CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, Sentenza n. 11740 depositata il 25 marzo 2025
bancarotta impropria
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Torino ha riformato la decisione del Tribunale di Novara – che aveva dichiarato R.P. – quale amministratore unico della società S. S.r.l. in liquidazione, dichiarata fallita in data 7 agosto 2017 – colpevole di bancarotta impropria (capo c), per avere cagionato il fallimento della società per effetto di operazioni dolose consistite nel sistematico, protratto, omesso versamento delle imposte dirette e indirette per un importo di oltre cinque milioni di euro, costituente la quasi totalità del passivo fallimentare – e lo ha assolto per la insussistenza del fatto.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello di [omissis], il quale si affida a un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p. Denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla assoluzione del P. dal delitto di cui al capo c), rilevando, in particolare, che la Corte d’appello ha escluso la possibilità di affermare oltre ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità dell’imputato dando atto delle richieste di dilazione e rateizzazione del debito erariale in capo alla società da lui amministrata, e della contestuale riduzione dello stesso debito prima del fallimento. Si tratta, nella prospettiva della Procura ricorrente, di una conclusione erronea, alla luce della esaustiva attività istruttoria compiuta dal Tribunale di Novara, che ha ben motivato la sussistenza del dolo, perlomeno eventuale, alla base della condotta di bancarotta impropria da operazioni dolose contestate. Più specificamente, secondo il ricorrente, il P. non solo ha accettato l’eventualità del dissesto quale conseguenza della sua condotta omissiva, ma lo ha certamente previsto e voluto come conseguenza delle proprie rilevantissime omissioni fiscali, a fronte del quasi satisfattivo pagamento dei diversi debiti, di natura non tributaria.
3. Il difensore dell’imputato, avvocato R.I., ha depositate due memorie, con le quali, anche replicando al P.G., ritenendo corretta la valutazione della Corte di appello, conclude per la inammissibilità o il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del Procuratore generale di [omissis] è fondato. La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello.
2. Come premesso, la decisione assolutoria trova causa nella ritenuta insussistenza, in capo al P., dell’elemento soggettivo, fondandosi n ragionamento inferenziale del giudice a quo sulla presentazione dell’istanza di rateizzazione a Equitalia e sul successivo pagamento di alcuni ratei, nel senso che la Corte di appello ha ravvisato, nel ricorso a tale strumento giuridico, lecito e previsto dall’ordinamento, un modo per far fronte alla crisi di liquidità registrata dalla società, tale da escludere l’intento fraudolento.
3. Come è noto, nella bancarotta impropria cagionata da operazioni dolose, le condotte dolose devono porsi in nesso eziologico con il fallimento; ciò che rileva, ai fini della bancarotta fraudolenta impropria, non è l’immediato depauperamento della società, bersi la creazione, o l’aggravamento, di una situazione di dissesto economico che, prevedibilmente, condurrà al fallimento della società (in tal senso, Sez. 5, n. 40998 del 20.5.2014, Co., Rv.262188).
4. Si tratta di reato a forma libera, integrato da condotta attiva o omissiva, costituente inosservanza dei doveri rispettivamente imposti ai soggetti indicati dalla legge, nel quale il fallimento è evento di danno, e si ritiene clic la fattispecie si realizzi non solo quando la situazione di dissesto trovi la sua causa nelle condotte o operazioni dolose ma anche quando esse abbiano aggravato la situazione di dissesto, che costituisce il presupposto oggettivo della dichiarazione di fallimento (Sez. 5, n. 40998, 20 maggio 2014, Rv. 262189, conf. Sez. 5, n. 8413 del 16.10.2013, Rv. 259051; Sez. 5, n. 17690 del 18.2.2010, Rv. 247316; Sez. 5 n. 19806 del 28.2.2003, Rv. 224947).
