CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 11576 depositata il 7 aprile 2020
Omesso versamento delle ritenute previdenziali – Prova del mancato pagamento delle retribuzioni – Avvenuto invio dei modelli DM10 – Evitare le sanzioni da evasione contributiva – Assenza del materiale esborso delle somme – Modelli DM10 aventi natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 27 settembre 2019 la Corte di Appello di L’Aquila ha confermato la sentenza del 12 gennaio 2018 del Tribunale di Pescara, in forza della quale B.T., nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. G.S. Resort, era stato condannato alla pena, sospesa, di mesi uno giorni quindici di reclusione per il reato di cui all’art. 2, comma 1 -bis del decreto legge 12 settembre 1983 n. 463, conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638, in relazione agli omessi versamenti delle ritenute di legge nel periodo gennaio- agosto 2012.
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione con quattro motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo il ricorrente ha dedotto violazione di legge in ragione dell’erronea applicazione della norma di cui all’art. 468, comma 1 e 4 cod. proc. pen., assumendo che non era stata concessa la prova del mancato pagamento delle retribuzioni, laddove detto pagamento rappresentava il presupposto del successivo versamento dei contributi all’Istituto previdenziale. Né il Tribunale aveva dichiarato la decadenza dalla prova, dal momento che si era dato semplicemente atto del mancato rinvenimento della lista testimoniale, del cui rintraccio era stata invero fornita notizia con la prima sentenza.
In proposito la Corte territoriale aveva osservato che di nulla si era comunque all’epoca doluta la difesa dell’imputato, mentre al contrario andava chiarita la ritualità dell’accadimento, quanto alla mancata presentazione della lista ovvero alla dichiarazione di tardività di una lista non ritrovata, ovvero ancora alla ritualità della doglianza formulata nell’atto di appello, e quindi al diritto all’assunzione della prova.
2.2. Col secondo motivo è stato dedotto vizio motivazionale in relazione alla ritenuta prova dell’omissione contributiva in relazione all’avvenuto invio dei modelli Dm10, cui era stato dato corso proprio per evitare le sanzioni da evasione contributiva. Era stata così ritenuta raggiunta la prova del versamento delle retribuzioni, laddove la prova avrebbe dovuto essere fornita dalla pubblica accusa mentre, a fronte dell’invio dei modelli Dm10, la prova idonea a contrastare l’assunto era stata illogicamente negata.
2.3. Col terzo motivo è stata lamentata la mancata dichiarazione di prescrizione dei ratei relativi ai mesi da gennaio a marzo 2012, perché in tal modo l’importo dovuto sarebbe sceso sotto al limite della soglia di punibilità di 10.000 euro.
2.4. Col quarto motivo infine è stata censurata la pronuncia nella parte in cui non ha accolto la richiesta di applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.. Ciò in ragione del breve periodo di ritenuto inadempimento a seguito della crisi dovuta al terremoto del 2009, mentre comunque il complessivo superamento della soglia sarebbe consistito nel 50%.
In ogni caso, peraltro, in ipotesi di riconoscimento dell’intervenuta prescrizione il predetto superamento sarebbe stato quantificato in pochi euro.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. In relazione al motivo processuale azionato, vero è anzitutto che la parte che abbia omesso di depositare la lista dei testimoni nel termine di legge ha la facoltà di chiedere la citazione a prova contraria dei testimoni, periti e consulenti tecnici, considerato che il termine perentorio per il deposito della lista dei testimoni è stabilito, a pena di inammissibilità, dall’art. 468, comma primo, cod. proc. pen. soltanto per la prova diretta e non anche per quella contraria, e che l’opposta soluzione vanificherebbe il diritto alla controprova, il quale costituisce espressione fondamentale del diritto di difesa (Sez. 5, n. 41662 del 14/04/2016, Noronha Evando, Rv. 267863; Sez. 5, n. 2815 del 12/11/2013, dep. 2014, Cambi, Rv. 258878).
4.1.1. Ciò posto, in ogni caso la valutazione ivi compiuta dalla Corte territoriale si presenta esente da censura.
In proposito, infatti, in primo luogo non è contestata la tardività del deposito della lista testi rispetto al termine di cui all’art. 468, comma 1, cod. proc. pen., invero comunque fissato per la prova diretta.
In secondo luogo, ed in ogni caso, il ricorrente avrebbe – in tesi – voluto coltivare l’istanza come richiesta di prova contraria, per la quale non vige il termine richiamato.
Ciò posto, peraltro, a fronte della declaratoria di inammissibilità per mancanza della lista testi (cfr. sentenza del Tribunale di Pescara, pag. 2, nonché atto di appello, pag. 2), ovvero della dichiarazione di non potere prendere in considerazione l’istanza in quanto non si rinveniva la lista testi (cfr. ricorso, pag. 2), ovvero ancora della dichiarazione di decadenza della prova (cfr. sentenza della Corte di Appello, pag. 3), e comunque della mancata ammissione a prova contraria dei testi che l’imputato aveva proposto a prova diretta (ibidem, pag. 3), alcunché la difesa ha inteso tempestivamente sollecitare.
