CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 11138 depositata il 15 marzo 2023

Verifica fiscale – Induzione indebita e concussione – Frasi intimidatorie – Contesto ambientale – Prescrizione del reato – Annullamento

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 15 marzo 2022 la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado, che condannava (…) alla pena di mesi sei di il reato di cui all’art. 319-quater cod. pen., per essere stato, quale rappresentante legale di “(…) s.r.l.”, indebitamente indotto da (…), separatamente giudicato, a corrispondergli la somma in contanti di euro mille, al termine di una verifica fiscale da lui condotta presso la predetta società.

2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, deducendo, con un primo motivo, violazioni di legge e vizi della motivazione .in ordine alla configurabilità degli elementi costitutivi del reato di induzione indebita in luogo della diversa fattispecie di concussione, là dove: a) è stata erroneamente esclusa la natura intimidatoria delle frasi rivolte dal pubblico ufficiale al privato, non avendo i Giudici di merito considerato il profilo della prospettata prosecuzione sine die delle verifiche fiscali, in un contesto in cui il destinatario dell’accertamento era in stato di soggezione e si trovava dinanzi ad operazioni ispettive e a frequenti richieste di documentazione che, di fatto, paralizzavano l’attività d’impresa; b) non sono state valorizzate, sotto tale profilo, specifiche emergenze probatorie sintomatiche dell’utilizzo delle attività di accertamento fiscale come strumento di persuasione, sì da non lasciare alcuna possibile alternativa all’imputato; e) si è affermato, senza elementi di prova, che il privato si sarebbe mostrato disponibile ad accogliere la sollecitazione del pubblico ufficiale; d) nell’assenza di un tornaconto personale per l’imputato, è stata contraddittoriamente ritenuta la dimostrazione del fatto che la reazione alla sollecitazione del pubblico ufficiale sarebbe rimasta priva di conseguenze negative;

e) l’accettazione della sollecitazione sarebbe autonomamente avvenuta pur in assenza di un vantaggio personale correlabile alla dazione, tenuto conto del fatto che alcuna criticità era possibile individuare sul piano fiscale; f) non è stato valutato l’esito favorevole di un ricorso proposto dall’imputato avverso l’accertamento tributario, ciò che ulteriormente dimostrava l’assenza di alcuna effettiva utilità nell’adesione alla richiesta del pubblico ufficiale; g) è stata ignorata la ricostruzione dei fatti prospettata dall’imputato.

2.1. Con un secondo motivo si deducono analoghi vizi in ordine alla ritenuta esclusione della configurabilità del diverso reato di concussione, per avere la sentenza impugnata erroneamente interpretato ed applicato, nel peculiare contesto del caso di specie, i criteri direttivi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla individuazione del corretto discrimen rispetto all’ipotesi di induzione indebita, avuto riguardo al fatto che nessuna prospettiva di tornaconto personale poteva esservi in favore del ricorrente e che nessuna particolare anomalia o criticità da “risolvere” gli era stata indicata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato e va accolto entro i limiti e per gli effetti qui di seguito esposti e precisati.

2. La sentenza impugnata ha escluso che nel caso in esame sia emersa una patente condotta di coartazione del privato, riconoscendo, al contempo, che nei suoi confronti è stata posta in essere una “evidente azione di manipolazione”, per il fatto di essersi il pubblico ufficiale limitato ad esprimere una blanda allusione alla necessità di rivedersi dopo la verifica ispettiva in corso, con la successiva richiesta di elargire in suo favore un “obolo” di indeterminato valore, in presenza di un interesse del privato ad accogliere tale sollecitazione pur di evitare i disagi connessi al protrarsi dell’accertamento fiscale in corso presso la società da lui amministrata.

3. Deve preliminarmente richiamarsi, al riguardo, il pacifico insegnamento di questa Suprema Corte (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258470; Sez. 6, n. 32594 del 14/05/2015, Nigro, Rv. 264424; Sez. 6, n. 9429 del 02/03/2016, Gaeta, Rv. 267277), secondo cui il delitto di concussione di cui all’art. 317 cod. pen., nel testo modificato dalla legge n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319-quater cod. pen.,, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico.

Con la richiamata decisione la Corte ha inoltre precisato che, nei casi ambigui, l’indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato, all’esito di un’approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest’ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta.

4. Di tale quadro di principi la sentenza impugnata non ha fatto buon governo, non avendo adeguatamente approfondito, in relazione all’applicazione del su indicato criterio discretivo, le diverse implicazioni sottese alle specifiche emergenze probatorie delle quali ha pur dato conto nella motivazione, là dove ha mostrato di ritenerle, per certi aspetti, sintomatiche dell’utilizzo delle attività di accertamento fiscale come strumento di persuasione, anche indiretta, nei confronti dell’imputato, con il rischio di non lasciargli alcuna possibilità di opzione in vista di una diversa alternativa comportamentale.

Rilevano, al riguardo, non solo il tenore delle frasi intimidatorie cui fa esplicito riferimento la stessa formulazione del tema d’accusa, ma le stesse peculiarità del contesto ambientale in cui sono state pronunciate, in quanto connotato dalla prospettata prosecuzione di una verifica fiscale nell’azienda, pur a fronte della dedotta assenza di un vantaggio personale direttamente correlabile alla sollecitata dazione, in ragione del fatto che alcuna particolare criticità sembrava essere stata individuata all’esito del relativo controllo fiscale.

Si è inoltre affermato, senza il supporto di specifici elementi di prova, che il privato si sarebbe mostrato disponibile ad accogliere la sollecitazione del pubblico ufficiale, ritenendo apoditticamente dimostrata la circostanza di fatto che la sua reazione alla sollecitazione del pubblico ufficiale sarebbe rimasta priva di conseguenze negative.

Né risulta essere stata puntualmente valutata l’ulteriore circostanza di fatto relativa al prospettato esito favorevole di un ricorso che sarebbe stato proposto dall’imputato avverso l’accertamento tributario, ciò che, in tesi, avrebbe ulteriormente posto in rilievo l’assenza di alcuna effettiva utilità nella scelta di aderire alla richiesta avanzata dal pubblico ufficiale.

5. Ciò posto, occorre tuttavia considerare che, a fronte di un ricorso non inammissibile, il rinvio ad un successivo giudizio di merito per colmare le su indicate lacune della motivazione risulterebbe inutiliter datum a fronte dell’intervenuta maturazione del termine prescrizionale necessario per la declaratoria di estinzione del reato.

Avuto riguardo, infatti, al termine massimo di prescrizione previsto per il reato de quo dagli artt. 157, 158 e 161, secondo comma, cod. pen. (pari ad anni sette e mesi sei), decorrente nel caso di specie dalla data di consumazione del 1 dicembre 2014 (avendo i Giudici di merito fatto riferimento, nel capo di imputazione, ad una data successiva al 25 novembre 2014, e, nella motivazione, alla generica indicazione di una condotta induttiva temporalmente collocata qualche ” … qualche giorno prima delle festività natalizie… ” di quell’anno), il reato deve ritenersi estinto per prescrizione alla data finale del 24 agosto 2022 (aggiungendo allo spirare del su richiamato termine massimo, verificatosi il giorno 1 giugno 2022, giorni diciannove di sospensione per incombenti processuali ed ulteriori giorni sessantaquattro di sospensione per l’emergenza epidemiologica legata alla diffusione del virus cd. “covid-19”, sì da raggiungere il termine finale testé indicato).

6. Sulla base delle su esposte considerazioni s’impone, conclusivamente, la declaratoria di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.