Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 12524 depositata il 20 aprile 2020
reati tributari – fatture per operazioni inesistenti – responsabilità dell’amministratore formale
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 14.06.2019, la Corte d’appello di Firenze confermava, per quanto qui di interesse, la sentenza GUP/Tribunale di Firenze 5.12.2017, appellata dal R.C., dal T.T., dallo Z.T. e dalla X.L., che li aveva condannati, rispettiva- mente, in esito al giudizio abbreviato richiesto, il R.C., alla pena di 1 anno e 4 mesi di reclusione, il T.T., alla pena condizionalmente sospesa di mesi 6 e gg. 20 di reclusione, lo Z.T., alla pena di mesi 8 di reclusione ed, infine, la X.L., alla pena condizionalmente sospesa di mesi 6 e gg. 20 di reclusione, con il concorso di attenuanti generiche per i soli R.C. e T.T., ed esclusa quanto a quest’ultimo la recidiva, ed applicate le pene accessorie di cui all’art. 12, d. lgs. n. 74 del 2000, ed alla confisca per equivalente dei beni oggetto del decreto di sequestro preventivo, come meglio specificati in atti, in quanto gli stessi erano stati ritenuti colpevoli dei reati di utilizzazione di fatture operazioni inesistenti (art. 2, d. lgs. n. 74 del 2000), ascritti al Ronnolini (capi a) e b) ed al R.C. ed al T.T. in concorso (capi c) e d) nonché dei reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8, d. lgs. n. 74 del 2000), ascritti allo Z.T. (capi g) ed h) ed alla X.L. (capi i), I) ed m), contestati come commessi secondo le modalità esecutive e spazio — temporali meglio descritte nei singoli capi di imputazione.
2. Contro la sentenza hanno proposto separati ricorsi per cassazione i difensori di fiducia dei quattro ricorrenti, iscritti all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando complessivamente cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deducono il R.C. e il T.T., con un unico motivo comune ad entrambi, il vizio di mancanza della motivazione.
Si censura la sentenza impugnata sostenendo che i giudici di appello avrebbero mancato di corredare l’assunto decisorio di un apparato argomentativo che funga da plausibile motivazione. I giudici avrebbero operato valutazioni del tutto avulse dalle risultanze processuali, avvalendosi di asserzioni apodittiche prive di efficacia dimostrativa. La Corte territoriale avrebbe omesso di sottoporre a vaglio critico la sentenza di primo grado, limitandosi ad asseverarne la congruità sulla base dei parametri di cui all’art. 133, c.p., senza analizzare nel merito la vicenda processuale. Le argomentazioni sarebbero, poi, prive di completezza anche in ordine alle specifiche doglianze avanzate con l’atto di appello. Si tratterebbe, dunque di una motivazione di stile ed apparente.
2.2. Deduce lo Z.T., con un unico motivo, la violazione di legge in relazione all’art. 8, d. lgs. n. 74 del 2000, in quanto la Corte d’appello non avrebbe rilevato l’intervenuta estinzione per prescrizione per i reati di cui ai capi di imputazione g) ed h), con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza ex art. 620, c.p.p.
In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che, in relazione ad entrambi i capi di imputazione sub g) e sub h), la Corte d’appello avrebbe omesso di dichiarare l’estinzione per prescrizione. Quanto al capo g), l’ultima fattura risulta essere stata emessa e contestata in data 23.12.2010, quindi il termine di prescrizione risulta maturato in data 23.06.2018, prima della pronuncia della sentenza d’appello. Analogamente, in relazione al capo h), l’ultima fattura risulta essere stata emessa e contestata in data 14.04.2011, con conseguente maturazione del termine di prescrizione in data 14.10.2018, anche esso antecedente alla pronuncia della sen- tenza d’appello. Non è applicabile, peraltro, il d.l. n. 138/2011, che ha elevato di un terzo il termine di prescrizione per alcuni reati tributari, tra cui quello conte- stato, in quanto entrato in vigore successivamente alla commissione dei reati con- testati. Infine, non rileverebbe nemmeno l’intervenuta contestazione della recidiva ex art. 99, co. 4, c.p., non avendo il primo giudice, nella determinazione della pena, tenuto conto della aggravante de qua non operando il giudizio di comparazione con l’attenuante di cui all’art. 8, ultimo comma, d. lgs. n. 74 del 2000. Trova, infatti, applicazione nel caso di specie il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 20808/2019, donde non rileva il diniego delle attenuanti generiche in ragione dei precedenti dell’imputato. Non essendovi stato, conclusivamente, alcun aumento di pena per la recidiva reiterata, il giudice di primo avrebbe implicitamente escluso la recidiva e, dunque, non potrebbe esservi alcun aumento dei termini di prescrizione.
