazione (Modello Unico) per la determinazione del proprio reddito (o perdita) fiscale. La consolidante si limita a presentare un’ulteriore dichiarazione (Modello CNM) che riassume la somma algebrica dei redditi e delle perdite prodotti dalle società facenti parte del gruppo provvedendo altresì alla liquidazione dell’imposta dovuta all’Erario. E’ evidente che solo le dichiarazioni presentate dalle società singolarmente considerate possono rientrare nella fattispecie dell’art. 2 d.lgs. 74/2000 in quanto unicamente in queste dichiarazioni sono contenuti eventuali elementi passivi fittizi derivanti da utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Ne consegue che rimane fuori dal fatto tipico penalmente rilevante la dichiarazione “di consolidato” (modello CNM) presentata dalla controllante: la dichiarazione consolidata non può avere, al suo interno, né “elementi passivi fittizi” né “elementi attivi inferiori a quelli effettivi”, atteso che tali elementi altro non sono che le voci di costo e di ricavo (in senso lato) che partecipano alla quantificazione di “quel” reddito imponibile che verrà poi fatto confluire nella dichiarazione consolidata. Dunque, per una ragione che potremmo definire “congenita”, la dichiarazione consolidata è strutturata in modo tale da risultare influenzata da un’eventuale indicazione di elementi passivi fittizi che, tuttavia, è avvenuta a monte, nella sola dichiarazione (Modello Unico) relativa alla consolidata. L’unica dichiarazione, si ribadisce, a risultare tipica ex art. 2.
La circostanza che le due società, quella emittente e quella utilizzatrice fossero in consolidato fiscale nazionale ai fini dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche comporta, pertanto, la determinazione sul piano esclusivamente fiscale di un reddito complessivo globale corrispondente alla somma algebrica dei redditi complessivi netti di ciascuna società aderente al consolidato. Ciò tuttavia non esclude il reato ex art. 2 d. Igs. 74/2000 in quanto rimane fermo che la dichiarazione fiscale della società utilizzatrice delle fatture emesse dalla B. sia stata inficiata da elementi passivi fittizi per essersi avvalsa, per l’appunto, di fatture relative ad operazioni inesistenti registrata nelle scritture contabili obbligatorie, consumandosi il reato attraverso la presentazione all’Agenzia delle Entrate della dichiarazione fiscale particolare relativa alla società rientrante nel perimetro di consolidamento.
Ancor più evidente è la sussistenza del reato ex art. 8 d.lgs. 74/2000 da parte dell’imputato quale amministratore della B., società emittente delle fatture per operazioni inesistenti, il quale si perfeziona con l’emissione di fatture o altri documenti ideologicamente falsi prescindendo dall’effettivo uso che questi o terzi ne potrà fare, mero post-factum privo di rilievo penale e dunque, indipendentemente dalla dichiarazione fiscale sottoforma di consolidato.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Segue a tale esito la condanna del ricorrente, a norma dell’art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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