Al riguardo, infatti, ed il principio è agevolmente estensibile, è stato ad es. annotato che la revoca dell’ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata (Sez. 6, n. 53823 del 05/10/2017, D.M., Rv. 271732; Sez. 2, n. 9761 del 10/02/2015, Rizzello, Rv. 263210, dove è stata ritenuta tempestivamente dedotta la doglianza eccepita dal difensore in udienza per l’esame dei propri testi, e reiterata con i motivi d’appello sollecitando la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale).
Analogamente va Osservato qualora la parte intenda dolersi della deliberazione di esaurimento delle prove, laddove in effetti le eventuali nullità dovranno essere eccepite, a pena di decadenza, in sede di formulazione e precisazione delle conclusioni (cfr. Sez. 3, n. 29649 del 27/03/2018, Bulletti, Rv. 273590).
In specie, appunto, all’espletamento dell’istruzione fece seguito la notificazione dell’accertamento dell’Inps ai fini della realizzazione della condizione di procedibilità, senza che comunque la difesa ebbe ad assumere alcuna tempestiva iniziativa processuale, che ben avrebbe potuto e dovuto astrattamente coltivare, anche eventualmente per richiedere l’introduzione di prova contraria (ferma restando, ovviamente, la tardività nei sensi che precedono).
Alla stregua dei rilievi che precedono, quindi, il motivo di impugnazione è del tutto privo di fondamento.
4.2. Per quanto riguarda il secondo motivo di censura, e venuto meno il profilo di doglianza di cui al punto 4.1., questa Corte ha ripetutamente sostenuto che, in materia di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro, l’onere incombente sul pubblico ministero di dimostrare l’avvenuta corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti è assolto con la produzione del modello Dm10, con la conseguenza che grava sull’imputato il compito di provare, in difformità dalla situazione rappresentata nelle denunce retributive inoltrate, l’assenza del materiale esborso delle somme (Sez. 3, n. 7772 del 05/12/2013, dep. 2014, Di Gianvito, Rv. 258851; cfr. altresì Sez. 3, n. 6934 del 23/11/2017, dep. 2018, Locatelli, Rv. 272120). Infatti gli appositi modelli, attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM 10), hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivale all’attestazione di aver corrisposto le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi (Sez. 3, n. 37145 del 10/04/2013, Deiana e altro, Rv. 256957).
4.2.1. Verificata quindi la sufficienza, come è stato correttamente rilevato dalla Corte territoriale, dell’invio del modello Dm10 – nell’assenza quindi di elementi contrari – ai fini dell’accertamento della responsabilità penale in conseguenza dell’avvenuta attestazione circa la corresponsione delle retribuzioni, perde consistenza ogni tentativo di giustificare altrimenti la condotta.
4.3. Del tutto infondato è altresì il terzo motivo di ricorso, quanto all’eccepita prescrizione di alcuni ratei.
Le modalità di calcolo indicate dal Tribunale di Pescara, e le conseguenti modalità di determinazione del trattamento sanzionatorio, non sono state espressamente revocate in dubbio in sede di appello.
Del pari, il ricorrente non ha colto il richiamo, operato dalla Corte territoriale, alla norma di cui all’art. 2, comma 1-quater del decreto legge n. 463 cit. e della relativa legge di conversione, secondo cui il corso della prescrizione rimane sospeso durante il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione (in specie avvenuta in corso di giudizio con notifica perfezionata il 6 luglio 2017), allorché il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, qualora provveda al versamento delle ritenute.
Ciò posto, il mancato pagamento più risalente risale al 16 febbraio 2012 (dato pacifico), cui dovevano aggiungersi la sospensione trimestrale della prescrizione (16 maggio 2012) e quindi il termine di sette anni e sei mesi di cui agli artt. 157, comma 1 e 161, comma 2, cod. pen. (16 novembre 2019). Tenuto conto che la sentenza impugnata è stata pronunciata il 27 settembre 2019, alcuna prescrizione relativamente all’anno 2012 doveva intendersi così maturata, a fronte di omessi versamenti per un complessivo ammontare di euro 15.471,87.
4.4. In relazione infine alla mancata applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131 -bis cod. pen., e della verifica su abitualità delle condotte e particolare tenuità del danno, la Corte territoriale ha da un lato correttamente evidenziato il numero non trascurabile (otto) di mensilità nelle quali si è verificata la condotta omissiva, e dall’altro – e per quanto possa rilevare – l’ammontare delle ritenute non corrisposte, che superava in ogni caso di oltre il 50% l’attuale soglia di punibilità (cfr. amplius, in fattispecie pressoché sovrapponibile, con omissioni contributive estese a sei mensilità e per un ammontare superiore del 25% alla soglia di punibilità, Sez. 3, n. 30179 del 11/05/2018, Altobrando, Rv. 273685/6). In ragione di ciò, non potevano dirsi sussistenti i requisiti posti a fondamento della norma invocata.
4.4.1. Del tutto condivisibile si presenta quindi il rigetto dell’appello anche su questo aspetto.
5. La manifesta infondatezza dell’impugnazione non può che condurre all’inammissibilità del ricorso.
5.1. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
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