3. Deduce, infine, la X.L., tre motivi.
3.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce vizio di mancanza della motivazione, per aver la Corte d’appello motivato per relationem con riferimento alla posizione di altro imputato in presenza di differenti presupposti con riguardo alla sussistenza del dolo specifico nella condotta ascritta alla X.L., con conseguente annullamento con rinvio della sentenza ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze ex art. 623, lett. e), cod. proc. pen.
In sintesi, la difesa della ricorrente rileva che i giudici di appello hanno confermato il giudizio di condanna espresso dal primo giudice con riferimento ai capi i), I) ed m) della rubrica, ritenendo sussistente l’elemento soggettivo del dolo specifico richiesto dalla norma di cui all’art. 8, d. lgs. n. 74 del 2000. Richiamato il passo della motivazione della sentenza d’appello in cui i giudici richiamano, per relatio- nem, quanto alla sussistenza del dolo specifico dell’imputata, quanto argomentato con riferimento alla posizione del figlio Z.T., si rileva come erroneamente fosse stato disposto tale rinvio in quanto le posizioni della madre e del figlio sono tra loro assolutamente diverse. Ciò emergerebbe dagli atti acquisiti nel procedimento, da cui risulterebbe che gli elementi a carico della X.L. sono assenti rispetti a quelli del figlio in quanto vi sarebbero le dichiarazioni che estrometterebbero la madre da qualsiasi coinvolgimento, dichiarazioni corroborate dalla delega della X.L. in fa- vore del figlio ad operare sul c/c bancario della ditta Maxmum, nonché dalla rela- zione della GdF e dagli esiti delle intercettazioni telefoniche. Tali elementi avreb- bero dovuto essere considerati dalla Corte d’appello ai fini della valutazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico, in particolare con riferi- mento alla posizione della donna, diversa da quella del figlio.
3.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione di legge in relazione all’art. 111, co. 7, Cost., ed all’art. 533, co. 1, c.p.p., che pone a carico dell’Accusa l’onere di dimostrare la colpevolezza dell’imputato, al di là di ogni ragionevole dubbio, con conseguente annullamento con rinvio della sentenza ex art. 623, co. 1, c.p.p.
In sintesi, la difesa della ricorrente si duole sostenendo che i giudici di appello, con l’affermare che, al fine di escludere la responsabilità della ricorrente, occorreva la prova della sua radicale estromissione dalla gestione ed amministrazione dell’azienda, avrebbero in sostanza finito per operare un’illegittima inversione dell’onere della prova, nel contempo violando il disposto dell’art. 533, co. 1, c.p.p. che impone al giudice di pronunciare condanna solo se l’imputato risulta colpevole ogni oltre ragionevole dubbio.
3.3. Con il terzo ed ultimo motivo, infine, la ricorrente deduce violazione di legge in relazione all’art. 157, c.p., per avere i giudici di appello omesso di dichiarare l’estinzione per prescrizione del reato di cui all’art. 8, d. lgs. n. 74 del 2000, di cui al capo i), in quanto estinto prima della pronuncia della sentenza d’appello, con conseguente annullamento con rinvio alla Corte d’appello di Firenze al fine di ride- terminare la pena per i residui reati.
In sostanza, la difesa della ricorrente sostiene che, in subordine, la sentenza andrebbe annullata con rinvio per non aver i giudici di appello prosciolto l’imputata dal reato sub i), che era già estinto per prescrizione alla data della pronuncia della sentenza d’appello, atteso che l’ultima fattura risulta essere stata emessa alla data del 23.12.2010, con conseguente maturazione del termine di prescrizione mas- sima in data 23.06.2018, antecedente alla sentenza d’appello 14.06.2018. Da qui la richiesta di annullamento con rinvio per rideterminazione della pena per i residui reati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il congiunto ricorso R.C. e T.T. è inammissibile.
