CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 12400 depositata il 17 aprile 2020
Omesso versamento delle ritenute previdenziali – Notificata della diffida ad adempiere da parte dell’Inps – Omissione – Possibilità del datore tratto a giudizio per rispondere del reato di chiedere al Tribunale un termine al fine di poter adempiere
Ritenuto in fatto
1. Con l’impugnata sentenza, in parziale riforma della pronuncia del G.i.p. del Tribunale di Sassari resa all’esito del giudizio abbreviato e appellata dall’imputato, la Corte di appello di Cagliari dichiarava non doversi procedere nei confronti di G.P. in relazione al reato di cui all’art. 2, comma 1 -bis, l. n. 638 del 1983 limitatamente alle condotte ascritte fino al 16 agosto 2011 perché estinte per intervenuta prescrizione e, per l’effetto, rideterminava la pena inflitta, in riferimento alle successive condotte contestate, nella misura di sei mesi e quattro giorni di reclusione e 347 euro di multa, nel resto confermando la pronuncia di primo grado.
2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. con riferimento all’art. 2, commi 1 -bis e 1-ter, l. n. 638 del 1983. Deduce il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe ritenuto validamente notificata la diffida ad adempiere da parte dell’INPS, sebbene sia stata consegnata a persona non addetta alla società e, quindi, non abilitata a ricevere la comunicazione; di conseguenza, deve ritenersi che il destinatario non abbia avuto cognizione della comunicazione, il che, ad avviso del ricorrente, inciderebbe sia sul dolo, sia sull’elemento oggettivo del reato.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 92, 63, 234, 331, 332 cod. proc. pen. e 200 disp. att. cod. proc. pen. Lamenta il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe ritenuto sussistente la prova del reato unicamente sulla base delle risultanze emergenti dai modelli DM10, i quali, per contro, non attesterebbero l’omissione contributiva.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
3. In primo luogo va sgombrato il campo da una serie di fraintendimenti.
Come emerge dal chiaro dato testuale (“il datore di lavoro non è punibile…”), l’adempimento conseguente alla diffida ex art. 2, comma 1 -bis, l. n. 638 del 1983, costituisce non una condizione di procedibilità – come nel caso, ad esempio, previsto dall’art. 20 d.lgs. n. 758 del 1994 in tema di prescrizioni per la regolarizzazione delle violazioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro – ma una causa sopravvenuta di esclusione della punibilità, conseguente all’effettivo e integrale pagamento di quanto dovuto da parte del soggetto obbligato, ossia il datore di lavoro.
4. In considerazione di ciò, a differenza di quanto opinato dal ricorrente, è del tutto evidente che l’eventuale omessa notifica al destinatario di detta diffida ad adempiere è irrilevante in ordine alla sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi del reato, il quale si è già consumato, ed è in relazione al momento consumativo che occorre accertare, appunto, la sussistenza degli elementi costitutivi, in ogni sua componente, del reato medesimo, essendo ininfluente ogni accadimento successivo.
5. L’eventuale omessa notifica della diffida, quindi, incide esclusivamente sulla possibilità, da parte del datore tratto a giudizio per rispondere del reato in esame, di chiedere al Tribunale un termine al fine di poter adempiere e, quindi, di beneficiare della causa di non punibilità, ciò che nel caso in esame non è avvenuto.
6. In ogni caso, va richiamato l’orientamento di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, la comunicazione della contestazione del l’accertamento della violazione è a forma libera e può essere effettuata mediante un verbale di contestazione, una lettera raccomandata o una notificazione giudiziaria, ad opera sia di funzionari dell’istituto previdenziale, sia di ufficiali di polizia giudiziaria (sez. 3, 14 febbraio 2007, n. 26054, rv. 237202; sez. 3, 19 luglio 2011, n. 30566, rv. 251261). Devono ritenersi idonee, a tal fine, anche le notificazioni ricevute con firma illeggibile e senza indicazione della qualità del ricevente, purché correttamente indirizzate al destinatario, essendo consentito, nel caso di persone giuridiche, l’invio presso la sede della società o presso la residenza o il domicilio del suo legale rappresentante (sez. 3, febbraio 2013, n. 28113, n.m.). Si è, infine, precisato che l’effettiva conoscenza della contestazione dell’inadempimento contributivo può essere desunta dalla esatta indicazione del destinatario e dall’indirizzo di recapito sulla raccomandata inviata al contravventore, sicché è irrilevante l’impossibilità di risalire all’identità del consegnatario del plico in mancanza di concreti e specifici dati obiettivi idonei a dimostrare che la comunicazione non sia stata portata a conoscenza del destinatario senza sua colpa (Sez. 3, n. 19457 del 08/04/2014 – dep. 12/05/2014, Giacovelli, Rv. 259724).
7. Nel caso in esame, secondo quanto accertato dalla Corte territoriale – e non oggetto di contestazione da parte del ricorrente – le diffide ad adempiere furono inviate presso l’indirizzo della società, di cui il ricorrente era legale rappresentante, nonché all’epoca anche luogo di residenza dello stesso imputato, e furono ricevute dal padre di costui.
La Corte, inoltre, ha escluso la pretesa rottura del collegamento tra il P. e il luogo di consegna dell’atto, correttamente rilevando che, presso quello stesso indirizzo, fu in seguito notificato anche il decreto penale di condanna, il quale venne tempestivamente opposto, da ciò logicamente desumendo che l’imputato l’avesse regolarmente ricevuto e che, quindi, detto collegamento fosse effettivo e duraturo.
8. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
9. Invero, va data continuità all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide, secondo cui, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, la presentazione da parte del datore di lavoro degli appositi modelli DM 10/2 – attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e l’ammontare degli obblighi contributivi – è valutabile, in assenza di elementi di segno contrario, come prova della effettiva corresponsione degli emolumenti ai lavoratori per effetto della attestazione di avvenuta ricezione in via telematica dei modelli da parte dell’INPS e della testimonianza sul punto del funzionario accertatore (Sez. 3, n. 21619 del 14/04/2015 – dep. 25/05/2015, Moro, Rv. 263665; in senso conforme Sez. 3, n. 43375 del 22/01/2015 – dep. 28/10/2015, Longoni, Rv. 265492; Sez. 3, n. 42715 del 28/06/2016 – dep. 10/10/2016, Franzoni, Rv. 267781).
10. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha correttamente applicato il principio sopra ricordato, desumendo la prova dell’avvenuta corresponsione della retribuzione ai lavoratori sulla base delle attestazioni delle dichiarazioni contributive provenienti dal datore di lavoro, nella versione stampata fornita dall’Inps riproducente i dati telematici inseriti nelle dichiarazioni, ossia dai modelli DM 10, da cui risultano, in modo puntuale, gli importi dovuti e non corrisposti per ciascun periodo, il numero e la generalità dei dipendenti a cui questi di riferiscono. Tali documenti fanno piena prova della veridicità dei fatti in esso inseriti, provenienti dal datore di lavoro, posto che costui non ha mosso alcuna contestazione al riguardo, e, in ogni caso, il datore di lavoro deve inserire nel modello DM 10 la dicitura “non ha trattenuto la quota contributiva a carico dei lavoratori dipendenti”, dicitura che, nel caso in esame, non risulta annotata, e considerando che la trasmissione per via telematica dei modelli DM 10 richiede l’utilizzo di codici attribuiti in precedenza al datore di lavoro, che garantiscono l’autenticità della provenienza.
11. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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