5. Secondo l’indirizzo di questa Corte, poiché l’amministratore ha un obbligo di fedeltà nei confronti della società, ogni violazione di questo integra, sussistendone le altre condizioni, un’operazione dolosa ai sensi dell’art. 223 co. 2 n. 2 L. fall., che può, pertanto, consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa, questo perché l'”operazione” è termine semanticamente più ampio dell'”azione”, intesa come mera condotta attiva, e ricomprende l’insieme delle condotte, attive od omissive, coordinate alla realizzazione di un piano; sicché, può ben essere integrata dalla violazione – deliberata, sistematica e protratta nel tempo – dei doveri degli amministratori concernenti il versamento degli obblighi contributivi e previdenziali, con prevedibile aumento dell’esposizione debitoria della società (ex plurimis, Sez. 5, n. 29586 del 15.5.2014, Rv. 260492, Sez. 5 n. 24752 del 1.6.2018, Rv. 273337), come ripetutamente affermato da questa Corte (Sez. 5 -, n. 43562 del 11.6.2019, Vi., Rv. 277125; Sez. 5, n. 24752 del 19.2.2018, D.M. e altri, Rv. 273337; Sez. 5, n. 15281 del 8.11.2016, dep. 2017, Bo., Rv. 270046; in senso analogo, Sez. 5, n. 29586 del 15.5.2014, Be., Rv. 260492; Sez. 5 n. 12426 del 29.11.2013, dep. 2014, Rv. 259997).
6. Posto, quindi, che la nozione di operazioni dolose, di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, del RD 16 marzo 1942 n. 267, prevede il comportamento degli amministratori che cagionino il dissesto con abusi o infedeltà nell’esercizio cella carica ricoperta, ovvero con atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa, l’elemento soggettivo richiesto non e la volontà diretta a provocare lo stato di insolvenza, essendo sufficiente la coscienza e volontà del comportamento sopra indicato (Sez. 5, n. 2905 del 16.12.1998, dep. 1999, Ca. G, Rv. 212613). Ai fini della configurabilità della bancarotta impropria da operazioni dolose non deve, quindi, risultare dimostrato il dolo specifico diretto alla causazione del fallimento, ma solo il dolo generico, ossia la coscienza e volontà delle singole operazioni e la prevedibilità del dissesto come conseguenza della condotta antidoverosa. (Sez. 5 – n. 16111 del 8.2.2024, Rv. 286349).
7. Calando tali principi nella vicenda in esame, si osserva che la Corte territoriale non ha considerato che la dolosa, protratta, inosservanza delle obbligazioni fiscali e previdenziali ha determinato un debito di indubbia rilevanza, e che, a fronte dello stato di insolvenza sussistente al momento cella presentazione dell’istanza di rateizzazione, non risultano assunte doverose iniziative finalizzate a risollevarne le sorti, in tal senso non potendosi valorizzare, a fronte dell’ingente, non sostenibile, debito già prodottosi, la nera presentazione dell’ istanza di rateizzazione, invece, rivelatasi un escamotaçe per proseguire l’attività economica, continuando a generare passività.
8. Tanto è sufficiente per ritenere integrato l’elemento soggettivo del reato, come correttamente ritenuto dal primo giudice, che ha compiutamente ricostruito le vicende finanziarie della fallita, evidenziando che l’inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, protrattosi dal 2004, era stato il frutto di una consapevole scelta gestionale dell’imputato amministratore, e ha considerato il mero pagamento rateale del debito erariale una forma di elusione dell’inadempimento fiscale, ravvisando nel reiterato ricorso a uno strumento lecito l’intento di realizzare la diversa (illecita) finalità di ritardare la declaratoria di fallimento e di aggravare il dissesto. In effetti, la dolosa inosservanza delle obbligazioni fiscali e previdenziali, andando ad aumentare ingiustificatamente l’esposizione della società nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali, anche in ragione dell’inevitabile carico di interessi e di sanzioni, rendeva prevedibile, proprio per l’ampiezza del fenomeno, per la sua sistematicità, e per l’entità degli importi evasi, il conseguente dissesto. Mentre, come sottolineato dal primo giudice, l’insostenibilità del debito prodotto da tale inadempimento rendeva evidente il carattere anomalo o inadeguato, rispetto all’operazione economica intrapresa, della forma giuridica impiegata, rivelandosi l’istanza di rateizzazione una modalità di manipolazione e di alterazione cello strumento giuridico lecito.
9. Del tutto ragionevolmente, quindi, il primo giudice ha escluso che il P. non si sia rappresentato l’evento del dissesto come conseguenza di tale condotta, anzi, individuando “una non secondaria intensità del dolo” anche in ragione della condotta coeva con la quale il ricorrente continuò a pacare regolarmente i dipendenti e i fornitori, decidendo di far gravare solo sull’Erario le conseguenze delle proprie scelte imprenditoriali.
10. Ai richiamati, consolidati, principi espressi da questa Corte in tema di elemento soggettivo nella bancarotta impropria da operazioni dolose – erroneamente applicati da Giudice di secondo grado – obliterati dalla Corte di appello, dovrà attenersi il Giudice del rinvio nel rinnovato giudizio di merito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Torino.