5. È infatti affetto da genericità per aspecificità, in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive svolte nei motivi di appello (che, vengono, per così dire “replicate” in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elementi di novità critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilità.
Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
I giudici, in particolare, illustrano le ragioni per le quali hanno ritenuto di dover disattendere le impugnazioni di merito alle pagg. 7/9 della sentenza, motivazioni che non vengono minimamente attinte dal motivo di ricorso proposto, che appare del tutto generico. È infatti inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (tra le tante: Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014 – dep. 13/03/2014, Lavorato, Rv. 259425).
6. Il ricorso Z.T. T. è invece fondato.
6.1. Ed invero, come correttamente rilevato dalla difesa del ricorrente, ambedue i reati erano estinti per prescrizione, intervenuta in data antecedente alla sentenza d’appello (14.06.2019).
Non rileva, peraltro, né la previsione dell’art. 17, co. 1 bis, d. lgs. n. 74 del 2000, in quanto l’entrata in vigore della previsione che ha disposto l’aumento di 1/3 dei termini di prescrizione per i reati di cui agli articoli da 2 a 10, d. lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal dl. n. 138 del 2011, conv. in l. n. 148 del 2011, è successivo all’ultima delle fatture emesse (14.04.2011).
6.2. Né, infine, rileva la circostanza della contestazione della recidiva reiterata, di cui infatti il primo giudice non ha tenuto conto nella determinazione della pena, avendo applicato la diminuente di cui all’art. 8, u.co., d. lgs. n. 74 del 2000 (applicabile rationem temporis, essendo stata abrogata la relativa previsione successivamente con il citato dl. n. 138 del 2011, conv. in l. n. 148 del 2011), che, avendo natura di circostanza attenuante (Sez. 3, n. 5720 del 07/01/2016 – Cc. (dep. 11/02/2016, P.M. in proc. Scarfato, Rv. 265948), avrebbe dovuto essere bilanciata ex art. 69, c.p. con l’art. 99, co. 4, c.p., disponendo, infine, un aumento ex art.81 cpv, c.p., e riducendo poi la pena per il rito.
Trova, dunque, applicazione il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui in tema di recidiva, la valorizzazione da parte del giudice dei precedenti penali dell’imputato ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche non implica il riconoscimento della recidiva contestata in assenza di aumento della pena a tale titolo o di confluenza della stessa nel giudizio di comparazione tra le circostanze concorrenti eterogenee, attesa la diversità dei giudizi riguardanti i due istituti, sicché di essa non può tenersi conto ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato (Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018 – dep. 15/05/2019, Schettino, Rv. 275319).
7. L’impugnata sentenza dev’essere, pertanto, annullata senza rinvio, per essere i reati contestati allo Z.T. T. estinti per prescrizione.
8. Quanto al ricorso della X.L., è fondato l’ultimo motivo, mentre gli altri devono essere dichiarati inammissibili.
8.1. Ed invero, quanto al primo motivo, la Corte d’appello motiva per relationem circa la sussistenza del dolo specifico, richiamando le argomentazioni svolte con riferimento alla posizione del coimputato Z.T., figlio della X.L.. A ben vedere, le argomentazioni utilizzate sono ampiamente riproducibili quanto alla posizione della attuale ricorrente. Ed infatti, richiamato quanto esposto a pag. 9 della sentenza impugnata con riferimento alla posizione del figlio Z.T., non può negarsi come parte degli argomenti esposti valgano anche per la madre X.L..
Si legge in sentenza come: a) l’imputato, quale l.r. di una ditta fornita di partita IVA, dunque nel possesso di qualità che lo rendono attrezzato a comprendere i meccanismi strategici ed operativi dell’elusione fiscale, doveva considerarsi certamente consapevole delle finalità perseguite dal R.C., nel momento in cui costui ebbe a richiedergli l’emissione di ff.00.ii.; b) in senso contrario non poteva obiettarsi che l’imputato aveva aderito a non meglio precisati problemi di liquidità, in quanto i motivi della condotta sono estranei all’orbita del dolo, poiché non escludono la piena consapevolezza del soggetto agente. Esaminando, poi, la sentenza di primo grado – la cui motivazione ben può integrare quella d’appello, soprattutto nei casi, come quello in esame, di “doppia conforme” (Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione: Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 – dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595) – emerge che il GUP, nell’affermare la responsabilità dell’imputata X.L., madre del coimputato X.T., era pervenuto ad affermarne la responsabilità in ragione delle ammissioni del figlio nell’ambito del controllo fiscale promosso nei confronti della società rappresentata dalla madre, circa il fatto che gli acquisti dei materiali ferrosi ad opera della R.C. s.r.l., sia dalla S.A. (di cui il figlio era titolare), sia dalla M. (di cui titolare era la madre, attuale ricorrente), non fossero mai avvenuti.
