CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 11258 depositata il 2 aprile 2020, n. 11258
Omesso versamento delle ritenute contributive – Sussistenza del dolo richiesto dalla norma incriminatrice – Oggettiva impossibilità dovuta alle difficoltà economiche dell’impresa – Risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti – Non rileva
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza dell’11 ottobre 2018, la Corte d’appello di Trento – sez. dist. di Bolzano, accogliendo in parte il gravame proposto dall’odierno ricorrente, per quanto qui interessa ha confermato la dichiarazione di responsabilità del medesimo in ordine ad alcuni episodi, non ancora prescritti, di omesso versamento delle ritenute contributive e previdenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti della società di cui egli era legale rappresentante.
2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione lamentando, con unico motivo, l’erronea applicazione degli artt. 42 cod. pen. e 533, comma 1, 546, comma 1, lett. c), 238 bis e 236 cod. proc. pen., nonché il vizio di motivazione, per violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio a fronte di una chiara ipotesi alternativa di ricostruzione del fatto come non sorretto da dolo, emersa in altro procedimento penale, definito con sentenza passata in giudicato, per l’analogo reato di cui all’art. 10 bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 contestato come commesso in veste di legale rappresentante della stessa società nel medesimo periodo. Questa sentenza aveva assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato ritenendo che l’omissione contributiva non fosse dolosa, bensì conseguente ad oggettiva impossibilità dovuta alle difficoltà economiche dell’impresa. La sentenza impugnata, violando l’art. 238 bis cod. proc. pen., non aveva tenuto conto di tale accertamento, illogicamente rilevando che la sentenza si riferiva ad un diverso reato e affermando che nel caso qui sub iudice l’imputato aveva effettuato una scelta consapevole. Si era inoltre illogicamente ritenuto irrilevante il fatto che l’imputato avesse ripianato pregressi debiti nei confronti dell’INPS, in base ad un pagamento rateale concordato, e avesse dato incarico al proprio consulente di presentare ulteriore domanda di rateazione per il debito fatto oggetto di contestazione nel presente processo, senza che ciò fosse stato possibile per l’intervenuto fallimento della società.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.
Diversamente da quanto osserva il ricorrente, la Corte territoriale ha dato esaustiva e logica motivazione circa l’irrilevanza della crisi economica della società di cui l’imputato era legale rappresentante in ordine alla sussistenza del dolo richiesto dalla norma incriminatrice che punisce il mancato versamento delle ritenute assistenziali e previdenziali, senza che inducesse in contrario avviso l’apparentemente diverso accertamento compiuto con la sentenza passata in giudicato invocata dall’appellante. La situazione di crisi economica rappresentata dal ricorrente – trascinatasi per anni – non potrebbe infatti integrare gli estremi della forza maggiore, né escludere l’elemento soggettivo, a nulla peraltro rilevando, rispetto al giudizio sulla consumazione del reato, le successive condotte volte a dilazionare il debito contributivo.
1.1. In particolare, la sentenza impugnata richiama e correttamente applica i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, essendo pacifico che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (art. 2 d.l. n. 463 del 1983, conv. nella legge n. 638 del 1983) è integrato, siccome è a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, sicché non rileva, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti (Sez. 3, n. 3705 del 19/12/2013, dep. 2014, Casella, Rv. 258056). Né rileva il fatto che il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (Sez. 3, n. 43811 del 10/04/2017, Agozzino, Rv. 271189). Questi principi sono stati anche di recente più volte ribaditi (cfr., ex multis: Sez. 3, n. 51660 del 09/10/2019, Moretti Cuseri; Sez. 3, n. 24147 del 14/03/2019, Petrocco; Sez. 3, n. 6934 del 23/11/2017, dep. 2018, Locatelli; Sez. 3, n. 57868 del 25/10/2017, Brundo).