Il GUP, peraltro, aveva svalutato le dichiarazioni del figlio della X.L., volte ad asseverare la sostanziale estraneità della madre alla gestione della società, sia in ragione della carica di rappresentante legale rivestita dalla X.L. e degli obblighi di controllo alla stessa facenti capo, sia per la insufficienza delle sole dichiarazioni dello Z.T. a comprovare siffatto assunto.
8.2. Orbene, al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze della difesa della ricorrente si appalesano manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per un asserito vizio motivazionale con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
8.3. Non può certo ritenersi che la sentenza si esponga al dedotto vizio di mancanza della motivazione, avendo dato i giudici di appello, unitamente al primo giudice, adeguata spiegazione delle ragioni della sussistenza del dolo specifico. Sicuramente valevole anche per la X.L. è, anzitutto, il primo degli elementi impiegati dalla Corte per respingere la tesi dell’insussistenza del dolo specifico quanto alla posizione del figlio. Anche per la X.L., infatti, vale l’argomento per cui l’imputata, quale l.r. di una ditta fornita di partita IVA, dunque nel possesso di qualità che la rendono attrezzata a comprendere i meccanismi strategici ed operativi dell’elusione fiscale, doveva considerarsi certamente consapevole delle finalità perseguite dal R.C., nel momento in cui costui ebbe a richiedergli l’emissione di ff.00.ii.
8.4. Nel resto, soccorrono a sostegno le argomentazioni svolte dal GUP al fine di ritenere la X.L. consapevole della dolosa emissione di ff.00.ii. al fine di consentire l’evasione fiscale alla società del R.C.. Sul punto, in particolare, quanto alle dichiarazioni del figlio Z.T. tendenti ad estromettere la madre da qualsiasi coinvolgimento, valga quanto già esposto dianzi a proposito delle argomentazioni offerte dal primo giudice in ordine all’insufficienza di tali dichiarazioni al fine di escludere la responsabilità della madre, argomentazioni immuni da illogicità manifeste.
8.5. Non rileva la circostanza dell’aver la madre delegato il figlio ad operare sul conto corrente bancario della ditta di cui la ricorrente era titolare. Ed invero, osserva il Collegio, gli obblighi dell’amministratore non possono essere delegati a terzi con efficacia liberatoria, siano essi professionisti (Sez. 3, n. 9163 del 29/10/2009, Rv. 246208 – 01) o responsabili di fatto. Infatti, una diversa interpretazione di tali disposizioni sanzionatorie, che trasferisca il contenuto dell’obbligo in capo al delegato, finirebbe per modificare l’obbligo originariamente previ- sto per il delegante in mera attività di controllo sull’adempimento da parte del soggetto delegato.
8.6. Quanto, poi, all’assunto difensivo, secondo cui le dichiarazioni liberatorie del figlio della ricorrente, sarebbero corroborate dalla relazione della G.d.F. e dagli esiti delle intercettazioni telefoniche, si tratta di asserzione generica e priva di qualsiasi specificità, non essendosi preoccupata la difesa della ricorrente né di allegare né, tantomeno, di indicare quali fossero i passaggi della predetta relazione della G.d.F. né quali intercettazioni telefoniche avrebbero avvalorato la tesi difensiva dell’estraneità della ricorrente al fatto, con conseguente ricaduta favorevole circa la sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
8.7. Deve, conclusivamente, essere riaffermato il principio per cui il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta in- compatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchè della effettiva esi- stenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’in- terno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (tra le tante: Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010 – dep. 22/12/2010, Damiano, Rv. 249035). Onere, nella specie, non assolto dalla difesa della ricorrente.
8.8. Dal rinvio alle argomentazioni svolte quanto alla posizione del figlio dell’attuale ricorrente (nonché da quanto emergente dalla prima sentenza quanto alla posizione della X.L.), la Corte di merito fa logicamente conseguire, quanto al caso di specie, che l’imputata, quale amministratore di diritto, ricopriva un ruolo di garanzia in relazione al quale era sufficiente la consapevolezza che il figlio, delegato alla firma sul c/c bancario della società di cui ella era amministratrice, compisse la condotta descritta dalla norma incriminatrice. Tale consapevolezza – unita alla circostanza che le fatture emesse dalla società di cui ella era amministratrice, riguardassero un oggetto diverso da quello dell’attività svolta, atteso che sia la ditta della madre che quella del figlio avevano ad oggetto il commercio all’ingrosso di articoli di pelle, mentre le fatture da loro emesse, concernevano la cessione di rottami metallici – è sufficiente per ritenere sussistente l’elemento soggettivo del dolo, specificamente rivolto al compimento degli illeciti fiscali, del quale sono indici univoci gli elementi che caratterizzano il contesto della vicenda.
Proprio la descritta situazione, indice univoco della macroscopica illiceità fiscale dell’attività svolta sia dalla ditta del figlio che da quella della madre, avrebbe dovuto indurre l’imputata ad esercitare i poteri di controllo e gestione connessi alla carica da lei ricoperta, in modo da evitare di commettere i reati alla stessa contestati. Le non credibili dichiarazioni liberatorie del figlio, il rilascio da parte della ricorrente all’imputato, figlio della stessa, della delega ad operare sul c/c bancario della ditta da ella amministrata, non sono, dunque, elementi che escludono il dolo specifico, ma rappresentano, al contrario, a fronte del contesto in cui i fatti avvennero (sintomatica la già rappresentata circostanza che l’oggetto delle fatture fosse diverso dall’attività esercitata dalla ditta della ricorrente, circostanza che certo non le era ignota, considerato che la delega conferita al figlio riguardava non la gestione della ditta ma solo la firma sul c/c bancario della ditta), una conferma della sussistenza dello stesso. Il motivo dev’essere, pertanto, ritenuto manifestamente infondato.
9. Inammissibile poi è il secondo motivo, con cui si censura un’inesistente violazione del principio dell’ogni oltre ragionevole dubbio, per aver la Corte d’appello operato un’asserita inversione dell’onere probatorio laddove ha affermato che per ritenere estranea la ricorrente dai fatti “occorrerebbe la prova di una sua radicale estromissione della donna dalla gestione ed amministrazione dell’azienda”.
Rileva il Collegio come nessuna inversione dell’onere probatorio si sai verificata nel caso in esame, avendo la Corte d’appello con tale affermazione semplicemente inteso evidenziare che gli elementi rappresentati dalla difesa della ricorrente, al fine di escluderne la responsabilità, erano da ritenersi insufficienti, in assenza di una prova affidabile circa la sua effettiva estraneità ai fatti.
9.1. Ed invero, osserva il Collegio, è certo dovere del giudice dimostrare che un fatto tipico, realizzatore di una fattispecie considerata delitto, venne commesso dall’imputato con coscienza e volontà: ed al fine di ritenere un’azione commessa con coscienza e volontà, nei reati a dolo specifico, è necessario che l’atto sia stato posto in essere, come nel caso di specie, al fine di consentire a terzi l’evasione d’imposta. Dopo tale dimostrazione il giudice non deve stabilire se l’atto, positivo o negativo, compiuto dall’agente, avrebbe potuto essere soggettivamente escluso in presenza di elementi dimostrativi della mancanza del coefficiente psicologico normativamente richiesto, essendo dovere di colui al quale l’atto viene imputato dare la prova che per quell’atto nessun rimprovero possa essergli mosso, indicando gli elementi che, in contrasto con l’ipotesi accusatoria, escludono la sussistenza del dolo specifico.
A ciò, infine, va aggiunto che il principio dell’oltre ragionevole dubbio”, introdotto nell’art. 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello, giacché la Corte è chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017 – dep. 13/06/2017, Cammarata e altro, Rv. 270519).