1.2. Occorre, peraltro, evidenziare che l’obbligazione nei confronti dell’istituto previdenziale penalmente sanzionata dal reato in esame è funzionale al soddisfacimento di interessi della medesima natura di quelli a cui risponde l’obbligo della corresponsione delle retribuzioni, trattandosi di condotte riconducibili, la prima, alla tutela dei diritti riconosciuti e garantiti ai lavoratori dall’art. 38, secondo comma, Cost. e, la seconda, alla tutela di quelli ai medesimi assicurati dall’art. 36, primo comma, della Carta fondamentale. Proprio per questo la giurisprudenza di questa Corte più sopra citata ha individuato nell’imprenditore-datore di lavoro il dovere di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare. Del resto – si è ancor più di recente affermato – nel conflitto tra il diritto del lavoratore a ricevere i versamenti previdenziali e quello alla retribuzione, va privilegiato il primo in quanto è il solo a ricevere, secondo una scelta del legislatore non irragionevole, tutela penalistica per mezzo della previsione di una fattispecie incriminatrice (Sez. 3, n. 36421 del 16/05/2019, Tanghetti, Rv. 276683, che ha conseguentemente escluso che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali potesse considerarsi scriminato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., dalla scelta del datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, di destinare le somme disponibili al pagamento delle retribuzioni).
Queste osservazioni ulteriormente giustificano l’osservazione contenuta nella sentenza impugnata circa la non identità del caso di specie rispetto a quello dell’imprenditore che, a causa delle difficoltà economiche, ometta il versamento di ritenute certificate o dell’IVA, sì che non è assolutamente illogica la valutazione compiuta nella sentenza impugnata circa l’irrilevanza, anche per questa ragione, dell’accertamento contenuto nella pronuncia irrevocabile invocata dall’imputato.
1.3. D’altronde, se è ben vero che la sentenza definitiva resa in altro procedimento penale, acquisita ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., può essere utilizzata non soltanto in relazione al fatto storico dell’intervenuta condanna o assoluzione ma anche ai fini della prova dei fatti in essa accertati, resta ferma l’autonomia del giudice di valutarne i contenuti unitamente agli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio, in rapporto all’imputazione sulla quale è chiamato a pronunciarsi (Sez. 2, n. 52589 del 06/07/2018, Tutinelli, Rv. 275517). Detta acquisizione, invero, non spiega alcun automatismo nel recepimento e nell’utilizzazione a fini decisori dei fatti e dei relativi giudizi contenuti nei passaggi argomentativi della motivazione della sentenza irrevocabile, dovendosi al contrario ritenere che il giudice conservi integra l’autonomia e la libertà delle operazioni logiche di accertamento e formulazione di giudizio a lui istituzionalmente riservate (Sez. 1, n. 11140 del 15/12/2015, dep. 2016, Daccò, Rv. 266338; Sez. 3, n. 8823 del 13/01/2009, Cafarella, Rv. 242767).
2. In linea generale, occorre peraltro ribadire che, per consolidato orientamento, le difficoltà economiche in cui versa il soggetto che commette un reato non sono riconducibili al concetto di forza maggiore, che postulando la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, esula del tutto dalla condotta dell’agente, si da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente (Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880). Questo principio trova applicazione anche con riferimento ai reati omissivi in materia di versamento di imposte e contributi assistenziali, posto che, in tali casi, l’inadempimento della obbligazione può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128).
Nella motivazione della citata sentenza – che richiama numerosi precedenti conformi e che il Collegio integralmente condivide – si legge che «la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente», sicché questa Suprema Corte «ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822). 5.20. Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856). 5.21. Ne consegue che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità; d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico» (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi).
3. V’è peraltro da osservare che l’obbligo di corresponsione delle ritenute previdenziali ed assistenziali – scadendo il sedicesimo giorno del mese successivo – è sostanzialmente coevo al pagamento delle retribuzioni alle quali si riferisce, sicché gli spazi per ritenere l’assenza dell’elemento soggettivo o l’integrazione della causa della forza maggiore appaiono oggettivamente ristretti e, nel caso di specie, in alcun modo fondatamente allegati, anche in relazione alla reiterazione delle omissioni nell’arco di alcuni anni. Ed invero, anche al di là dell’ampio arco temporale in cui si collocano le omissioni fatte oggetto di contestazione ed in parte dichiarate prescritte in primo e secondo grado (si andava dal dicembre 2009 all’ottobre 2011), la sentenza impugnata dà atto di un consistente debito INPS derivante da analoghe omissioni che al 9 dicembre 2010 ammontava ad oltre 350.000, ciò che comprova come da molto tempo l’imputato omettesse il versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti, cercando poi di dilazionare il debito. Contrariamente a quanto allega il ricorrente, non solo questa abituale condotta dilatoria non vale ad escludere il dolo, ma ampiamente giustifica l’attestazione dei giudici di merito secondo cui si trattava di una scelta consapevole, sicché la doglianza sul punto è ictu oculi infondata ed incomprensibile.
4. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), del d.p.c.m. 8 marzo 2020.