10. Fondato, invece, come anticipato, è il terzo ed ultimo motivo di ricorso.
Ed invero, come correttamente rilevato dalla difesa della ricorrente, il reato di cui all’art. 8, d. lgs. n. 74 del 2000, contestato al capo i), era già estinto per prescrizione, intervenuta in data antecedente alla sentenza d’appello (14.06.2019). Non rileva, peraltro, la previsione dell’art. 17, co. 1 bis, d. lgs. n. 74 del 2000, in quanto l’entrata in vigore della previsione che ha disposto l’aumento di 1/3 dei termini di prescrizione per i reati di cui agli articoli da 2 a 10, d. lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.l. n. 138 del 2011, conv. in l. n. 148 del 2011, è successivo all’ultima delle fatture emesse (23.12.2010). Il termine di prescrizione del reato, pertanto, era interamente decorso alla data del 23.06.2018.
11. Conclusivamente: a) il congiunto ricorso R.C. e T.T. dev’essere dichiarato inammissibile, conseguendone la condanna di ciascun ricorrente al pa- gamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende; b) deve essere annullata senza rinvio la sentenza impugnata, emessa nei confronti di Z.T. T., per essere i reati si cui ai capi g) ed h) estinti per prescrizione; c) infine, dev’essere, annullata senza rinvio la sentenza impugnata, emessa nei confronti di X.L., limitatamente al reato di cui al capo i), per essere lo stesso estinto per prescrizione, con declaratoria di inammissibilità nel resto del ricorso della X.L..
12. Non essendo necessari nuovi accertamenti di fatto, questa Corte può procedere direttamente alla rideterminazione della pena nei confronti della X.L., ai sensi della nuova formulazione dell’art. 620, lett. I), cod. proc. pen., come sostituito dall’art. 1, comma 67, legge n. 103 del 2017, sulla base degli elementi di fatto che emergono dal giudizio di merito (v., da ultimo: Sez. 6, n. 12391 del 18/01/2018 – dep. 16/03/2018, Pupo, Rv. 272458).
Ed infatti, tenuto conto della pena come determinata ad opera del primo giudice, che ha individuato la pena base ex art. 8, co. 3, d. lgs. n. 74 del 2000, in mesi 6 di reclusione, considerando l’aumento disposto a titolo di continuazione (determinato dal primo giudice complessivamente in mesi 4 di reclusione per due reati), può essere disposto da questa Corte l’aumento di mesi due di reclusione a titolo di continuazione per un solo reato, per complessivi mesi 8 di reclusione, riducendo la pena per il rito in misura fissa di 1/3 ex art. 442, c.p.p., nella misura finale di mesi 5 e gg. 10 di reclusione.
13. Devono, altresì, essere rideterminate nella stessa misura le pene accessorie di cui all’art. 12, D. Lgs. n. 74/2000 alla X.L. inflitte, trovando applicazione il principio, già affermato da questa Sezione, secondo cui la durata delle pene accessorie temporanee previste dall’art. 12 del d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, conseguenti alla condanna per reati tributari, deve essere dal giudice uniformata, ai sensi dell’art. 37 cod. pen., a quella della pena principale inflitta (Sez. 3, n. 8041 del 23/01/2018 – dep. 20/02/2018, P.G. in proc. Carlessi e altri, Rv. 272510). Fa eccezione, tuttavia, la pena accessoria dell’interdizione da pubblici uffici, erroneamente applicata dal primo giudice alla X.L., ostandovi il disposto dell’art. 12, co. 2, D. Lgs. n. 74 del 2000, pena che deve essere eliminata in quanto illegalmente irrogata, trattandosi di questione rilevabile ex officio da questa Corte a norma dell’art. 609, comma secondo, cod. proc. pen. (da ultimo: Sez. 4, n. 17221 del 02/04/2019 – dep. 19/04/2019, Iacovelli, Rv. 275714).
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Z.T. T. per essere i reati a lui ascritti estinti per prescrizione.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di X.L., limitata- mente al reato di cui al capo i), perché estinto per prescrizione. Dichiara inammissibile, nel resto, il ricorso dalla stessa proposto e ridetermina il trattamento sanzionatorio per i reati residui in mesi 5 e gg. 10 di reclusione. Ridetermina nella stessa misura le pene accessorie di cui all’art. 12, D. Lgs. n. 74/2000 alla stessa inflitte, salvo l’interdizione dai pubblici uffici, pena che elimina.
Dichiara inammissibili i ricorsi di R.C. e T.T., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
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